L’importanza del voto in Iowa ha più una valenza simbolica che un’importanza numerica: i delegati in palio sono pochi ma il primo round di primarie è da sempre il più atteso ed è qui che i candidati investono le loro prime risorse. È anche qui che gli sfidanti, da ambo le parti, creano il loro primo “momentum”, nel quale tutto il focus mediatico è concentrato su chi ha vinto e su chi ha perso.
L’Iowa premia tradizionalmente il candidato più conservatore: qui nel 2008 per il GOP la spuntava Mike Huckabee e nel 2012 Rick Santorum. Sappiamo tutti come andò poi a finire. Dunque quanto è importante la vittoria di Cruz e la rimonta di Rubio? Molto, nonostante tutto. Un po’ per il metodo un po’ per gli avversari. Partiamo dal metodo.
A scuola di comunicazione politica da Ted
Ted Cruz non è nuovo alla politica: collaboratore di George W. Bush fin dai primi anni 2000 si è conquistato “dal basso” la carica di senatore solo nel 2012, trascinato da una campagna grassroots tutta cuore. Qui sotto la foto che abbiamo scattato al Freedom PAC di Dallas, nel luglio del 2012.
Il ground game di Cruz in questo esordio delle primarie è stato impeccabile: piccoli comizi, visite nelle comunità, incontri con i pastori, porta a porta.L’approccio della comunicazione politica tradizionale contro i metodi “non convenzionali” di Donald Trump che del chiasso mediatico e del buzz sui social media ha fatto un vero cavallo di battaglia. La strategia “old school” del senatore texano – da sempre mal digerito dall’establishment di Washington – ha avuto successo nel primo stato davvero conservatore.
Ne è convinto anche Cristiano Bosco, giornalista (Linkiesta, Il Giornale) ed esperto di politica americana: “Dal punto di vista della comunicazione, Ted Cruz è colui che meglio ha investito sull’Iowa, con una presenza costante e capillare: il suo profilo, molto improntato sui temi etici e sui valori religiosi, ha rappresentato l’appeal giusto per gli elettori evangelici dello Stato – sicuramente molto più di Trump, newyorkese con tre matrimoni alle spalle”.
Cappellini rossi e tweet
The Donald, che mal digerisce la seconda posizione, ha pagato la sua campagna “non tradizionale” in un campo troppo tradizionale. Commenta Cristiano: “Trump ha investito più in cappellini rossi (true story!) che in spese strategiche, di analisi o di staff sul territorio”. Tramontato Jeb, le gerarchie del GOP trovano tuttavia un ultimo appiglio dell’ottima performance di Rubio: il suo “New American Century” lo proietta in un immaginario di ottimismo giovanilistico ideale per un possibile duello finale con i vecchietti Clinton e Sanders.
E in casa dem? “È impossibile non notare la deludente performance di Hillary Clinton. Da otto anni è la candidata inevitabile, e a dispetto di investimenti, una macchina elettorale senza pari, endorsement ovunque e la discesa in campo del marito, non riesce a sfondare – e questa volta l’avversario non era il giovane emergente di belle speranze Barack Obama, ma un anziano senatore socialista. È evidente che, agli americani, e agli stessi democratici, Hillary stia simpatica quanto lo era Mitt Romney”.
I nipotini di Bernie
Dall’altra parte della barricata, il vecchio Bernie, con il suo slogan tutto emozioni (“Feel the bern”) infiamma i giovani, riuscendo nell’impresa di“presentarsi come nuovo e anti-sistema, pur essendo da una vita a Washington”. Un incredibile 84% di under 30 hanno supportato il 74enne senatore del Vermont. Barack Obama, a confronto, conquistò solo il 57% dei cuori più giovani. E Hillary? Il 69% dei suoi elettori nel caucus dell’Iowa sono over 65, mossi più dalla Clinton-nostalgia che da qualche post su Facebook.
Insomma, in questo primo round si può proprio dire che “Volantini battono social media”: vediamo cosa succederà al secondo!
Autore: David Mazzerelli | Fonte: www.ninjamarketing.it