In queste settimane si sta discutendo/litigando sul D.D.L. “Cirinnà” volto a riconoscere anche alle coppie formate da persone del medesimo sesso una gamma di diritti di natura patrimoniale e familiare, al fine di colmare un gap ormai imbarazzante tra il diritto italiano e quello del resto del mondo civilizzato.
Leggendo le polemiche e le argomentazioni dei contrari mi sono sentito riportare indietro nel tempo e nello spazio, per la precisione a Tarcento – paesuccio della provincia di Udine, 9000 abitanti circa – nella seconda metà del 2001. All’epoca venni nominato dal Consiglio Comunale membro della commissione incaricata di redigere il nuovo Statuto. Non ero un consigliere ma la commissione prevedeva la presenza di tecnici esperti e i Democratici di Sinistra indicarono il mio nome e – indegno come sono – ne venni nominato presidente.
Il lavoro fu svolto in un clima di sostanziale concordia tra le varie forze politiche (a parte certe polemiche sulla figura del vicesindaco e della presidenza del consiglio comunale, ma nulla di che, zuffe da pollaio politico di scarsa importanza…) e il lavoro complessivo fu sostanzialmente concorde. Certo, il commissario della Lega Nord voleva che lo statuto proibisse le preghiere pubbliche dei residenti di fede musulmana e gli si dovettero leggere un paio di articoli della Costituzione per convincerlo che questo non fosse possibile… Certo io volevo l’incompatibilità tra membership del consiglio e della giunta ma un po’ di telefonate concitate da parte di assessori in carica fecero cadere la cosa.
Lo scontro vero fu sul concetto di “famiglia”. E fu scontro pesante. Ricordo ancora come nacque quella questione: la prima bozza dello Statuto prevedeva un articolo un po’ banalotto sull’impegno del Comune a tutela della famiglia. E poiché già da alcuni anni il tema del riconoscimento in una qualche forma delle c.d. “unioni di fatto” – indipendentemente dal sesso dei componenti – aveva iniziato a manifestarsi nel dibattito pubblico decisi di inserire un inciso volto al riconoscimento di una dignità per le unioni diverse dalla famiglia tradizionale:
Il Comune riconosce la dignità delle unioni familiari e affettive fondate sull’amore e sul rispetto reciproco, ne tutela i diritti dei componenti secondo le vigenti leggi e promuove le necessarie politiche per favorire il libero svolgimento delle riconosciute funzioni sociali e superare le eventuali situazioni di disagio.
Certo, come comune non potevamo fare di più, in fondo si trattava solo di una semplice frasetta senza grandi pretese, ma fu sufficiente a far esplodere la santabarbara. I commissari cattolici (del CCD-CDU) iniziarono una lotta che costrinse la commissione a riunirsi varie volte, senza trovare un punto di intesa. Io mi ero incaponito – come presidente – a depositare in consiglio uno Statuto unanime, ma non se ne veniva fuori. Il punto di massima tensione fu quando l’arciprete inviò una lettera al Sindaco per ricordargli le radici cristiane della comunità che era chiamato a governare e che diede alla LN l’occasione per sfilarsi e scatenare una crociata sui giornali locali.
Alla fine però il progetto di Statuto venne approvato a larga maggioranza. E questo fu grazie, soprattutto, a Forza Italia che ruppe il “fronte del rifiuto” chiedendo solamente che l’articolo sulla famiglia e quello sulle “unioni familiari e affettive” (categoria giuridica inventata di sana pianta) fossero distinti. Una richiesta di forma, dunque, ma non di sostanza. Accolta la quale il testo passò con la maggioranza qualificata richiesta ed è ancora lì, immodificato. E a Tarcento le famiglie “tradizionali” esistono ancora. La gente si fa battezzare in chiesa e in chiesa si svolgono i funerali. Tutto procede come sempre.
Che dire, mi fa piacere che – dopo 15 anni – la Repubblica Italiana riesca a raggiungere perlomeno il livello evolutivo del Comune di Tarcento.
Marco Cucchini (C) Poli@rchia