Perché il M5S ha così tanto bisogno di un capo

Perché il M5S ha così tanto bisogno di un capo

Roberto Biorcio, insegna Scienza politica all’Università Bicocca di Milano, nel dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale. Come ricercatore si occupa in particolare di movimenti, ed è stato per questo un attento studioso della Lega Nord prima e del Movimento 5 stelle poi. Nel 2013 Feltrinelli ha pubblicato il suo Politica a 5 stelle, scritto con Paolo Natale, sociologo e sondaggista. A lui, quello che sta accadendo in queste settimane al Movimento non stupisce: «È l’istituzionalizzazione del Movimento», ci dice. Il Movimento 5 stelle per Biorcio primo o poi avrebbe dovuto affrontare il tema dell’organizzazione. Non c’è scampo: «Tutti i movimenti, al crescere delle loro responsabilità, se lo sono dovuti porre». Tutti si sono dovuti fare un po’ partito, «anche quando, come il Movimento, proprio nella critica della forma partito, hanno la loro cifra più importante». Perché si può tenere fermo il principio (sancito all’articolo 4 del “Non Statuto”) e rifiutare la definizione di partito, ma alla fine quello, per far politica, bisogna essere: «Soprattutto per governare», continua Biorcio, «bisogna avere un’organizzazione».

Ecco spiegato, allora, cosa sta accadendo al Movimento 5 stelle, i cui i iscritti, sulla piattaforma Rousseau, sono stati chiamati da Beppe Grillo a votare alcune modifiche ai regolamenti interni. Beppe Grillo, sì, che è dovuto tornare pienamente alla politica, rinunciando al famoso «passo di lato»: «Grillo è sempre più leader», ci dice ancora Biorcio che però non è affatto scandalizzato: «I movimenti molto spesso hanno capi carismatici, leader storici, figure di garanzia come è Grillo per i 5 stelle».
Non sempre hanno una società privata che è proprietaria dei sistemi informatici, né un simbolo depositato, ma queste sono alcune delle contraddizioni proprie di «un movimento che sta sperimentando un’organizzazione che è inedita per l’Italia». E infatti si procede per tentativi, con Grillo che è dovuto tornare, una volta ammesso di essersi sbagliato sul «Movimento pronto a camminare sulle proprie gambe» – come disse. Qui il parere di Biorcio è interessante: «Grillo è dovuto tornare a dirsi “capo politico” e garante», ci dice il professore, «perché anche nel Movimento chi, eletto in un’amministrazione locale o in parlamento, acquista un certo potere o una visibilità tende poi a tutelarli». Succede nei partiti, stava succedendo nel Movimento.

Professore, cresce il ruolo del capo politico, spunta una commissione dei probiviri, si perfeziona il meccanismo delle espulsioni: come giudica le modifiche su cui sono chiamati a votare gli iscritti del Movimento?
«Mi sembrano banalmente il tentativo di darsi un’organizzazione più funzionale alle responsabilità raggiunte, la constatazione che le formulazioni e le strutture originarie erano poco efficaci e meno precise. Lo testimoniano le continue polemiche sulle espulsioni, e il fallimento di uno strumento come il direttorio».

Il Movimento 5 stelle sta diventando un partito?
«Per non usare una parola che loro non approverebbero, possiamo dire che quello che il Movimento sta attraversando è un tipico processo di istituzionalizzazione, un processo inevitabile quando si ottengono responsabilità di governo, onerosi incarichi istituzionali e c’è bisogno di una reattività che la sola dimensione movimentista non può assicurare».

Tra le modifiche che gli attivisti devono valutare non c’è quella dell’articolo 4 del “Non statuto”: «Il Movimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro». La questione però potrebbe sembrare solo nominalistica…
«In un certo senso sì, ma dobbiamo intenderci su cosa sia un partito. Perché io non penso, come fa invece, ad esempio, Sartori, che basti presentarsi alle elezioni per esser un partito. I partiti hanno tra le loro caratteristiche fondamentali quello della creazione, della formazione e del mantenimento di una classe dirigente, hanno un chiaro e giustificato percorso di carriere interne, ed è proprio quello che il Movimento non vuole per sé. Credo sia più corretto, dunque, inserire i 5 stelle nel novero dei movement party, concetto molto diffuso negli studi politologici internazionali. Tra questi c’è ad esempio Podemos, che restando un movimento si è dato un’organizzazione».

