C’è stato di peggio di Hiroshima. C’è stata Nagasaki, il 9 agosto di 70 anni fa.
Nagasaki è stata la “seconda” bomba e – dunque – qualcosa che viene dopo, meno importante. Quasi sempre ci si riferisce a “l’atomica su Hiroshima”. A Hiroshima c’è il “Memoriale della Pace” tutelato dall’Unesco. A Hiroshima vanno i Papi con i loro meravigliosi appelli inascoltati e i Grandi della Terra a deporre le loro fiacche corone di fiori, con il viso in modalità “contrito” per le foto da pubblicare su Twitter. E dopo aver finto di meditare in ginocchio sulla caducità umana, tornano a riunirsi in qualche amena località per progettare altre sciagure. Guerre. Disastri ambientali.Choc economici. Golpe. O – peggio ancora – senza progettare niente, perché non ne sono capaci…
Ma il grande crimine di guerra è stato il secondo, Nagasaki. Perché il Giappone era già in ginocchio, lo choc della prima bomba era stato enorme. E anche la finalità politica era già stata raggiunta: far vedere all’Unione Sovietica di essere in possesso del “Congegno Fine di Mondo”. Far vedere che nella gara a chi piscia più lontano lo Zio Sam era in grado di battere l’Orso Russo. E dunque, perché una seconda bomba? Perché aggiungere altri 80.000 cadaveri di civili a guerra quasi finita? Il dibattito è stato feroce e questo piccolo blog non può aggiungervi nulla di nuovo.
Però questo piccolo blog può dare un suggerimento. Può consigliare di spendere bene 96 minuti del proprio tempo e guardare Rapsodia in Agosto, penultimo film del Maestro Akira Kurosawa. Niente Shogun in lotta in questo film, niente Shakespeare in chiave nipponica, niente teatro nō. Solo un toccante racconto sulla memoria, sul dolore, sul futuro e sull’amore. E se vi pare poco…
E’ la storia di Kane, una “hibakusha“, cioè una sopravvissuta all’attacco atomico. Vide la bomba esplodere su Nagasaki, perse il marito e anche se divenne madre e nonna, la sua vita fu segnata da quel pugno di secondi in cui “tutto a un tratto il cielo si squarciò in due. Ci fu un bagliore accecante, e un occhio apparve nel cielo. Un occhio gigantesco, che ci guardò con una cattiveria che non si era mai vista.”
45 anni dopo le viene chiesto di prendersi cura dei nipoti adolescenti, nati in un’epoca in cui il trauma della guerra era volutamente rimosso e l’American Way of Life la filosofia dominante. Ma per Kane gli Stati Uniti non sono il paradiso, ma il luogo dal quale si è alzato in volo l’aereo che ha sganciato la bomba, il Fat Boy. E così si scontrano tre incomprensioni, tre letture. L’anziana donna che ha visto e non dimentica. I suoi figli che sanno e vogliono dimenticare. I nipoti adolescenti che nulla sanno e un po’ se ne fregano…
Alla fine i ragazzi capiranno, perché – in fondo – i giovani sono sempre recuperabili. E si legheranno di amore sincero a questa dolce e strana nonna, capace di comportamenti incomprensibili a tutti tranne che a lei, come ci mostra la magnifica scena finale che ho linkato.
Il film è stato abbastanza ignorato, un po’ ostracizzato. Pur venendo da un Maestro assoluto – infatti – è stato bollato come “antiamericano” che – commercialmente – è l’accusa peggiore che possa essere rivolta a un film… Osa mettere in dubbio che il lancio della bomba sia stato una cosa buona e che – forse – chi quella bomba ha deciso di lanciarla, magari così santo non era…
“Un giapponese! che critica gli USA! per aver lanciato l’atomica! ma come si permette? ma quando mai?”
A me – invece – pare una ragione in più per guardare un film tanto bello quanto dimenticato…
Autore: Marco Cucchini