Ci vorrebbero immaginazione, coraggio politico e lungimiranza strategica per tirar fuori l’Europa dal mezzo del guado in cui si ritrova da anni impantanata. In giro però finora si sono viste impotenza e incapacità di visioni collettive, timidezze e ripiegamenti individual-nazionali, cortotermismo politico, elettoralismi da cassetta.
Riusciranno il triumvirato di Ventotene domani e poi, a metà settembre, il vertice Ue di Bratislava a restituire vigore e credibilità interna e internazionale a un progetto comune spompato e sempre più contestato dai suoi stessi cittadini?
A furia di temporeggiamenti e rinvii, di mezze risposte tardive e non risolutive di crisi devastanti, che non a caso rispondono poco alle cure palliative, l’Europa in clamorosa perdita di autostima ha accumulato un eccesso di sfide da risolvere tutte insieme per non venirne schiacciata. Senza averne i mezzi e soprattutto il primo: la fiducia reciproca. La ricostruzione dopo la prima grande secessione della sua storia è il primo teorema esistenziale da sciogliere: uno shock culturale e identitario che rischia di lasciare segni profondi sulla sua pelle più che su quella degli inglesi decisi a prendere il largo.
Da ricostruire ci sono anche democrazie e società disorientate, quando non destabilizzate, dal crollo dei partiti tradizionali, dalla fine delle intermediazioni, dall’impatto con la nuova civiltà dell’innovazione tecnologica continua, dei social media, della comunicazione istantanea globale e di massa. Chi sono i veri decisori in questo nuovo brodo primordiale? Gli eletti o gli elettori? E con quali spazi e condizionamenti temporali: del sondaggio o della legislatura?
L’impresa è radicale e imponente, forse ancora di più di quella che è stata nell’immediato dopoguerra che le hadato i natali. I sognatori di Ventotene confortano ma non si sa quanto possano oggi aiutare e ispirare in un mondo capovolto costretto a misurarsi con l’età delle incertezze, lo stravolgimento degli equilibri e dell’ordine mondiale, il tramonto della centralità assoluta dell’Occidente, le incognite sul destino della Nato che si intrecciano a quelle sul futuro dei rapporti euro-americani. Per non parlare delle guerre alle frontiere di un’Unione risucchiata nell’arco della destabilizzazione afro-mediorientale che le rovescia addosso terrorismo, milioni di profughi e immigrati presenti e futuri insieme all’incontro-scontro con la galassia islamica dentro casa, l’imperativo della sua integrazione dentro le strutture e nel rispetto dei valori etici di società democratiche libere, prevalentemente laiche e paritarie.
Se questo è il perimetro delle sfide da affrontare, la tenuta e il rilancio dell’Europa come baluardo dei suoi Stati nazionali appaiono ancora più urgenti e necessari per la preservazione dell’identità culturale prima ancora che dell’edificio comunitario. Come? Tradizionalmente è la crescita economica il primo motore dell’integrazione e del consenso popolare all’avventura europea. E tale resta. Ma anche ammesso che tra Ventotene e Bratislava si riesca a carburarlo con forza (e non è affatto sicuro) e magari ad arricchirlo con concrete politiche anti-disoccupazione giovanile, la piaga del nostro tempo, questa volta da solo non basterebbe a far ripartire il convoglio.
Ci vuole un solido patto di sicurezza a garanzia delle frontiere esterne, di gestione dei flussi migratori dentro e fuori dall’Ue, di coordinamento delle politiche di governo di società destinate a farsi sempre meno omogenee e sempre più multiculturali. Con quale consenso e quale educazione al diverso tra chi accoglie e chi arriva?
Non è più rinviabile nemmeno la politica di euro-difesa. Prima di tutto perché non si può pretendere di vivere di rendita in eterno sulle spalle degli investimenti militari Usa. E poi perché non è chiaro quanto isolazionista sarà l’America del dopo-Obama, quindi quanto credibile resterà lo scudo Nato, quanto affidabile il bastione turco nel paese di Erdogan e quali siano le reali intenzioni della Russia di Putin, dall’Ucraina alla Siria passando dall’Iran e oltre. Ma quali e quanti investimenti nella difesa sono possibili nell’Europa dei testardi pacifisti?
Per provare a rispondere a queste domande e a queste sfide, domani a Ventotene si riuniranno Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande, il triumvirato italo-franco-tedesco dei volonterosi pionieri di una soluzione possibile a 27. Sia pure in modi diversi sono però tutti e tre leader deboli e in difficoltà interna con prove elettorali più o meno imminenti, quindi con margini di manovra ristretti. In cima alla loro agenda c’è Brexit, il sillogismo della crisi europea, la prova provata della dissolta fiducia intra-comunitaria. Potrebbe rivelarsi la frusta della ricostruzione, la molla per un atto di coraggio visionario contro tutti i pronostici. Ce ne sarebbe bisogno. E in fretta.
Fonte: ilsole24ore.com