Non sono un partito anche se hanno un leader così ingombrante?
«Sicuramente non sono un partito personale, come ne abbiamo conosciuti tanti. I movimenti hanno spesso avuto capi carismatici, leader storici, capi politici. Grillo è uno di questi, assolvendo la funzione di garanzia che gran parte delgli attivisti del Movimento infatti gli riconosce. La differenza con un leader politico tradizionale sta nel fatto che il suo ruolo coesiste a modelli di democrazia diretta. Modelli che i partiti stanno cominciando a sperimentare anche loro, ma spesso solo per eleggere i leader».

Il Movimento 5 stelle si fa un po’ partito e i partiti si fanno un po’ movimento?
«Sì. Il modello dei partiti è in crisi da tempo, come assodato, e i picchi di vitalità che i più grandi partiti ci hanno offerto li devono a leader o personalità che hanno portato modelli di partecipazione diversi nella loro struttura. È il caso di Corbyn in Inghilterra che, con una vasta rete di sostenitori e attivisti di base, è di fatto leader contro la classe dirigente del Labour. Non ha vinto, ma anche Sanders in America ha innescato un meccanismo simile, avvicinando il movimento di Occupy Wall Street ai Democratici. Lo stesso Obama, in occasione soprattutto del suo primo mandato, aveva evocato e attivato molte pratiche dei movimenti».

Nel Movimento c’è chi chiedeva da tempo una maggiore organizzazione. Probabilmente è deluso dalla proposta di Grillo – soprattutto sui provvedimenti disciplinari – ma Federico Pizzarotti, ad esempio, da tempo chiede un’assemblea nazionale, maggiore condivisione, e di uscire dalla rete. Si poteva evitare qualche inciampo?
«Difficile, procedendo per tentativi. Che siano arrivati proprio dalle grandi città, i problemi, è però normale, perché anche nel Movimento convivono posizioni politiche diverse, che se non vogliamo definire di destra e di sinistra, possiamo descrivere come più pragmatiche e più radicali. È quando devi amministrare una grande città che le differenze si manifestano, dovendo prendere più decisioni, e più rapidamente. A quel punto il pronunciamento degli attivisti, i sondaggi sul blog, i referendum interni, non sono strumenti efficaci».

La molta fiducia nella democrazia diretta ha solo rallentato una crescita organizzativa o è un modo per ammantare una gestione proprietaria, limitata a Grillo e alla Casaleggio, padroni del simbolo, dei canali di comunicazione e delle piattaforme informatiche?
«Più che un ostacolo o un trucco, la democrazia diretta è la caratteristica principale del Movimento così come lo è degli altri movimenti, dove gli aderenti vogliono per definizione esser protagonisti, mentre nei partiti c’è una grossa cultura della delega. Gli strumenti con cui la democrazia diretta si attua, invece, sono un altro tema, che ogni movimento risolve diversamente, e i 5 stelle hanno risolto affidandosi alla Casaleggio e a Grillo».

Matteo Renzi lo dice al Foglio, ma non è il solo a pensarlo: «Si illude», dice il premier, «chi pensa che la vicenda romana possa cambiare il giudizio degli elettori che vogliono votare Grillo». È così?
«Gli effetti della vicenda romana si potranno vedere tra non meno di sei mesi, quando cioè saranno archiviati i problemi e le polemiche sulle nomine – una vicenda molto caricata dai media – e si cominceranno a vedere concretamente gli effetti del governo 5 stelle. Quello sì che potrà influire su un elettorato 5 stelle, che si sbaglia però a considerare volatile. Come i sondaggi ci suggeriscono, e come ci raccontano i risultati delle ultime elezioni, anzi, l’elettorato del Movimento 5 stelle è un elettorato ormai fedele, che non vota per dispetto né solo come reazione alle scelte di un altro partito».

