Quando il tubo catodico rendeva mitico Togliatti

Quando il tubo catodico rendeva mitico Togliatti

Come si comunicava la politica nella Prima Repubblica tv: in centocinquanta immagini uno stile slow e solenne
C’erano una volta le «mitiche» Tribune (politiche ed elettorali). Ai loro esordi, naturalmente, l’Italia non era quella Repubblica dei media che sarebbe diventata in seguito, bensì una nazione in bianco e nero come la televisione del monopolio, pubblica e pedagogica, rispettosissima (anzi, deferente) nei confronti della classe politica. Niente storytelling e framing (a quest’ultimo ci pensavano le ideologie…), e men che meno personalizzazione della leadership: proprio un altro mondo insomma, e in questo contesto il format della Tribuna elettorale, nata l’11 ottobre del 1960, rappresentò un’innovazione profonda per il cittadino-elettore, ritrovatosi per la prima volta nelle vesti di cittadino-telespettatore in una sorta di contatto diretto con i rappresentanti politici. Da vari punti di vista, si trattava dell’antesignano del talk-show, senza risse e ispirato a una notevole (e «dorotea») compostezza. E pure, in un’altra ottica ancora, di qualcosa di simile a un’aurorale «disintermediazione», ma con l’idea, come scrivevano i dirigenti del servizio pubblico radiotelevisivo, che potesse «contribuire notevolmente all’educazione democratica della nostra Nazione».

«Manifesto visivo» della democrazia dei partiti, questa rivoluzione tv è stata raccontata da una recente mostra presso la Camera dei deputati realizzata da Rai Teche insieme alla Direzione Relazioni esterne della Rai; ed è ora anche un interessante volume-catalogo, Cari elettori, care elettrici. Le immagini della prima Repubblica nelle Tribune della Rai, con testi di Maria Pia Ammirati, Laura Boldrini, Pietrangelo Buttafuoco, Filippo Ceccarelli, Guido Crainz, Nuccio Fava, Dario Franceschini, Monica Maggioni, Barbara Palombelli, Leone Piccioni, Barbara Scaramucci, Marcello Sorgi e Giovanni Valentini, curato da Edoardo Novelli (professore di Comunicazione politica all’Università di Roma Tre) e Stefano Nespolesi (responsabile delle Bibliomediateche e della Fototeca Rai).

Guardando buona parte delle 150 fotografie raccolte nel volume ci scorre davanti l’iconografia di una politica slow e solenne (e nei decenni iniziali decisamente «in grisaglia»), nella quale il terreno di gioco (e, dunque, di rappresentazione) si conformava a una serie di regole certe e precise, sorvegliate da conduttori lottizzati e, al tempo stesso, professionali e assai misurati. Un altro mondo, per l’appunto, dove la politica non inseguiva i sondaggi, ma ordinava e plasmava la società per via ideologica e mediante l’allocazione delle risorse (con l’economia delle partecipazioni statali). Nessuna nostalgia, dunque, ma la sensazione di un’epoca televisiva davvero distante nel tempo, e sicuramente (cosa che non guasta mai in generale…) beneducata, intrisa del garbo dei moderatori delle tribune, i quali peraltro, come nel caso di Jader Jacobelli, si preoccupavano di inventare delle formule per «movimentarle» un po’. E, infatti, non ci volle molto perché il programma – che, a partire dal 1964, si era convertito in rubrica permanente – perdesse lo slancio vitale e la spinta propulsiva del debutto per rimanere ancorato a una dimensione ormai soltanto propagandistica e di megafono del sistema partitico; e lo certificava, nel ’70, un’indagine del Servizio Opinioni Rai dalla quale emergeva come solo il 41% degli intervistati ritenesse valida la trasmissione. E se oggi, passati per la lunga stagione degli ipermuscolari e chiassosissimi talk che mettevano in scena le guerre fine di mondo tra berlusconiani e antiberlusconiani, le tribune ci appaiono come i prototipi (anche perché ritualizzati) del bon ton e del galateo applicato alle relazioni tra competitor politici, in verità nel loro dietro le quinte si infuocavano gli animi e le polemiche. Come quella volta in cui Guido Gonella, ministro della destra dc del III governo Fanfani, si scagliò contro il tubo catodico che aveva fatto «innamorare» gli italiani di Togliatti e delle «ballerine».

Poi, con l’arrivo della turbopolitica anni Ottanta (un’etichetta terminologica coniata dallo stesso Novelli), per colmare i ritardi le tribune fecero il loro ingresso nella società dello spettacolo politico (grazie innanzitutto ai radicali di Marco Pannella). Tentando così di trovare un modus vivendi con i cambiamenti della logica mediale dello stesso servizio pubblico, fino a che, con il 1994, tra Tangentopoli e l’irruzione sulla scena di Forza Italia, anche il nostro Paese è stato scaraventato nell’era della politica postmoderna e della fast politics. E nella stagione della campagna elettorale permanente, che ha reso appunto superate le care e vecchie «tribune»…

Fonte: lastampa.it | Autore: Massimiliano Panarari

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