Chi mi conosce e mi legge da tempo sa che sono sempre stato molto sensibile al tema della tutela della biodiversità e della salvaguardia del patrimonio faunistico del nostro disgraziato pianeta. Sa che sono contro la caccia, sa che sono contro lo spreco di territorio, sa che cerco di consumare carne in modo il più possibile etico (non rinnego la natura carnivora della nostra specie, ma cerco di limitare i danni). E sa anche che potrei fare di più (perché si può sempre fare di più) e potrei fare di meglio (perché si può sempre fare di meglio).
Quando ho letto la notizia dell’assassinio del leone Cecil sono rimasto sconvolto e furente assieme. Ho postato commosso la foto del Re assassinato e seguito con sgomento le notizie relative all’incombente pericolo per i cuccioli del sovrano decapitato, probabili vittime del nuovo Re della Foresta, intenzionato a sterminarli uno a uno, come Enrico VII Tudor fece con tutti i Plantageneti su cui riuscì a mettere le mani dopo Bosworth Field.
Ma non fui l’unico. “Cecil” in poche ore è diventato un fenomeno del web… si sono create pagine Facebook in suo onore, empatici hashtag su Twitter e scoperto il nome del lercio bracconiere che lo ha ucciso – un insulso dentista del Minnesota, ricco quanto basta per pagare mazzette da decine di migliaia di $ – è cominciata l’indignazione planetaria…
Ma quanto questa indignazione è positiva? Per rispondere alla domanda dovremmo aggiungerne altre, in una specie di concatenazione, di Catena di Sant’Antonio virtuale… Quanto le informazioni ottenute quotidianamente via web ci colpiscono effettivamente? quanto modificano i nostri comportamenti nel breve, medio e lungo periodo? quanto sentiamo il bisogno di approfondire?
La mia risposta è pessimista. Oggi siamo tutti #jesuiscecil, come ieri eravamo tutti #jesuischarlie. Ma quanti sono capaci di prendere coscienza che la morte di un singolo leone di per se significa poco se solo leggiamo i dati e che il vero problema non è un singolo assassino ma il rapporto perverso dell’essere umano con il Creato?. Negli anni ’50 i leoni in libertà erano circa 400.000. Negli anni ’90 erano circa 100.000. Oggi sono – se va bene – 25.000, cioè -75% in 20 anni. E non è solo un problema dell’Africa e dei “Fab Four” (Leone, Tigre, Leopardo, Giaguaro): alla fine degli anni ’60 l’animale “over 100 pounds” più diffuso sul Pianeta dopo l’Uomo era il Carcharhinus longimanus, un grande squalo pelagico oggi considerato specie a rischio. E per forza lo è, ne accoppano a decine di milioni l’anno solo per fare le zuppette con la pinna dorsale, che tanto giovamento portano agli esausti e stressati organucci riproduttivi delle classi dirigenti dell’Estremo Oriente… E così, nell’arco di soli 8 anni (1992-2000), il numero dei longimani è calato di oltre il 70%.
Il punto è che condurre battaglie vere richiede tempo, richiede coscienza, richiede volontà ferrea, richiede costanza. Ma il web-circo non ama la noia o la ripetitività… Pertanto basterà pazientare ancora qualche giorno, accadrà qualcos’altro di orrendo e il popolo degli hastag sarà pronto a piangere e indignarsi per qualcos’altro, per qualche ora…
Pazientate bracconieri, pazientate assassini di animali, pazientate ancora un po’… 48 ore, forse 72 e sarete di nuovo liberi di compiere le vostre mattanze. I riflettori si saranno puntati su un altro palcoscenico. E le teste saranno tutte rivolte verso la nuova luce virtuale, come tanti girasoli privi di volontà propria…
Perché essere informati non significa ricevere centinaia di notizie al giorno e linkarle agli altri. Essere informati, essere partecipi e consapevoli significa prenderne una, una sola. E cercare di capirla sul serio.
Marco Cucchini | Poli@rchia