C’è molto senso di appartenenza tra i 5 stelle. E anche una certa indulgenza verso i difetti della propria organizzazione. Se non è l’ideologia, cos’è che tiene insieme gli attivisti?
«Quella al Movimento 5 stelle non è un’appartenenza ideologica perché non è così sviluppata, non è organica, ma è più legata ai singoli temi, dall’onestà all’ambiente».

Per molti commentatori – e per gli avversari politici, a cominciare da Matteo Renzi, ancora – l’ideologia dei 5 stelle, però, sarebbe «quella del No». E se in realtà il Movimento avanza anche alcune proposte – dall’energia al reddito minimo – è indiscutibile che tra referendum e Olimpiadi l’accusa possa sembrare fondata. Secondo lei qual è la cifra fondamentale del Movimento?
«La cifra più forte è proprio il progetto di sostituire il governo dei cittadini alla gestione dei partiti. Quello di cui stiamo discutendo adesso: l’idea che la sostituzione del modello di gestione dei partiti sia una necessità assoluta».

Resta forte il profilo da movimento del No…
«Ma vicino ai no il Movimento ha anche avanzato alcune proposte, come il taglio degli stipendi dei parlamentari o il reddito minimo, che il parlamento ha però respinto. Ma sono proprio le esperienze di Roma e Torino che ci aiuteranno a capire, perché lì, anche per il meccanismo elettorale, non c’è il muro dei partiti da evocare, e devi dimostrare se su alcuni punti chiave riesci a ottenere risultati migliori rispetto al sistema dei partiti».

Una delle caratteristiche del Movimento, di Grillo in particolare, è il populismo. Una caratteristica ormai diffusa, come scrive lei nel suo ultimo saggio, I0, Mimesis edizioni.
«Se per populista intendiamo la categoria denigratoria usata prevalentemente dalla politica e dai media, non credo sia una definizione corretta, né utile. Intendendo invece per populisti quei partiti che, per fini diversi, lavorano e fanno leva sul conflitto tra popolo e élite, sì, il Movimento 5 stelle è senza dubbio populista».

Con tutte le approssimazioni consapevoli, bugie e mistificazioni travestite da esigenza di comunicazione che il populismo comporta.
«Ma esistono diversi tipi di populismo. C’è anche quello di governo, ad esempio, come lo chiama Marco Revelli. Ma più in generale ci sono i populismi democratici e quelli che alla difesa del popolo aggiungono un elemento etnico o nazionalista, più tipicamente di destra, con la loro deriva autoritaria».

Ma per difendere il popolo contro un élite, nella galassia del Movimento ci sono decine di siti di bufale…
«Quello della qualità e della correttezza dell’informazione è un problema comune, non solo delle attività editoriali della Casaleggio. Mi sembra che anche molti siti, anche autorevoli, abbondino in titoli ammiccanti, in notizie non sempre verificate. Il fenomeno non è certo bello, ma dobbiamo distinguere i vari siti di un’attività imprenditoriale da quelli che sono i canali di comunicazione ufficiali del Movimento, come il blog di Grillo, che ospita spesso pareri magari non condivisibili ma di esperti o deputati del Movimento».

Grillo ha detto più volte che i suoi ragazzi sono cresciuti e aveva annunciato anche un passo di lato. Poi è tornato, e forse non ha potuto mai veramente staccare, tra liste da certificare e espulsioni da comminare. Può esistere un Movimento senza Grillo?
0«In prospettiva sì, e succederà quando il Movimento troverà un altro modo di regolarsi, che non sia un leader così ingombrante e neanche il centralismo dei partiti. Ma nell’immediato no, ed è evidente che dovrà passare ancora molto tempo. Anche perché, quello che Grillo ha capito, e che l’ha portato a ritornare a fare pienamente il capo politico, è che chi acquista potere nelle istituzioni tende naturalmente – e umanamente – a tutelare il proprio potere. Succede nei partiti, è successo anche nel Movimento».

Fonte: espresso.repubblica.it | Autore: Luca Sappino

 

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