Come un fiume carsico, la polemica puntualmente riemerge, anno dopo anno. La lotta condotta da mamme petulanti, professori fannulloni e sindacati omertosi contro i test INVALSI finalizzati a verificare e comparare il grado di apprendimento medio degli studenti dalla Valle d’Aosta al Canale di Sicilia. Le argomentazioni sono sempre quelle: il processo formativo è qualcosa di più complesso di una serie di crocette, esiste la libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione, mancano i soldi, c’è il disagio sociale, i bambini accumulano ansia… tutto vero, e quindi?
Io non amo i test a risposta multipla, così come non amo l’apprendimento standardizzato. Però dal 2009 ai miei studenti ho sempre somministrato (espressione tecnica orrenda) un test in 20 domande propedeutico alla prova orale e il risultato mi ha soddisfatto. Ovviamente non credo sia possibile inquadrare il livello di conoscenza di una materia attraverso prove sintetiche di tale natura, però queste, qualora condotte in modo onesto, danno la garanzia che uno standardminimo medio è stato raggiunto.
E in fondo lo scopo delle valutazioni INVALSI dovrebbe essere questo: sapere che, a prescindere da dove tu vivi, ogni scuola della Repubblica ti garantisce uno livello medio sufficiente di apprendimento. Essere sicuri che tutti ragazzi saranno in grado di estrarre la radice quadrata da un numero; di calcolare l’area del cerchio; di piazzare la Rivoluzione Francese alla fine del XVIII secolo e non a metà del XIV; che sapranno distinguere un verso di Dante da un tweet della Picerno; che sono consapevoli che il “sistema del gran simpatico” non è una lobby di cabarettisti; che sapranno che il Volga è un fiume e Il Cairo la capitale dell’Egitto, forse sarà mero nozionismo ma è pur meglio che niente. E’ pur sempre una garanzia…
Altra argomentazione miserabile: “i ragazzi sono stressati per i test“. E allora? Problema loro, imparino a gestire le emozioni, la scuola serve anche a questo: affrontare le sfide della vita senza drammi, ma – au contraire – traendone insegnamenti. L’insegnante genio ci sente svilito perché valutato? Nessuno impedisce l’attivazione di percorsi di approfondimento creativi e originali. Chi ha paura di verifiche volte ad attestare il raggiungimento di un minimo garantito di conoscenze è perché, in cuor suo, sa che mira a lavorare il meno possibile. Grazie un patto non scritto con quella parte di genitori e studenti che cercano di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Quelli che non vedono nella scuola un’occasione di crescita ma solo un fastidio necessario per portare a casa uno straccio di foglio di carta.
Il comportamento degli insegnanti non stupisce: nessuno ama essere valutato da estranei e io stesso – quando lavoravo per un ente di formazione che aveva un controllo qualità esterno – sbuffavo quando venivano a ispezionarci… Però il mettersi in discussione dovrebbe essere parte del bagaglio professionale di un docente. Ovviamente i testi INVALSI (che non sono solo crocette, ricordiamolo) non sono perfetti. Sono uno strumento e come tale da utilizzare in modo laico, senza demonizzazioni o mitizzazioni. Immagino possano essere migliorati, magari vanno somministrati da valutatori esterni per evitare che la perversa alleanza di cui sopra si attivi. Ma il principio credo sia sacrosanto.
Io sono fermamente sostenitore della scuola pubblica. Gratuita. Ma per difendere questo modello, sbandierare la Costituzione non basta. E’ necessario investire sulla qualità, ma gli insegnanti molto spesso sono contrarissimi quando si tratta di lavorare di più e confondono la qualità con i loro personalissimi problemi contrattuali… Ricordo quando ci fu il concorsone di due anni fa: precari storici incapaci di risolvere meri problemi di logica che sostenevano come “per spiegare letteratura non è necessario saper individuare successioni numeriche in un test”. E perché no? È tanto sbagliato mettere dietro una cattedra qualcuno che non sia totalmente disadattato al di fuori della materia che dovrebbe insegnare?
Io non ho ancora una opinione decisiva sulla cosiddetta “buona scuola”. Ho una stima troppo bassa per l’attuale governo per fidarmi delle promesse. Per me contano solo gli atti formali scritti depositati in Parlamento e non i tweet o le conferenze stampa. Istintivamente sono contrario all’idea del dirigente sceriffo, in linea con la visione autoritaria di Renzi. Ma a parte questo aspetto mi pare che ragionare su maggiore autonomia, maggiore capacità di proporre percorsi nuovi, maggiore rigore nei confronti degli insegnanti sia doveroso, soprattutto se questo vorrà dire anche maggiori risorse (il che non è così scontato…).
Ho insegnato per alcuni anni delle scuole superiori. Avevo colleghi straordinari per dedizione, amore per sapere, dimensione umana. Ma erano una stretta minoranza. La gran parte dei miei colleghi non la ritenevo meritevole non solo di non avere in affidamento un figlio, ma neppure di andare in posta a pagare la bolletta dell’Enel o del gas. Gente che non studiava più, che rifuggiva al lavoro, indifferente verso i ragazzi, costantemente lamentosa, ipersindacalizzata.
Gente che non sapeva che stava svolgendo il lavoro più bello del mondo e invece di rendere grazie alla sorte che gli aveva offerto questa opportunità si animava solo quando doveva discutere di cose meschine come un’ora di supplenza in più o in meno non retribuita o il ricevimento generale (2 all’anno in tutto) posto di sabato “che è il mio giorno libero”. Nei molti anni di insegnamento alle superiori all’università ho capito una cosa: non esistono ragazzi sbagliati, non esistono ragazzi irrecuperabili. Esistono solo docenti noiosi e genitori iper protettivi. Sono loro la causa di tutto quello che non funziona…
Autore: Marco Cucchini