A meno di 48 ore dal sisma che ha colpito l’Italia centrale, fioccano le polemiche sul motivo per il quale i terremoti continuino a mietere centinaia vittime in un paese, come l’Italia che è notoriamente a rischio terremoti e dunque dovrebbe essere preparato alle emergenze.
Tralasciando le considerazioni attinenti a responsabilità – personali o morali – circa i disastri avvenuti nei comuni colpiti, il dramma di questi giorni ripropone in verità la difficoltà del sistema istituzionale italiano di programmare e intervenire ragionando su scale temporali molto lunghe: di vent’anni o più. L’ex ministro dell’ambiente Corrado Clini, al quotidiano online Linkiesta, ha rivelato: «Nel 2012, dopo il terremoto in Emilia, presentai un piano da 40 miliardi di euro per la sicurezza del territorio, rischio sismico compreso. Non ebbe seguito, ma dobbiamo capire che, più che un costo, questi interventi vanno considerati un investimento, la grande opera di cui abbiamo bisogno».
La migliore difesa dai terremoti, e delle calamità naturali in genere, è infatti la prevenzione: che richiede una sapiente capacità di programmare investimenti di importi consistenti ma ripartiti su un programma pluriennale di orizzonte temporale molto lungo. E ciò significa che programmi di questo tipo vanno oltre l’orizzonte di legislatura: non premiano politicamente perché, in termini di immediata accountability nei confronti dell’elettore, non potranno essere spesi nell’elezione successiva. Probabilmente non potranno essere spesi nemmeno dal proprio successore o nel proprio secondo mandato. In sostanza, si tratta di meriti che andranno attribuiti al sistema istituzionale nel suo complesso. Purtroppo, il malcelato disinteresse verso questo tipo di pianificazione a lungo termine sembra essere il “lato oscuro” della personalizzazione del sistema istituzionale e politico odierno (in Italia come altrove), ma probabilmente aggravato in Italia dallo scarso appeal delle istituzioni verso cittadini e verso lo stesso ceto politico. Quanti cittadini italiani sarebbero oggettivamente disposti a sostenere le spese per programmi di investimenti preventivi i cui benefici probabilmente (e sperabilmente) non vedrebbero mai?
Eppure, diversi studi indicano che la prevenzione costa meno della ricostruzione. Nel novembre 2014 il Centro studi del Consiglio nazionale degli Ingegneri ha pubblicato un’interessante studio “I costi dei terremoti in Italia” secondo il quale dal 1968 al 2014 i costi per la ricostruzione sono stati pari a circa 120 miliardi di euro.
A quanto ci è dato sapere, tuttavia, ad oggi soltanto la Regione Toscana sembra avere avviato da tempo una strategia di riduzione del rischio: ce lo raccontava nel 2013 lo stesso blog dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ricordando la L.R. n. 56 del 1997 che avviò lo stanziamento di risorse a fondo perduto per l’adeguamento antisismico degli edifici, pubblici e privati. Va ricordato peraltro che, più di recente, nell’ambito delle misure di detrazione degli interventi sugli edifici, è stata ammessa dal Governo nazionale anche la detraibilità degli interventi antisismici, oltre a quelli di efficientamento energetico. E sul sito del settimanale L’Espresso, Paolo Fantauzzi ricorda come pochi tuttavia ricorrano a questa possibilità, per i lunghi tempi di “ritorno” della detrazione prevista, proponendo una detrazione spalmata su un periodo di tempo più ristretto il cui impatto sul gettito fiscale sarebbe compensato dai ritorni sull’economia indotta dai lavori, su un mercato stimato in almeno 36 miliardi di euro.
Alla fine, quindi, la differenza la fanno le policies.
Autore: Marco Rossi | Per saperne di più:
L’intervista a Corrado Clini (da Linkiesta.it)
I costi dei terremoti in Italia (studio del Consiglio nazionale degli ingegneri)
La prevenzione paga (dal blog dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)
Adeguamento sismico, quanto costa l’edilizia che può salvare la vita (da L’Espresso)