Un Guido Rossa islamico

Un Guido Rossa islamico

Il 29 novembre 1977 un commando di terroristi aderenti alle Brigate Rosse sparò al volto del vicedirettore de “La Stampa” Carlo Casalegno, che morì 10 giorni dopo per la gravità delle ferite ricevute. Il giorno seguente Giampaolo Pansa, allora cronista di Repubblica, scrisse un pezzo – giustamente celebre – sulle reazioni all’attentato da parte della “proletariato” basato su dichiarazioni e e sensazioni raccolte ai cancelli di Mirafiori.

Rossa--U160759798791V7G-565x260Dalle interviste di Pansa agli operai FIAT uscì il quadro di una divisione all’interno della classe operaia, con una minoranza nettamente antibrigatista, qualche dichiarazione di simpatia per i terroristi e una maggioranza sostanzialmente dubbiosa o equidistante, portata a ragionare in termini di lotta di classe con dichiarazioni del tipo “se ammazzano un operaio non succede nulla” o “dobbiamo scioperare se ammazzano i borghesi?”. Pertanto – volendo considerare l’universo metalmeccanico della FIAT come rappresentativo della realtà operaia italiana – l’estremismo brigatista poteva contare se non sulla solidarietà, almeno sulla neutralità di una parte importante dei lavoratori italiani. O almeno così loro credevano.

Connivenza o neutralità non si limitavano solo alle fabbriche, ma l’estremismo di sinistra aveva i suoi legami anche dentro l’élite della società italiana, considerato che in alcuni importanti salotti si brindò all’attentato a Indro Montanelli (lo ricordava lui stesso) e che uno dei più odiosi assassinî – quello di Walter Tobagi – venne compiuto da un moccioso di estrazione altoborghese, il giovane Marco Barbone, che sparò il colpo di grazia e dopo una breve carcerazione si pentì (aggiungendo all’omicidio la macchia del tradimento) per diventare poi dirigente di CL e giornalista del Giornale.

L’estremismo terroristico di ispirazione comunista faceva parte – per usare una espressione nota – dell’album di famiglia della sinistra italiana. Minoritario. Settario. Marginale. Ma proveniva da lì e dunque isolarlo era necessario soprattutto per la parte democratica della sinistra stessa, da quanti volevano segnare chiaramente l’esistenza di un baratro tra la critica sociale (anche netta) e la violenza politica. Questo lo capirono con molta chiarezza i leader delle due principali organizzazioni politiche della sinistra – il PCI e la CGIL – Enrico Berlinguer e Luciano Lama. Nettissimi e severissimi contro il terrorismo. L’estremismo assassino andava isolato nelle fabbriche, nel sindacato, nel partito, nella società. Senza ambiguità, senza distinguo e senza sudditanza verso certi “amici fiancheggiatori” delle B.R. come l’OLP o alcuni servizi segreti di Paesi aderenti al Patto di Varsavia.

Ma la sconfitta culturale dell’estremismo di sinistra apparve evidente il 24 gennaio 1979, quando a Genova venne assassinato Guido Rossa, comunista, sindacalista, operaio. Denunciò la presenza di fiancheggiatori dei terroristi in Italsider, non si spaventò per le minacce ricevute, testimoniò in tribunale e pagò con la vita il suo coraggio civile. Guido Rossa era comunista, ma non era terrorista, perché non tutti i comunisti erano brigatisti ma – questo è il punto centrale – tutti i brigatisti erano comunisti. E la vittoria della Repubblica democratica passò anche attraverso la capacità della sinistra italiana – al vertice come alla base – di fare pulizia, di denunciare le proprie stesse frange fanatiche. Di salvarsi da sé stessa.

E’ esattamente questo che si chiede alle comunità islamiche. Perché per esse vale esattamente quello che valeva per i comunisti negli anni ’70. Non tutti i comunisti erano brigatisti, ma tutti i brigatisti erano comunisti e così oggi non tutti i musulmani sono jihadisti, ma tutti i jihadisti sono musulmani e dunque e dentro quella comunità che bisogna che finalmente si batta un colpo. Le nobili e nette parole dell’Imam di Monfalcone non possono restare isolate. Le comunità islamiche hanno bisogno di trovare i loro Enrico Berlinguer e Luciano Lama, ma anche i loro Guido Rossa, persone semplici, singole, libere, coraggiose, che nella lotta tra fanatismo e democrazia scelgano la democrazia non in silenzio, ma con i fatti e con l’azione.

Certo, poi possiamo ragionare sugli errori dell’Occidente. Sui molti Frankenstein creati da strategie politiche e militari scadenti. Sugli interessi indecenti che legano assieme dittature, petrolio e armi. Ma questo non può prescindere dall’obbligo politico e morale delle comunità musulmani di fare la loro parte. Anche loro – come il PCI e la CGIL – devono agire per salvare l’Islam da sé stesso.

Marco Cucchini | Poli@archia (c)

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