Il centrodestra si è risvegliato, il primo di giugno, inaspettatamente competitivo e vitale. La tornata elettorale che doveva, secondo le previsioni di molti, sancire la morte elettorale dello schieramento berlusconiano, ha invece rilanciato le speranze della coalizione erede del Polo e della Casa delle Libertà.
Chi parlava di 7 a 0 è stato smentito dai dati: al trionfo di Zaia in Veneto si è aggiunta la vittoria, fino a un mese fa impronosticabile, di Toti in Liguria. E il risultato in Umbria, visto che la politica non è il calcio, non si può certo considerare una sconfitta: passare dai 30 punti di distacco dal centrosinistra nel 2005, scesi a 20 nel 2010, ai soli tre punti di domenica, è una mezza vittoria.
Non sono bastati quindi i problemi legali di Berlusconi, il caos interno alla coalizione, il posizionamento sempre più moderato di Renzi a svuotare il centrodestra.
Come si è visto, è la Lega Nord a sfondare, e non solo nel nord: in Umbria è il primo partito del centrodestra, dove sfiora il 14%, nelle Marche è al 13%, in Toscana al 16%. Al confronto, il 40,9% derivante dalla somma di Lega e Lista Zaia in Veneto rischia quasi di passare in secondo piano.
Forza Italia conferma il suo declino ma rimane comunque un partito centrale in una coalizione che, se unita, ha dimostrato di essere ancora competitiva con il centrosinistra, molto più del Movimento 5 Stelle.
In uno scenario tutto sommato non negativo per il centrodestra, ciò che merita una riflessione ulteriore è il tema della leadership della coalizione conservatrice.
Berlusconi è oggi un leader poco credibile e fortemente delegittimato; se la sua centralità in Forza Italia da un lato favorisce la mobilitazione di un’area che si è spesso distinta per una forte disaffezione, dall’altro limita fortemente le possibilità di espansione di un partito oramai ridotto a percentuali che si aggirano intorno al 10%.
A godere di questa debolezza dell’ex principale partito del centrodestra italiano è sicuramenteMatteo Salvini, che in queste regionali è stato il vero leader della destra italiana: grandecomunicatore, duro nei toni, il segretario leghista si è preso la scena mediatica a suon di crociate contro rom, immigrati e centri sociali. Non solo è riuscito a ridare un’identità a un partito in difficoltà, rimettendolo al centro dell’agenda con un posizionamento anti-europeo e xenofobo, ma è anche riuscito a parlare a una parte di elettorato in cerca di un uomo forte al comando dopo la crisi di consenso di Silvio Berlusconi.
Eppure, Berlusconi e Salvini vanno avanti separati. Senza accordi nazionali, senza apparentamenti formali. Rispettandosi, ma ricordando costantemente in pubblico i limiti dell’altro. Alleandosi in alcuni casi, scontrandosi in altri.
Ma se Berlusconi appare ormai come un esponente logoro della “vecchia politica”, Salvini non sembra essere in grado di raccogliere l’interesse di quell’elettorato moderato che è sempre stato decisivo nella storia di questo Paese. Gli ex democristiani, poi forzisti, infine renziani alle elezioni del 2014. Un elettorato molto lontano dall’agenda salviniana.
Così, all’indomani di un voto sorprendente, il centrodestra si ritrova competitivo ma senza un veroleader in grado di rappresentare tutte le sue anime e di battere Renzi in un eventuale ballottaggioalle elezioni politiche.
Si tratta di un limite politico grave, di cui il principale responsabile è lo stesso Berlusconi, che negli ultimi anni si è concentrato sui propri problemi, senza curarsi di selezionare una classe dirigente che potesse far crescere il centrodestra, anche ai suoi danni.
Zaia, Toti, Ricci, sono tanti i nomi che girano da qualche giorno per rilanciare il centrodestra. Non ci è dato sapere quale sia il più adatto a sfidare Matteo Renzi. Ciò che è certo è che il centrodestra di oggi è una coalizione inaspettatamente viva ma disunita e senza leader. E senza un leader forte, oggi, non si va lontano. Basta ripercorrere la storia, alla voce “Elezioni politiche 2013″.
Fonte: youtrend.it