Las Vegas, Università del Nevada: oggi qui si è respirato l’orgoglio studentesco di essere i prescelti di questo terzo ed ultimo dibattito, in uno scontro per le presidenziali che si è trascinato dietro un’emozione composta e, onestamente, non eccessiva. Più di 1000 studenti e volontari si sono impegnati nell’organizzazione di questo evento, la mascotte della UNLV è protagonista di una giornata dove tutto è colorato di rosso bianco e blu: i colori di un’America che ha invece molte sfumature.
Gli studenti sono tanti, diversi, e il melting-pot culturale di questo Paese è quello che fa di questo Paese l’America vera, con le sue contraddizioni e le sue libertà. Meta di tanti, ma trampolino per pochi fortunati. Qui si studia per diventare qualcuno, prima di diventare qualcosa: studiare è un’opportunità più che un diritto da queste parti, e lo sa bene anche Lydia, studentessa afroamericana della California, che è stata particolarmente attenta ai punti del dibattito in cui i due candidati si sono sfidati su un tema importante come quello dell’educazione. Si fa fotografare emozionata con il cerchietto in testa e le stelle della sua bandiera. Insieme a lei c’è Dannica, 22 anni, ha origini filippine ma è cresciuta qui, dove la sua famiglia si è trasferita più di 12 anni fa. Studia business management, vuole diventare una “business woman”, ma non nasconde quel lato fortunatamente ancora adolescente e molto “America’s got talent” di poter realizzare anche il sogno di diventare una cantante famosa. Alla fine del dibattito sorride ma è più indecisa di prima e non sa davvero chi potrebbe essere la persona migliore tra i due candidati di oggi per rappresentare il ruolo più ambito del mondo. È stata pro Trump fin dall’inizio, oggi è più vicina a Hillary sui punti dedicati alle donne e alle difficili scelte che a volte solo le donne possono comprendere e sostenere. Trump si dichiara in questo dibattito anti-abortista, la senatrice Hillary sostiene fortemente che “non tocca ai governi decidere la scelta più difficile e dura che una donna deve fare. Non dobbiamo diventare come la Cina o la Romania” dice. Le donne, poi, a quanto pare sono proprio un punto debole per Mister Trump.
Ma chi vince? Se lo chiediamo a Lamont, autore di “The Horoscope of the USA”, è Trump. Trump e ancora Trump. Anche lui afroamericano, cresciuto a Chicago, vede in Trump qualcosa di diverso. Parla di Chicago come una città a pezzi, specchio di un Governo che non ha fatto nulla per migliorare le condizioni di vita di alcune zone del Paese e di un Presidente, Obama, che si è dimenticato della sua gente. Appassionato di astrologia fa notare che sia Obama che Bill Clinton appartengono al segno zodiacale del leone: Hillary è uno scorpione nell’arena dei leoni, e non cambierebbe nulla se diventasse il nuovo presidente.
Trump ha i suoi fan. Diversi, alcune volte insospettabili. C’è chi si dichiara sfacciatamente con una t-shirt che dice “Trump 2016- Let’s rebuild America”, chi ne ha un’altra con i volti di Hillary e Bill Clinton insieme nello slogan “Get two for one”, ne prendi due con uno! Durante lo scontro tra i due candidati ci si schiera nella sala del watch-debate party: si applaude se è Hillary a tirare il colpo giusto, si esulta grossolanamente se è Donald a mettere in difficoltà l’avversario.
I trumpisti sono forse più rudi, e non nascondono il compiacimento per alcune affermazioni del loro leader. Hillary invece – non c’è dubbio – è rappresentata da un pubblico più soft ed elegante.
La hall del watch-debate era colma di addobbi e di stand. Per gli ospiti il catering ha preparato un buffet molto americano e molto abbondante, e chiedendo agli studenti qualche previsione su chi sarà il vincitore di questa sfida c’è chi azzarda una metafora gustosa: “E’ come scegliere se mangiare uno di questi hot-dog o uno di questi cupcake”, devi solo decidere con cosa vuoi ingrassare”. Ted G. Jelen, Ph.D, Professore del dipartimento di Scienze politiche della UNLV esamina questo dibattito e queste elezioni: “Le posso paragonare a quelle del 1824, in uno scenario in cui nessuno dei candidati ottenga un numero di voti elettorali sufficiente per vincere le elezioni, la scelta dei presidenti è decisa attraverso un ballottaggio della camera dei Rappresentati. Quello del 1824 fu l’unico caso in cui ciò accadde. Ma sono paragonabili a quelle elezioni anche per le figure che i candidati rappresentano e che sembrano in qualche maniera reinterpretate” dice. Alla domanda su quale tipo di America avrebbero bisogno oggi gli americani e di quale America ha bisogno invece il mondo il professore risponde: “C’è bisogno per tutti di un Paese più forte ma anche più empatico. Aperto agli altri per diventare, con il mondo davanti, un posto più solido”.
Alcuni studenti discutono intorno a un tavolo su Putin e Gorbaciov: l’impressione è che ci sia una coscienza. E’ sottile da parte di alcuni, ma c’è un approccio più umile e consapevole di essere un’America più debole. In altri invece domina la forza dell’orgoglio americano: quello di non sentirsi minacciati da nessuno, di essere giovani e forti. Non sono mancate le proteste fuori e dentro. Le forze dell’ordine hanno monitorato l’università tutto il giorno e sono stati obbligatori i metal detector per entrare, e all’ingresso della UNLV c’era anche il banchetto dei selfie: 4 dollari per indossare la maschera di Hillary o Trump e farsi la foto pazza di questo “Big day” universitario. Ma quasi tutti hanno rinunciato alle maschere.
Fonte: huffingtonpost.it | Autore: Gabriella Ferrero