Un articolo molto interessante di wired.it, scritto da Simone Cosimi.
In Italia, così come in molti Stati americani, fare foto o video a seggio e scheda con la preferenza è vietato. Ma per l’app, che si è unita a un processo in corso, è un modo di spingere la partecipazione dei giovani. Saremo liberi di farci una selfie nella cabina elettorale mettendo in bella vista la scheda con la croce o il nome appena segnati? No.
In Italia è vietato dalla legge n. 96 del 30 maggio 2008, a sua volta frutto di un decreto-legge approvato un mese prima, nella quale la questione è chiarissima: “Nelle consultazioni elettorali o referendarie è vietato introdurre all’interno delle cabine elettorali telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini”. Si rischia, in linea puramente teorica, l’arresto da tre a sei mesi e l’ammenda da 300 a mille euro.
La preoccupazione del legislatore ruota fondamentalmente intorno alla possibilità di produrre una prova in caso di voto di scambio. Ma ai seggi nessuno ci obbliga a consegnare il telefono e basta silenziarlo per scattare in teoria tutte le foto che vogliamo.
Il voto di scambio, fra l’altro, non ha spesso bisogno di questa testimonianza: seggio per seggio i criminali fanno i conti e sanno bene come sono andate le cose.
Negli Stati Uniti il dibattito sta assumendo, come spesso accade su questi temi, un valore ben più ampio. Ma a tratti anche bizzarro vista la discesa in campo niente meno che di Snapchat, la chat effimera ormai piattaforma di riferimento nell’ecosistema sociale.
Il punto di partenza è simile al nostro. In alcuni Stati americani come la Pennsylvania questa pratica è vietata. Mentre lo scorso anno una corte federale del New Hampshire ha ribaltato un simile provvedimento dell’esecutivo locale sostenendo che effettuare una foto alla propria preferenza elettorale rientri nei propri diritti di opinione. Insomma, che sostanzi come molte altre pratiche il free speech che è alla base della concezione della libertà negli Stati Uniti come definita dal Primo emendamento alla Costituzione.
La vicenda giudiziaria non si è ancora conclusa ma nel frattempo Snapchat, il social dei ragazzini (e non solo), si è buttato nella mischia unendosi ad alcune associazioni per le libertà civili come il Reporters Committee for Freedom of the Press e ha proposto il proprio parere positivo e di sostegno alla prima corte, quella che ha bocciato il divieto.
La ragione? Eccola servita: “Si tratta di un modo attraverso il quale gli elettori, specialmente quelli più giovani, vengono coinvolti dal processo politico”. Negli Stati Uniti non esiste una legge federale sul tema, ogni Stato procede come gli pare ma la tendenza restrittiva è ben chiara: per esempio non si può in Alabama, Arkansas, Arizona, California, Georgia, Florida, Indiana, Kansas, Michigan, Wisconsin e in molti altri. In New Mexico non si capisce, in New Hampshire come detto al momento è consentito così come è permesso a New York, nel North Dakota, Washington o in Oregon e South Carolina. Si va dalle multe a divieti poco più che simbolici.
Secondo la polemica in corso, che in fondo fa leva anche da quelle parti sul voto di scambio, si tratterebbe di un falso problema. Perché – e questo è testimoniato ovunque, anche da una serie di casi di cronaca italiani – la pratica (del voto di scambio come delle foto in cabina) è già più che florida. I divieti sono cioè sostanzialmente inapplicabili a meno di perquisire ogni elettore.
Così un divieto contraddittorio diviene, secondo le altitudini alle quali viaggia il dibattito americano, un modo per restringere il proprio campo d’azione. Incidendo appunto sui diritti garantiti dal Primo emendamento. In fondo tanto la foto col voto quanto uno scatto al seggio possono costituire una prova del proprio impegno politico, come gli adesivi “I voted” che vengono distribuiti in molti luoghi statunitensi.
Al contrario dei timori, la possibilità di documentare ciò che accade nei seggi fotografando o filmando garantirebbe maggiore trasparenza, rendendo i cittadini testimoni di ciò che possa andar storto o essere deliberatamente compromesso o boicottato. Insomma, la tesi è duplice: non solo i divieti non servono, visto che vengono continuamente violati, ma probabilmente sarebbe più utile abolirli per consentire a tutti di condividere dubbi e perplessità sulle pratiche di voto. Una versione che non fa una piega.
In Italia sarebbe già un traguardo portarceli i più giovani, ai seggi. Un problema non troppo differente dagli Stati Uniti, dove il tasso di affluenza è fra i più bassi al mondo. “È proprio perché la selfie col voto prova che l’elettore ha esercitato il suo diritto che costituisce un’espressione di partecipazione civica – racconta Snapchat nel documento indirizzato alla corte del New Hampshire prima di sottolineare anche l’eventuale funzione “watchdog” – non c’è alcun sostituto a questo messaggio”. Chissà che non sia davvero così.