Cittadini di Internet. Citizen Ex e l’identità nell’era del web

Cittadini di Internet. Citizen Ex e l’identità nell’era del web

Il sito web Citizen Ex valuta la cittadinanza virtuale degli utenti della rete, in base ai comportamenti su Internet. Possiamo davvero pensare ad una cittadinanza online? Nella rete mancano diritti e doveri nei confronti della società che definiscono la cittadinanza moderna, ma al loro posto c’è una conoscenza sempre più svincolata dai vecchi centri di produzione.

Un'immagine tratta dal sito web Citizen Ex
Un’immagine tratta dal sito web Citizen Ex

Sono per il 37,43 % americano, per il 33,14% italiano, per l’11,52% olandese, per il 6,8% irlandese. E sono anche un po’ di Hong Kong, ma solo per lo 0,9%. Nella confusione delle identità postmoderne e liquide, quelle della pluriappartenenza, ci mancavano un po’ di numeri per mettere un po’ di ordine. A chiarire le idee ci ha pensato lo scrittore e esperto di media, James Bridle, che ha creato il sito Internet Citizen Ex che, attraverso un algoritmo, valuta la cittadinanza virtuale, quella online. Si tratta della cittadinanza che risulta dai percorsi svolti nella rete, agganciando nodi in giro per il mondo, secondo i siti utilizzati. Altro che carta di identità. Qui c’è di più.

Apparentemente può sembrare un gioco. Vediamo un po’ come ci muoviamo nella rete saltando da un luogo ad un altro, da un paese all’altro. Pensiamo di fare un giro del mondo metaforico. E tutte quelle linee illuminate sulla parte destra della pagina ci mostrano la nostra rete, solcando confini e culture in pochi minuti. Tutti noi sappiamo bene il nesso che congiunge Internet e i processi di globalizzazione ma, almeno ai miei occhi, non era apparso mai il tema di una cittadinanza online che sfugge a quella consolidata di uno stato nazione.

Il tema è affascinante perché nasconde, o almeno prelude, a qualcos’altro. Esiste un altro tipo di cittadinanza e quale il suo nesso con il mondo virtuale? Possiamo davvero pensare ad una cittadinanza online? Il tema posto così è complesso, perché la cittadinanza moderna è istituzionalizzata attraverso un riconoscimento di diritti e doveri nei confronti della società di cui si è parte, alla quale si concorre tramite la partecipazione alla costituzione e legittimazione del potere scelto. Nella cittadinanza online tutto questo manca. Ma c’è un altro potere che muove. Quello della conoscenza. E la conoscenza si sta svincolando sempre più dai vecchi centri di produzione: la scuola, le famiglie e ormai la televisione, se non altro quella generalista.

Il nuovo centro del potere è la rete e la capacità comunicativa che gli appartiene. Il sociologo Manuel Castells, nel suo libro arcinotoComunicazione e Potere (http://www.polisblog.it/post/5869/recensione-comunicazione-e-potere-di-manuel-castells-politica-e-media-nel-nuovo-millennio), scrive che “le forme più cruciali di potere seguono la logica del potere di creare reti. […] In un mondo di reti la capacità di esercitare il controllo su altri dipende da due meccanismi di base: 1) la capacità di costituire reti, e di programmare/riprogrammare reti alla luce degli obiettivi assegnati nella rete e 2) la capacità di connettere e assicurare la cooperazione di diverse reti condividendo obiettivi comuni e combinando risorse, contrastando al tempo stesso la concorrenza di altre reti.  […] I detentori della prima posizione di potere li chiamo programmatori, i detentori della seconda posizione di potere li chiamo commutatori”. Steve Jobs, Larry Page e Mark Zuckerberg più di Obama, Merkel e Hollande.

L’applicazione di Bride, solo per il fatto di essere pensata, mostra quali altre forme di appartenenza giochino sulla trasmissione di informazioni e conoscenze, forme di potere, determinati da altri centri, perlopiù, fuori dall’orbita del proprio paese di riferimento. In altre parole l’algoritmo di Bride mostra i luoghi del potere sulla nostra conoscenza.

Ma mentre il mondo si muove su questo, che appare quasi come naturale, nella politica italiana si continua a discutere come fossimo nel ventesimo secolo.

Ius sanguinis o Ius soli? Dalla cittadinanza per discendenza di sangue, tipica, ad esempio dell’Italia, che ha permesso a molti oriundi, figli e nipoti di emigrati, di diventare italiani a tutti gli effetti, a quella per luogo di nascita e di socializzazione, tipica della Francia, che ha fatto diventare francesi anche coloro che provenivano da altri paesi e culture. Tuttavia, queste due concezioni sembrano corrispondere a contesti socioculturali passati. La trasmissione di diritti per sangue tipica di una società aristocratico-feudale e quella all’interno di un territorio caratterizzato da confini e frontiere come lo stato nazione. Si è cittadini se si nasce e si vive in un determinato paese, chi sta fuori invece no. Si tratta, ne siamo consapevoli, di una sintesi semplificata, che non tiene conto dei tanti casi di mobilità umana che hanno reso tali concezioni più flessibili e mutevoli. Tuttavia, è proprio tale mobilità, non solo umana ma anche di simboli e segni, che le rende obsolete.

Così, guardo la mia carta di identità con l’occhio destro e il sito di Bride con il sinistro e mi chiedo: chi ha ragione alla fine? Vi sarà ormai chiara la mia risposta.

Autore: Riccardo Giumelli | Fonte: lavocedinewyork.com

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