Per settimane gli esperti linguisti di grandi università americane (come Berkeley) si sono interrogati su alcune parole pronunciate dal candidato repubblicano. È venuto fuori che molte sono sue invenzioni, con utilizzi molto, ma molto originali.
Il fenomeno Trump ha lasciato di stucco anche i linguisti. Per molti mesi, oltre che ragionare sulle sue proposte politiche, al limite (spesso oltre) della provocazione, gli scienziati della lingua si sono concentrati sulle parole che diceva e, soprattutto, sul modo in cui le pronunciava. Non le capivano.
Sia chiaro: The Donald è americano, è di New York, ha un accento preciso e ha fatto tutte le scuole d’élite previste nel curriculum di un miliardario come si deve, cioè la celebre Wharton School. Per dire che, come è ovvio, sa parlare inglese alla perfezione. Eppure dice cose non sempre chiare, e non per il senso. L’esempio classico è il misterioso e presunto “bigly”, parola piuttosto rara per dire “alla grande”. We will win – diceva – and we will win bigly. Vinceremo, e vinceremo alla grande.
Per molto tempo i linguisti si sono divisi. È davvero “bigly” la parola che sentiamo? O no? Secondo gli studiosi del Merriam-Webster, che si erano espressi fin da subito, è la seconda. Per essere precisi, si tratta di Big League, cioè “Serie A”, “prima divisione”. Un modo contorto per dire “alla grande”. Contorto e raro: viene usato poco e quando succede è riferito a sostantivi, non a verbi. Funziona più o meno come “big time”: We are going to win big time è un’espressione nota e usata. We are going to win big-leagueè un trumpismo. Lo usa solo lui.
È così raro che, appunto, le persone non lo capiscono neppure. Il riferimento fonetico più immediato che abbia anche un senso è “bigly”, parola che lascia tutti un po’ perplessi, ma che viene lo stesso accettata. “Bigly” è inglese corretto, conferma Kory Stamper del Merriam-Webster, ma è molto desueto. Big League invece è una novità, almeno per il grande pubblico: i seguaci di Trump più antichi lo avevano già sentito a The Apprentice, lo avevano già letto in alcune sue vecchie interviste. Una forma di codice, un vezzo della lingua, ma è anche efficace espressione della sua natura: del resto è capace, più di molte sue sparate, di lasciare di stucco gli accademici.
Fonte: linkiesta.it