Il boom inatteso di Pokémon Go, l’applicazione di realtà aumentata che permette di dare la caccia ai famosi mostriciattoli tramite il nostro smartphone, si presta a numerose interpretazioni, che vanno ben oltre le consuete analisi sociologiche.
Ha sicuramente destato sconcerto in molti di noi la vista di nutriti gruppi di giovani (e meno giovani) alla spasmodica ricerca di Pokémon nei luoghi più disparati: parchi pubblici, riserve naturali, quartieri cittadini, addirittura zone a rischio o memoriali storici.
UN POTENZIALE IMMENSO. La Stampa ha raccontato le storie più curiose in cui sono stati coinvolti cacciatori di Pokémon non troppo avveduti, come quella dei due adolescenti canadesi che non si sono resi conto di aver attraversato il confine con gli Stati Uniti.
Per non parlare delle critiche piovute su quanti hanno trascurato gli impatti sulla propria incolumità o la delicatezza di certi luoghi: mi riferisco agli appelli rivolti, per esempio, dai gestori della centrale nucleare di Fukushima, da un’associazione che si occupa di campi minati in Bosnia-Erzegovina e dai responsabili di siti storici quali Auschwitz e il cimitero militare di Arlington.
Episodi che fanno riflettere sull’immenso e ancora sottovalutato potenziale degli smartphone che stringiamo per gran parte della nostra giornata: non solo strumenti di comunicazione, ma anche una lente tramite la quale trasformare la realtà che ci circonda e rendere un’attività banale come una passeggiata un’appassionante caccia all’ultimo Pokémon.
Un successo che ha molte chiavi di lettura
Partiamo dall’inizio: come hanno fatto le creature dei cartoni animati Anni 90 a spopolare nell’era dei social media?
Non dobbiamo dimenticare che il primo gioco incentrato sui mostriciattoli è del 1996. In un ventennio il mondo è cambiato radicalmente in termini di abitudini di consumo e tecnologie applicate al tempo libero, ma è proprio facendo leva sulle innovazioni degli ultimi anni che i Pokémon sono tornati sulla breccia.
L’applicazione nasce all’interno della galassia Google e si è rivelata, per usare un’espressione del Foglio, un affascinante progetto di “auto-disruption” del colosso di Mountain View.
PARTNERSHIP CON NINTENDO. La Niantic, la società che ha lanciato il gioco dell’estate in partnership con Nintendo, è infatti uno spin-off di Google, coagulatosi intorno a un’idea dell’allora dirigente John Hanke, oggi amministratore delegato.
Un tentativo di coniugare la propria passione per le mappe con la fissazione per i videogiochi, inizialmente limitato a quel 20% del proprio tempo che la grande G concede ai dipendenti per sviluppare progetti personali.
LA FIDUCIA DEGLI INVESTITORI. Google ha poi permesso a Niantic di staccarsi (mantenendo una quota del 30%) e di conquistarsi autonomamente la fiducia degli investitori, fino all’exploit registrato nell’ultimo mese.
Un successo che ha molte chiavi di lettura: una clamorosa operazione nostalgia per attirare gli ex adolescenti di allora (oggi dotati di maggiore potere di spesa), un eccezionale strumento per rendere i videogiochi statici del passato un lontano ricordo, un’attività che si integra perfettamente con l’esigenza costante di condividere con i propri contatti la gioia derivante dalla conquista di un esemplare.
L’app è emersa senza aggressive campagne di marketing
Sono elementi che si mixano quasi naturalmente e che hanno permesso all’applicazione di emergere senza aggressive campagne di marketing o particolari strategie pubblicitarie. Quando un prodotto intercetta i bisogni della società, la sua diffusione non ha bisogno di sforzi consistenti per decollare. Il successo di Pokémon Go fa riflettere anche sulle possibili innovazioni nel campo del marketing. Migliaia di giocatori alla frenetica ricerca di Pokémon sono infatti un target perfetto per posizionare in modo strategico un’attività di business.
NUOVE FRONTIERE PER LA PUBBLICITÀ. Il Financial Times ha immediatamente esaminato il fenomeno da un punto di vista pubblicitario, citando la possibilità di candidarsi a diventare una delle location nelle quali i cacciatori di Pokémon devono soffermarsi in alcune fasi del gioco.
Atul Goyal, un analista di Jefferies citato dal quotidiano finanziario, prevede già un’interessante competizione tra esercizi commerciali. Si parla inoltre di un prossimo film ma, soprattutto, di una potenziale partnership con McDonald’s (secondo Gizmodo).
Correre in un ristorante per un BigMac e poi fiondarsi in un parco cellulare alla mano? Il modo di “giocare” e di impostare il nostro tempo libero non sarà più lo stesso.
IL POTERE DI SCANDIRE LE NOSTRE GIORNATE. Il nostro rapporto simbiotico con i device tecnologici si arricchisce dunque di un’altra sfaccettatura: focalizzando il nostro sguardo sugli schermi, essi ci permettono di aprirci alle notizie dal mondo, di acquistare prodotti con un clic, di condividere un’esperienza e ora anche di divertirci per le strade della nostra città.
Sta a noi decidere il loro potere di scandire le nostre giornate e le scelte quotidiane, riservandoci sempre di alzare poi gli occhi per rivolgerli a ciò che ci circonda.
Fonte: lettera43.it | Autore: Gianluca Comin