In questi primi giorni del 2016 si legge da qualche parte, autorevoli quotidiani online inclusi, di una presunta guerriglia democratica – nel senso di appartenenti al Partito Democratico – pronta ad intervenire e sedare il M5S. Terreno di scontro il web. Le armi, sempre da come si apprende, affilati e taglianti hashtag.
Se il web, e i social media, siano davvero uno strumento di misura per valutare e rilevare sentimenti e umori dell’opinione pubblica è ormai questione annosa. Come è annosa, e forse anche superflua, la relativa domanda se i social siano in grado o meno di influenzare le intenzioni di voto o di orientare le opinioni. Dalle ultime elezioni diverse analisi ne hanno evidenziato luci e ombre. Diciamo in particolare ombre, dal momento che – ad esempio – nella campagna elettorale del 2013 maggior peso hanno avuto lo scambio di opinioni nella rete di amici e conoscenti rispetto a specifiche applicazioni web.
Che lo scontro politico si sia ormai paralizzato sull’asse Pd-M5S non è una novità in seguito a uno sgretolamento progressivo del centro-destra, come non pare di conseguenza strabiliante il fatto che tale scontro, specie fra i sostenitori, si mobiliti anche online. Uno scontro che esime, invece, le personalità dei singoli leader dal momento che un recente sondaggio Demos rileva un Renzi come personaggio bifronte, peggiore e migliore allo stesso tempo, e un M5S dove “coabitano e configgono molti non-leader. Intorno a Grillo, megafono sempre meno ascoltato” scrive Ilvo Diamanti.
In un’Italia dove la tv è il media indiscusso e il territorio diventa il reale terreno di scontro e confronto (in bene o in male) la querelle di lotta, di tweet, e di governo appare estremamente velleitaria e ci consegna, ancora una volta, un vuoto che investe i media e la politica spesso troppo impegnanti a inseguirsi vicendevolmente, contribuendo, talvolta, ad un comunicazione piuttosto autoreferenziale (in tal senso basta connettersi a Twitter).
Dall’inutilità di questo improbabile “scoop” ne deriva innanzitutto la necessità di assistere il meno possibile ad esclusivi racconti di demonizzazione dell’avversario spesso troppo in auge nei tanto discussi talk show, e magari – d’altra parte – iniziare a pensare a un tipo di comunicazione che si concentri più su messaggi propositivi al fine di rinsaldare la base ma sopratutto a persuadere gli astenuti. Il primo partito di sempre.
Fonte: Huffingtonpost.it | Autore: Alessia Zuppelli