Vorrei fuggire alla retorica tipica dell’inizio di gennaio che porta – anno dopo anno – invariabilmente a definire come “cruciali” o “fondamentali” i 12 mesi che seguiranno. Però alcuni processi – in Italia come all’estero – andranno tenuti comunque sotto attenta osservazione perché dai diversi possibili esiti di ciascuno di essi dipenderà la valutazione complessiva che potremmo dare dell’anno appena iniziato.
Tra le molte questioni sul tappeto ne individuo tre che su questo blog seguiremo con particolare attenzione: l’eterna transizione italiana; la possibile ricerca di un nuovo equilibrio in Europa e le elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Renzi, ma non solo. L’anno che si apre sarà all’insegna di una campagna elettorale permanente, cosa della quale – a ben vedere – il Paese non avrebbe proprio bisogno, ma tant’è. In primavera inoltrata si voterà per il rinnovo di alcune fondamentali amministrazioni locali: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Sono tutte città simbolo, tutte città governate dal centrosinistra (con l’eccezione anomala di Napoli) che quindi da questa tornata elettorale potrebbe sperare di ottenere al massimo delle riconferme.
Matteo Renzi nega che questa tornata amministrativa possa avere una valenza politica, ma si tratta di dichiarazioni scaramantiche prive di sostanza. Da almeno 40 anni i turning point della politica italiana sono anticipati da processi bottom-up: le amministrative del 1975 furono la premessa della grande avanzata elettorale del PCI del 1976; quelle del 1990 anticiparono l’esplosione del fenomeno leghista; il 1993 aprì le speranze della c.d. “stagione dei sindaci”, base della vittoria dell’Ulivo nel 1996; la storica sconfitta della sinistra a Bologna nel 1999 fu il trailer della sconfitta elettorale del centrosinistra nel 2001 mentre i trionfi del 2005 ne annunciarono il rilancio. Insomma, tentare di derubricare le 5 competizioni che ho citato (e le altre minori) a mero fatto locale sono chiacchiere da talk–show, strumenti di marketing politico, ma la realtà è ben diversa: queste sono elezioni vere, un banco di prova per il “partito della Nazione” (cioè una forza politica di centro moderato, che guarda a destra e pesca a sinistra) e – nei ballottaggi – un test sul possibile funzionamento dell’Italicum per capire se il progetto politico di Matteo Renzi sia aggregante o meno.
Pertanto, la situazione è più intricata di quanto non sembri. Il centrosinistra non esiste più, al suo posto vi è un partito-cartello leaderistico e un pulviscolo di sigle unite solo dall’avversione per il nuovo uomo forte della politica italiana. Torino e Bologna sembrano realtà sotto controllo per il premier e dunque da lì non dovrebbero giungere sorprese. Diversa la situazione nelle altre tre città del pentacolo magico: a Napoli Luigi De Magistris cerca la rielezione ed è noto che tra lui e Matteo Renzi non scorra buon sangue… Il premier vorrebbe un sindaco più centrista e ubbidiente ma non ha grandi nomi da opporre: Antonio Bassolino sarebbe un ritorno al 1993 (ma senza il medesimo entusiasmo e freschezza) mentre Gennaro Migliore un insulto a quell’elettorato di sinistra che pure si vorrebbe conquistare in un eventuale ballottaggio. Discorso analogo per Milano, dove il candidato renziano Sala alle primarie potrebbe non fare il pieno neppure nel suo partito e ha un seguito elettorale tutto da verificare e questo per non parlar di Roma, dossier gestito in maniera talmente disastrosa da rendere possibile la stessa esclusione del PD da un eventuale ballottaggio.
