Si potrebbe dire, parafrasando Marx, che un fantasma si aggira per le urne dell’Europa, continente alle prese dagli anni ’80 con l’invecchiamento della propria popolazione: il diritto di voto ai sedicenni. Se ne discute da qualche anno in diverse democrazie europee: far votare i più giovani per bilanciare l’età media della base elettorale sempre più anziana e perciò orientata verso politiche che tutelano i propri interessi e non guardano al futuro delle nuove generazioni. Ad aprire le urne agli under 18 in Europa ha iniziato l’Austria nel 2007, seguita a ruota da alcuni Laender tedeschi. Più recentemente la questione ha attraversato il Regno Unito, dove un anno fa l’allora leader laburista Miliband, durante la campagna elettorale, annunciò che se avesse vinto le elezioni, avrebbe permesso ai sedicenni di far sentire la propria voce. A vincere è stato Cameron e non se n’è fatto più nulla, ma oltremanica il dibattito ha continuato ad appassionare. A confermarlo è il fatto che in Scozia, il suffragio allargato sperimentato nel referendum sull’indipendenza nell’autunno scorso, sarà esteso anche alle elezioni politiche del prossimo maggio.
A sud del Brennero invece, un vero dibattito sul voto ai sedicenni non ha mai preso piede. In Italia, al primo posto in Europa per anzianità della popolazione, se si esclude qualche timida proposta di Sel e M5S (e il Pd che per statuto fa votare i sedicenni accompagnati dai genitori alle primarie), questo tema è sempre rimasto fuori dalle agende politiche dei partiti nostrani, impegnati con l’estenuante dibattito sulle riforme costituzionali e la modifica della legge elettorale.
Un’assenza che non stupisce visto che siamo il paese con le soglie d’età per entrare in Parlamento tra le più alte al mondo (25 anni per essere eletti alla Camera e 40 per il Senato). Ringiovanire l’elettorato attivo e passivo pare non essere una priorità, tantomeno dopo che si è assistito, con l’insediamento nel 2013 dell’ultima legislatura, ad un ricambio generazionale nella composizione di Camera e Senato. Ringiovanimento ben rappresentato dai governi Letta e Renzi.
Intrappolati dal Welfare dei nonni. Se con le elezioni del 2013, anche per effetto dell’onda della cosiddetta antipolitica, l’età media dei parlamentari è diminuita, quella della base elettorale rimane sempre sbilanciata verso le classi d’età anziane: per dare un’idea, se in occasione di un’elezione politica andassimo fuori dalle urne vedremmo tre elettori over 65 per ogni elettore under 25. ”Estendere il voto ai sedicenni sarebbe una riforma a costo zero – dice il demografo Alessandro Rosina, – che avrebbe il merito di allargare il segmento dei giovani nell’elettorato, i più interessati a fare scelte sostenibili per il futuro del paese”. Si può supporre – continua – che questa disparità di peso intergenerazionale ed elettorale abbia ridotto l’attenzione politica verso i giovani che ora si trovano con il tasso di disoccupazione più alto d’Europa (40% tra i 18 e i 24 anni) e 2 milioni e mezzo di under 30 abbandonati in mezzo al guado tra la fine degli studi e l’entrata nel mondo del lavoro. Mentre quelli che hanno la fortuna di lavorare, lo fanno in modo saltuario e con remunerazioni più basse dei loro coetanei europei. Versando di conseguenza meno alle casse della Previdenza già gravate dai trattamenti di favore riservati in passato ad alcune categorie”. Giovani che, per il loro peso sempre più esiguo, si vedono esclusi dai benefici di politiche pubbliche che negli anni hanno destinato la maggior parte della spesa sociale a pensioni e sanità, e mai a investimenti in ricerca e sviluppo o a misure tese a favorire la loro autonomia, vedi per esempio alla voce politiche abitative o di sostegno al reddito, pressoché inesistenti in questo paese. E così i giovani si trovano dipendenti dalle pensioni di nonni e genitori che ne controllano il destino a lungo.
Ilvo Diamanti, politologo, fornisce numeri sulla condizione giovanile che fanno venire i brividi. “Il 70 % dei giovani italiani sotto i 25 anni – sottolinea – pensa che per avere un futuro professionale bisogna andarsene altrove. Non hanno cioè un’idea di futuro collegata con questo paese. E quando devono chiedere aiuto, sanno che sarà la famiglia e non lo Stato a darglielo. Diversamente da qui, nel resto d’Europa a un certo punto diventi adulto”.
Senza futuro, complici dei genitori. Come invertire allora la tendenza che vede la classe politica cercare i voti tra quelli che hanno i capelli bianchi piuttosto che tra coloro che si stanno affacciando alla vita adulta? Allargando il suffragio ai sedicenni, i partiti italiani sarebbero costretti a modificare le loro strategie per catturare il voto dei più giovani? Su questo è cauto Diamanti: “Difficile stabilire se una misura di questo tipo potrebbe avere qualche effetto immediato sulla politica italiana, sicuramente nel bilancio del marketing elettorale il segmento dei giovani aumenterebbe il suo peso”. Però i sedicenni e diciassettenni italiani sono pochini. “Sono circa un milione 142 mila, il 2,2% della popolazione – ricorda il politologo – Nessun partito se ne avvantaggerebbe e di certo non rovescerebbero gli orientamenti elettoralì. Alla luce di certi numeri è difficile immaginare che qualche partito si possa impegnare per modificare la legge elettorale in questa direzione”.
“Un partito – rifeltte ancora Diamanti – potrebbe fare propria la questione per il valore simbolico che ha il tema dell’estensione dei diritti civili. Ma non perché attratto da quella fascia di elettori”. Soprattutto considerato il fatto che non si riscontra una richiesta simile provenire dalla società. “Il vero problema – prosegue – è che i giovani italiani sono pochi e sbiaditi, non sono un soggetto politico come lo erano fino a qualche decennio fa, non sono più capaci di imporre alcuna questione nel discorso pubblico. Gli unici giovani che sono riusciti a imporre una questione, che fanno notizia, sono quelli che arrivano disperati sulle nostre coste. Ma vengono da altrove”.
Fonte: repubblica.it | Autore: Fabio Butero