La domanda nascosta del 17 aprile…

La domanda nascosta del 17 aprile…

Domenica prossima Matteo Salvini andrà a votare per il referendum e voterà SI. La cosa mi ha colpito, non ricordavo che nel passato la Lega Nord o il suo leader si fossero particolarmente distinte per passione ambientalista. Ho fatto una ricerca online e ho trovato posizioni a favore della lobby dei cacciatori, posizioni a favore del consumo di suolo e contro i NoTav e – unica eccezione rilevante – un intervento di pochi secondi in Parlamento Europeo a sostegno dell’imposizione di dazi sul fotovoltaico cinese, laddove il centro del ragionamento non era lo sviluppo delle energie rinnovabili ma la guerra commerciale alla Cina. Anche Forza Italia voterà SI, malgrado i vari governi Berlusconi abbiano trattato l’ambiente con la stessa delicatezza con la quale Attila ha trattato Aquileia e dunque, ci si chiede, per quale ragione questa improvvisa svolta ecologista della destra italiana?

La risposta è ovvia: il referendum – di per sé – non conta tanto per il quesito, quanto per il messaggio politico che si vuole inviare. E in questo caso, il messaggio è chiaro: «stiamo arrivando». Le opposizioni – infatti – stanno facendo la prova generale per il referendum confermativo di ottobre che il premier – nel suo sconfinato egotismo – ha trasformato nel suo personalissimo Fosso di Helm. E il rischio è che si parli di lui e non dei contenuti della riforma e che il “con me o contro di me” finisca per annientare qualsiasi altro discorso sulla Costituzione che c’è e su quella che (forse) verrà. Perché più il tema diventa “pro o contro Renzi”, meno conta il merito delle questioni da decidere e nel momento stesso in cui il premier ha detto “non andate a votare” il referendum ha smesso di riguardare le trivelle per diventare una partita tutta politica, una sorta di allenamento in vista del “partitone” del prossimo autunno.

referendum-trivelleMa quante divisioni ha l’armata di Matteo Renzi? Il dato stratosferico del 40,8% del 2014 è stato conseguito a fronte della più bassa affluenza nella storia repubblicana e gli 11.203.231 elettori che quel giorno hanno votato per il PD lo hanno fatto come apertura di credito verso la novità di un premier under40, fresco, energico, un po’ bullo ma entusiasta. Un voto-speranza, non un voto-bilancio, il corrispondente elettorale del Nobel per la Pace a Barack Obama, attribuito appena 9 mesi dopo il suo insediamento così, sulla fiducia.

Ma oggi, due anni dopo quel giorno di Gloria Imperitura la situazione è diversa: nessun voto-speranza ma voto-bilancio sull’operato del nuovo “uomo forte” della politica italiana, ultimo di una serie di “dittatori parlamentari” iniziatasi con Francesco Crispi nel lontano 1887. Oggi Matteo Renzi non è più “la novità” ma un leader che sta governando da 800 giorni e quindi ci sono elementi di valutazione sia per i supporter che per gli antagonisti, che sulla carta sono la maggioranza. Infatti, in quel 40,8% ci sono pure i voti di quanti hanno lasciato il partito in polemica con il Capo e secondo tutti i sondaggi oggi il consenso del PD (in continuo calo) oscilla tra il 30 e il 33% dei voti, a fronte di una presumibile affluenza alle politiche stimata attorno al 60%.

Siamo cioè, se va bene, a circa 10.000.000 di voti che dovranno andare tutti a votare compatti il prossimo ottobre contro le opposizioni politiche e sociali fuse assieme. Certo, se ne aggiungeranno altri al mucchio: gente entusiasta per l’abolizione dell’odiato Cnel (notoriamente causa di ogni male); sostenitori per il taglio dei senatori; menti semplici che sostengono che “fare qualcosa è pur sempre meglio di far nulla”. Quanti saranno? Altri 2-3.000.000 e siamo a 13.000.000 di potenziali SI.

E allora io sostengo questo… osserviamo il dato dell’affluenza del 17 aprile prossimo… Un referendum che è diventato un giudizio sul governo anche per le improvvide dichiarazioni pro astensione di Renzi. E qualora dovesse andare al voto un 30-35% di italiani, anche se il quorum non sarà raggiunto, avremo un dato importante su cui ragionare. Se 16-17.000.000 di elettori domenica prossima “disubbidiranno” all’invito a non votare e si recheranno alle urne saranno tanti potenziali elettori per il NO al plebiscito di ottobre e l’asticella di un leader che ha ottenuto i propri maggiori successi grazie all’affluenza bassa si alzerà di parecchio. Non basterà a Renzi confidare sulla disaffezione dei cittadini, nessuna rendita di posizione per lui. Per vincere a ottobre dovrà avere un voto in più dei contrari alla riforma e quindi dovrà mobilitare più elettori degli altri.

Matteo Renzi parte – volendo rendergli gloria – dagli 11.000.000 del dato 2014, i NO da quanti andranno alle urne domenica. E alle 14.00 di lunedì 18 sapremo chi – nella maratona politica che terminerà con ottobre – avrà preso il primo, momentaneo vantaggio.

Marco Cucchini | Poli@rchia ©

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