Chi non ha nulla da perdere da questo 2016 è la destra, almeno apparentemente. Nessuna delle grandi amministrazioni al voto è sua espressione e nelle competizioni locali le performance elettorali dell’ex coalizione berlusconiana sono sempre state di qualità inferiore rispetto alle campagne nazionali. Però, un conto è perdere, un conto è la disfatta: che ne è del grande partito moderato e liberale che prometteva Silvio Berlusconi? E – soprattutto – perché Berlusconi fa ancora politica? Solo per le aziende? Per cocciutaggine? Per orgoglio? Per i processi? Quale che sia la ragione, le volte in cui le cronache riportano una dichiarazione o una iniziativa proveniente dall’ex Sultano di Arcore, giungono a noi echi remoti, madeleine politiche che riportano la mente a un’epoca passata. E una eventuale vittoria a Roma con Giorgia Meloni (per me improbabile, ma vallo a sapere…) lungi dall’essere un vantaggio per Berlusconi finirebbe per diventarne la sua pietra tombale politica: la definitiva conferma che è l’estremismo populista ha preso la guida del lato destro dello spettro politico e che 20 anni di berlusconismo non hanno consentito la creazione di un grande partito conservatore e repubblicano, questo è il principale fallimento dell’esperienza politica di Berlusconi e – in prospettiva – l’ostacolo a una reale alternanza nel governo del Paese. Pertanto, per Forza Italia (se esiste ancora) e per Silvio Berlusconi queste amministrative – in assenza di fatti nuovi – non porteranno vittorie, ma solo modalità diverse di sconfitta.
Rimane il Movimento 5 Stelle. Le espulsioni degli ultimi giorni sono state autolesionistiche, riconfermando la natura autoritaria e antidemocratica del suo dibattito interno, proprio ora che i sondaggi dimostrano come possibile una vittoria elettorale in una eventuale competizione politica. Eppure, la conquista di Roma è non solo possibile, ma addirittura probabile. Eppure l’eventuale ballottaggio alle politiche è contendibile e quindi un qualsiasi stratega politico suggerirebbe al “Movimento” di rafforzare la propria credibilità come forza di governo al fine di attrarre potenziali indecisi. Ma invece no, si perdono in narcisismi e ideologismi, in vendette interne e sotterranei scontri di potere e l’evoluzione da forza politica “antisistema” a costituzionale alternativa di governo è ancora rinviata.
E così, voglia o no, la sola forza inserita pienamente nel dibattito politico europeo, con una linea di governo spesso discutibile ma comunque realistica rimane il PD. Ma questa non è una risorsa, bensì un limite. Il “monopartitismo imperfetto” che si è affermato negli ultimi 2 anni può essere utile alla carriera politica di Matteo Renzi e di chi gli si stringe attorno, ma è insano per il funzionamento della democrazia in Italia e l’intreccio di tre fattori – il ricollocamento al centro del PD, il crollo di FI e l’inutilità sistemica del M5S – rischia di bloccare la democrazia italiana ben più di quanto non facciano il bicameralismo paritario o una legge elettorale proporzionale.
Comunque vadano le amministrative, dunque, la situazione resterà oscillante tra il blocco e il rischio di implosione. La vera svolta potrebbe essere il referendum confermativo previsto per fine anno, al termine del turbolento processo di riforma costituzionale iniziato nel 2014. Un referendum trasformato in plebiscito sulla figura del premier, come in certe democradure del Sudamerica e una scelta drammatica per molti elettori: far vincere i SI e accettare che entri in vigore una pessima riforma (i cui danni si trascineranno per anni) o far vincere i NO e creare il vuoto politico? Padella o brace?
Ma – come dicevo in apertura – il quadro italiano non è il solo da monitorare con attenzione in questo 2016. L’esito della crisi politica spagnola potrebbe avere ripercussioni in tutta l’Unione, perché l’eventualità di un governo di sinistra rafforzerebbe il fronte “anti rigore” e potrebbe quindi mutare gli equilibri e le politiche europee, cosa che difficilmente accadrebbe con un governo conservatore o con una grande coalizione. E poi le presidenziali USA, con la scommessa tra Hillary e l’ignoto… Anche queste vicende le seguiremo da vicino, ma non oggi.
Per oggi basta e avanza.
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)