Il Premier Matteo Renzi prosegue nella sua marcia solitaria. Un giorno dopo l’altro, una parola dopo l’altra, disegna una democrazia personale e immediata. Centrata sulla sua persona. Refrattaria alle “mediazioni”. Diffidente verso i “mediatori”. Si tratti di organizzazioni, associazioni o di soggetti istituzionali. Così, in pochi giorni, è intervenuto“direttamente” contro i sindaci e, prima ancora, contro il sindacato. Colpevoli, entrambi, di ostacolare, in modo diverso, il turismo e, quindi, l’economia italiana. Il sindacato. Con le iniziative che hanno reso difficile l’ingresso agli scavi di Pompei. E con lo sciopero dei piloti Alitalia, che ha generato disagio ai passeggeri. A Pompei come negli aeroporti le iniziative sono state condotte da sigle autonome e singoli comitati. D’altronde, nei servizi, poche persone, collocate in posizione strategica, possono generare grandi disagi pubblici. Tuttavia, il premier ha polemizzato, esplicitamente, contro il sindacato. Senza specificazioni. D’altronde, Renzi, da tempo, conduce la sua polemica contro il sindacato. Che ha il volto di Landini, leader della Fiom e di “Coesione Sociale”, che nello scorso autunno ha promosso manifestazioni e scioperi contro il Jobs act e le politiche del lavoro del governo. Il sindacato evocato da Renzi. Chiama in causa Susanna Camusso, che, non per caso, ieri, su Repubblica, ha replicato che la “la Cgil non ci sta a essere usata in modo strumentale dal premier per recuperare il voto moderato”.
Ma l’intento di Renzi non sembra semplicemente “politico” ma “di strategia istituzionale”. Anche se le preoccupazioni di “marketing politico” sono sempre presenti negli interventi del premier. Che, per questo, agisce e inter-agisce in rapporto diretto con gli elettori. E dialoga di continuo con l’Opinione Pubblica. Che contribuisce, a sua volta, a modellare e a orientare. Intervenendo sui temi sensibili. Per esempio, in questa stagione, sui servizi e i disservizi pubblici, appunto. In un periodo nel quale i flussi turistici sono il principale antidoto contro gli altri flussi che affollano e attraversano l’Italia. Ad opera dei migranti. Il turismo, attratto dall’immensa risorsa artistica e ambientale offerta dal nostro Bel Paese. Non sempre valorizzato adeguatamente. Come ha rammentato, di nuovo, il premier, in visita a Tokio. Da dove ha auspicato che “nei prossimi mesi i nostri sindaci lavorino di più”. Per rendere le nostre città più attraenti. Per restituire appeal a un territorio troppo spesso degradato. Più che un invito: un rimprovero. Un messaggio e un ammonimento esplicito. Rivolto ai primi cittadini. Fra i principali protagonisti della democrazia rappresentativa. Eletti direttamente su base territoriale. Renzi stesso, d’altra parte, è stato sindaco. Di Firenze. Anzi, il sindaco è la più importante carica elettiva che abbia ricoperto. Visto che la sua ascesa alla guida del governo è avvenuta attraverso le primarie del Pd. Una consultazione di partito – per quanto aperta. E ciò ribadisce la singolare fase che attraversa la nostra democrazia rappresentativa.
Ribadita, polemicamente, dalla minoranza del Pd, che ha minacciato di contrastare le riforme costituzionali in Senato, nel prossimo settembre, scatenando una sorta di “Vietnam parlamentare”. Una formula che è stata apertamente condannata dal presidente del Pd, Matteo Orfini. Tuttavia, si tratta di una sfida significativa. Sul piano del linguaggio, oltre che della pratica e dell’azione. Perché sposta, decisamente, in ambito “parlamentare” un confronto che, nel frattempo, si è trasferito altrove. All’esterno. Nelle piazze e sui media – vecchi e nuovi.
D’altronde, il capo del governo – e del partito di maggioranza – è un leader “non eletto” in Parlamento. Come i suoi principali oppositori. Beppe Grillo, leader – pardon: portavoce e megafono – del M5s. E Matteo Salvini, segretario della Lega: parlamentare europeo. Insomma, Renzi è, per ora, il premier di una Repubblica extra-parlamentare. Impegnato a costruire uno specifico modello di democrazia. Maggioritaria e personalizzata. Come prevedono le riforme istituzionali (in particolare, il monocameralismo) e la stessa riforma elettorale. L’Italicum. Che non delineano un “presidenzialismo di fatto” (come ha sottolineato il costituzionalista Stefano Ceccanti sull’Huffington Post ). Piuttosto, una Repubblica ancora “indistinta” (per citare Edmondo Berselli). Ma fondata sul premier. Renzi, d’altronde, nel frattempo agisce “come se” fosse già premier-presidente. Agisce e decide – o meglio: promette di agire – in fretta. Veloce. Così, dal Giappone annuncia l’approvazione della riforma della pubblica Amministrazione. “Entro giovedì”. E si rivolge ai cittadini e agli elettori. Saltando mediazioni e mediatori. Sindacati e sindacalisti. Sindaci e governatori. Scavalca perfino il Parlamento e, soprattutto, i partiti. Compreso il “proprio”. Che, d’altronde, costituisce il principale luogo, il principale soggetto-oggetto del suo esperimento.
Il Pd. Tradotto e trasformato nel PDR. Il Partito Democratico di Renzi. O, più semplicemente, nel PdR. Il Partito di Renzi. Un post-partito, veicolo e portabandiera della PDR. La Post-Democrazia di Renzi. Fondata sul premier.
Fonte: repubblica.it | Autore: Ilvo Diamanti