Risposte pericolose alla crisi dei rifugiati

Risposte pericolose alla crisi dei rifugiati

Di fronte alla crisi dei rifugiati, l’Europa è riuscita solo a decidere un meccanismo di solidarietà per la redistribuzione di queste persone nei vari paesi UE. Ma l’attuazione del piano procede con grande lentezza. Intanto, però, circolano idee pericolose su possibili soluzioni dell’emergenza.

L’emergenza

Secondo i dati dell’Ufficio coordinazione affari umanitari dell’Onu (Unocha), il conflitto in Siria ha creato finora 13 milioni e mezzo di persone in necessità di assistenza umanitaria e circa 4,6 milioni di rifugiati. Nel 2015, più di un milione di persone ha attraversato il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee. Il numero di rifugiati che hanno cercato di arrivare in Grecia via mare è aumentato di venti volte tra il 2014 e il 2015. In Italia, nel 2015, gli sbarchi sono stati inferiori a quelli dell’anno precedente, ma solo marginalmente (Unhcr). L’emergenza non sembra essere rallentata nel 2016. I rifugiati sbarcati in Grecia sono già più di 74mila e un report pubblicato a fine gennaio da Unhcr prevede che nel corso dell’anno circa un milione di persone potrebbe tentare il viaggio attraverso il Mediterraneo o la rotta dei Balcani. Per i migranti e rifugiati, infatti, la Grecia è la porta della rotta balcanica che, attraverso Macedonia, Serbia, Croazia, Ungheria, Slovenia e Austria, conduce ai paesi del Nord Europa. Sono in pochi quelli che si fermano lungo la strada. Fino a oggi, le richieste di asilo che i paesi europei hanno ricevuto da parte di rifugiati Siriani sono in totale 600mila. Più della metà sono state dirette a Germania e Svezia, e un altro 30 per cento a Ungheria, Austria, Olanda, Danimarca e Bulgaria. In tutto il 2015, solo 21 persone hanno fatto richiesta di asilo in Croazia e 144 in Slovenia. E benché spesso i titoli a effetto dei giornali suggeriscano il contrario, la maggior parte dei rifugiati che scappano dal conflitto in Siria trova asilo nei paesi limitrofi. L’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che poco più del 10 per cento di quanti hanno lasciato la Siria si sia diretto in Europa.

La risposta europea

Gli abitanti delle isole greche, dove la maggior parte dei rifugiati è inizialmente soccorsa, potrebbero essere candidati al premio Nobel per la pace in virtù del “senso di empatia e dell’abnegazione” dimostrati nei confronti dei migranti. La risposta ufficiale dell’Europa è stata in generale più lenta e disorganizzata. L’anno scorso, i capi di Stato e di governo dell’UE hanno raggiunto un accordo su un meccanismo di solidarietà che dovrebbe distribuire nei diversi paesi UE circa 40mila rifugiati siriani ed eritrei arrivati in Italia e Grecia.  A settembre 2015 si è deciso di ampliare lo schema e re-distribuire 120mila rifugiati da Grecia, Italia e Ungheria, per un totale di 160mila da raggiungere in due anni. Come procede l’attuazione del meccanismo di solidarietà? Finora, piuttosto lentamente. Secondo dati recenti pubblicati dalla Commissione europea, al 15 febbraio 2016 (quindi nei primi 4 mesi) solo 288 persone dall’Italia e 295 dalla Grecia erano state trasferite verso altri paesi. Francia e Finlandia sono quelli che ne hanno accolto il numero maggiore. Nello schema di solidarietà, il target di rifugiati da trasferire è di 39.600 persone dall’Italia e 66.400 dalla Grecia. Per raggiungerlo in due anni (come previsto dall’accordo), sarebbe necessario spostare circa 1.650 persone al mese dall’Italia e 2.767 dalla Grecia, numeri molto superiori a quelli raggiunti da ottobre 2015 a gennaio 2016. Se il ritmo dei trasferimenti rimanesse quello registrato in media finora, servirebbero 46 anni per raggiungere l’obiettivo di trasferimenti dall’Italia e 75 anni per raggiungere il target per la Grecia.

Tabella 1 – Trasferimenti da Italia e Grecia, al 15 febbraio 2016

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Fonte: Commissione europea

Proposte pericolose

In parte, la lentezza iniziale è fisiologica: mettere in piedi uno schema di ri-localizzazione è complesso e richiede certamente tempo. Ma purtroppo gli Stati membri sembrano sempre più riluttanti a premere sull’acceleratore. Ogni giorno emergono proposte nuove per gestire l’emergenza, sempre più confuse e potenzialmente sempre più dannose. Ne è un esempio l’idea di mandare guardie frontaliere o truppe dai paesi UE in Macedonia (un paese non-UE) per sigillare il confine con la Grecia (un altro Stato UE). Ovviamente, l’unico risultato di una simile azione sarebbe quello di intrappolare centinaia di migliaia di rifugiati nel paese che in questo momento vive la situazione economica peggiore dell’intera Unione Europea, creando una situazione potenzialmente esplosiva. Questi pochi dati sono sicuramente sufficienti a dare l’idea dell’entità dell’emergenza e della lentezza nella sua gestione. La nuova sfida ha dimostrato di poter mettere a dura prova la già ridotta coesione politica tra gli Stati membri dell’UE. Il summit europeo del 18 e19 febbraio sarà certamente dominato dal tema della crisi dei rifugiati e cruciale per capire cosa aspettarci per il futuro. La priorità dovrebbe essere quella di spingere concretamente per una attuazione più rapida del meccanismo di solidarietà. Oppure si dovrebbe discutere dell’apertura di canali umanitari, che permetterebbe di identificare i rifugiati nei paesi di origine e di accoglierli evitando loro la pericolosa traversata del Mediterraneo e il passaggio obbligato per Grecia e Italia. Un’idea simile è stata fatta circolare nei giorni scorsi dall’Olanda: prevede che i paesi UE accolgano su base volontaria 250mila rifugiati all’anno dalla Turchia, che in cambio dovrebbe cercare di ridurre il traffico sulla rotta del Mediterraneo. La proposta ha diversi punti deboli. Primo, 250mila persone sono meno di un terzo di quelle che hanno attraversato il Mediterraneo l’anno scorso, quindi questo schema “minimo” potrebbe non bastare per ridurre l’immigrazione illegale. Secondo, gli ultimi mesi hanno chiaramente dimostrato la difficoltà di gestione della crisi su base volontaria. Seppure siano necessari molti miglioramenti, resta però una strada da esplorare prima delle altre idee, potenzialmente molto dannose, circolate nelle ultime settimane.

Fonte: lavoce.info | Autore: Silvia Merler

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