Non è da oggi che, non solo in Italia, si accentuano le spinte verso un presidenzialismo di fatto. Verso una democrazia immediata, più-che-diretta, che rimpiazza ogni mediazione rappresentativa con i media. Ne ho scritto altre volte in passato. E non solo io. Ma oggi, in Italia, questa tendenza si è accelerata.
Fra meno di due settimane si voterà a un referendum, per decidere – anzitutto ma non solo – di ridimensionare i poteri del Senato. E, dunque, il bicameralismo paritario. Per rendere i processi decisionali più rapidi. Più diretti. Più immediati. Il referendum stesso è un metodo di democrazia immediata. Che affida la scelta e la decisione al “popolo sovrano”. Ma la posta in palio di questo referendum va ben oltre la riforma costituzionale, peraltro, importante. Chiama in causa, in modo diretto, anzi, immediato, il premier, Matteo Renzi. Il quale, per primo, ha attribuito al referendum una finalità “politica” e “personale”. Annunciando che, nel caso non fosse stato approvato dal voto popolare, si sarebbe dimesso. Così, per citare Gianfranco Pasquino, il referendum si è trasformato in un plebiscito. In un’investitura o, al contrario, una dis-investitura. Diretta. Anzi im-mediata. Questa “piega” è divenuta esplicita nelle ultime settimane. Perché, al di là di tutto e di tutti, il confronto pone, ormai, di fronte il Capo e il Popolo sovrano. Al quale Renzi si è rivolto. Saltando ogni mediazione. Così sarà difficile, in caso di approvazione, mettere in discussione i suoi poteri. La sua legittimità. Riconosciuta dal Popolo sovrano. Direttamente. Così, nei prossimi giorni, il premier si rivolgerà direttamente ai cittadini. Inviando ad ogni famiglia un opuscolo che spiegherà le ragioni del Sì. Al tempo stesso, Renzi ha denunciato “l’accozzaglia di tutti contro una sola persona”. Lui. Solo. Di fronte ai nemici che operano contro di lui e contro la riforma.
Al tempo stesso, Renzi ribadisce che, se il referendum non venisse approvato, il governo seguirebbe il destino del premier. Cioè, le dimissioni. Ripeto e metto in fila cose note. A tutti. Perché espresse e comunicate pubblicamente. Tuttavia, non mi interessa tanto entrare nei contenuti del dibattito sul referendum. Ma, piuttosto, ragionare sulle dinamiche del rapporto fra società e politica che emergono in questa fase. In particolare, sulla rapida riduzione delle distanze fra autorità e cittadini. Insieme alla personalizzazione della politica e delle istituzioni. Oggi, infatti, ma non solo da oggi, il governo e i partiti sono personalizzati, in modo sempre più estremo. In Italia in particolare, il Pd, partito di maggioranza e di governo, appare iper-personalizzato. Direi quasi personale, com’era Forza Italia. Anche se Renzi ha “conquistato” democraticamente la guida del partito, attraverso le primarie. Tuttavia, anch’egli ha centralizzato decisioni e poteri. Si è circondato da una cerchia di persone fedeli e amiche. Ha, di fatto, rimpiazzato i congressi con la convention “personale” alla Leopolda. La stazione di Firenze vicino a casa. Sua. Per questo ho ri-definito il Pd: PdR. Partito di Renzi. D’altronde, Renzi interpreta in modo esemplare il tempo della “democrazia im-mediata”. Oppure, per citare Nadia Urbinati, “in diretta”. Certo, come Berlusconi, sa comunicare efficacemente attraverso i media tradizionali. Per prima la televisione. Ma, più e meglio di altri, utilizza i social media. Twitter e Facebook. I canali della “comunicazione im-mediata”. Che bypassano ogni “mediazione”. E mettono in relazione diretta, anzi, im-mediata, il Capo con il suo popolo. Non è un caso e non è per caso che il principale soggetto politico di opposizione sia il M5S. Fondato e guidato da Beppe Grillo, ispirato da Gianroberto Casaleggio. Il M5S ha utilizzato la rete come una nuova Agorà. Dove i cittadini possono deliberare direttamente sulle questioni di maggiore interesse pubblico. Come nell’Atene di Pericle. Il M5S: un soggetto e un progetto di democrazia diretta. Meglio: im-mediata. Senza mediazioni. Anzi: contro ogni mediazione e ogni mediatore. E, dunque, contro i “media” e i giornalisti. Visto che al tempo del digitale ogni cittadino può e dovrebbe discutere e decidere sulle questioni di interesse comune. Nell’Agorà digitale.
I canali e gli attori tradizionali della mediazione, d’altronde, si sono rarefatti. I partiti per primi, sempre più personalizzati e abbandonati dagli iscritti. Intorno a noi vediamo leader senza partiti e partiti senza società e senza territorio. Così i leader si rivolgono direttamente ai cittadini. Senza mediazioni. D’altronde, le mediazioni sono sempre più difficili da proporre e da imporre. Perché i cittadini appaiono, a loro volta, più soli. Visto che non solo i partiti, ma anche le associazioni tradizionali si stanno indebolendo. Il sindacato, le organizzazioni di rappresentanza degli interessi: hanno perduto la loro base sociale. E, insieme, la fiducia dei cittadini. Ormai, meno del 20% delle persone, in Italia, esprime fiducia nei sindacati. Mentre, fra le istituzioni, mantengono un buon grado di credibilità solo le Forze dell’ordine, il presidente della Repubblica. E Papa Francesco. Sintomi e segni della diffusa domanda di sicurezza. E di “fede”. In qualcuno. In qualcosa.
Per questa ragione, in questi tempi di democrazia im-mediata, attraversati e interpretati da uomini soli al comando, chiamati a decidere subito e senza mediazioni, in rete o attraverso i referendum popolari, mi sento un po’ a disagio. D’altronde, Evgenij Morozov ha insegnato a diffidare della visione ottimista di internet, (non sempre) canale di promozione democratica. E ha mostrato il “lato oscuro della rete”. Così a volte provo un po’ di nostalgia. Dei (buoni) partiti. Capaci di rappresentare la società. Capaci di indicare percorsi futuri, perché hanno un passato, una storia. E ammetto la mia preferenza per la democrazia rappresentativa. Per la “buona” mediazione, realizzata da “buoni” mediatori.
Fonte: repubblica.it | Autore: Ilvo Diamanti