François Fillon e Alain Juppé — i due finalisti alle primarie della destra — sono due vecchie conoscenze della politica francese. Anziani in senso anagrafico (62 Fillon, 71 Juppé) e vecchissimi come militanza nel gaullismo dai tempi di Giscard e Chirac. Entrambi ex primi ministri, ministri negli stessi governi, e ora in corsa per il sogno più ambito, l’Eliseo. Pur nell’ assenza di ricambio e rottamazione di personale, la destra francese dá tuttavia un importante segnale di novità al Paese e all’Europa.
La canditura di Fillon (oggi favorito) e di Juppé rappresenta infatti una risposta immediata e intelligente al vento di Trump e al pericolo imminente di un successo presidenziale di Marine Le Pen, di fatto “sdoganata” dal vento «trumpopulista» che soffia forte in tutto il vecchio continente. Al di là delle differenze di programmi, in campagna elettorale abbastanza marcate, ciò che accumula i due sfidanti di domenica prossima è appunto l’idea che una risposta alla minaccia terroristica, ai flussi migratori disordinati, all’insicurezza che mina la convivenza civile e spinge i ceti più deboli alla xenofobia e al nazionalismo becero, sia possibile senza derogare a principi di democrazia e giustizia sociale. Non solo : la difesa dell’identità e degli interessi nazionali non é in contraddizione con i valori solidali di una società europeista e multietnica.
Dal primo turno, Fillon è uscito vincente e favorito per la sfida decisiva. Juppé, il grande favorito dei sondaggi, é apparso stanco e appannato. La grande famiglia allargata – alle primarie partecipano elettori di centro destra, simpatizzanti, ma sono aperte a tutti – si dividerà anche a seconda delle dichiarazioni di voto fatte dai concorrenti sconfitti, dalle personalità pubbliche, degli opinion leaders. Nicolas Sarkozy, il grande sconfitto, ha detto subito di volere sostenere Fillon, il suo ex primo ministro. Un’adesione più al programma che all’uomo, essendo note le diversità di stile e carattere e i frequenti dissapori all’epoca in cui erano insieme al timone della Francia. Il sostegno potrebbe essere anche il bacio della morte. Fillon aveva scritto il programma di Sarkozy nel 2007 e sembra averlo riscritto in modo piú incisivo. E’ convinto che la Francia sia sull’orlo del fallimento per l’esplosione della spesa pubblica, la bassa competitività del lavoro, gli sprechi del sistema e propone riforme strutturali pesanti : riduzione di mezzo milione del numero di impiegati pubblici, abolizione della settimana lavorativa a 35 ore, abbassamento delle tasse sulle imprese e persone fisiche e aumento dell’Iva.
Nelle polemiche elettorali, il progetto di Fillon è definito “neothatcerista” e ultraliberale, giudizi che rimbalzano e si amplificano anche in una sinistra che considera Fillon il migliore avversario possibile, l’unico battibile dal voto di categorie sociali che vedono in pericolo diritti e privilegi. Il programma di Juppé non si differenzia tanto sulle proposte quanto sulla misura delle proposte stesse. Anche Juppé propone riforme strutturali e tagli della spesa pubblica, ma ritiene il programma di Fillon buono per la campagna elettorale e “irrealistico” quando si tratterà di farlo digerire ai francesi. Juppé ci aveva già provato nel 1995, da premier, ed era stato travolto dalla più grande ondata di scioperi dal dopoguerra. L’esperienza lo ha scottato, conosce a fondo la propensione della Francia all’immobilismo, preferisce l’approccio morbido, consensuale, guardando anche all’elettorato di centro e della sinistra riformista delusa da Hollande. Fillon lo ha duramente attaccato, cercando di fare capire che con Juppé la Francia tornerebbe al galleggiamento socialgaullista dell’epoca di Chirac. «Lui difende un sistema che produce disoccupazione e precarietá». «Fillon – ribattono i fans di Juppé – è bravissimo a teorizzare cure da cavallo, mai messe in pratica quando era al governo, sia con Chirac, sia con Sarkozy».
Fillon intende iniettare denaro pubblico nell’economia e dilazionare il rispetto del Patto di stabilità al 2020. Juppé fissa il traguardo al 2018. Di sicuro, la Francia non si piegherà nemmeno con loro ai diktat della Bundesbank. Chiunque vinca domenica, avrà comunque molte probabilità di conquistare l’Eliseo. Allontanando il pericolo Le Pen e chiudendo la deprimente parentesi di Hollande.
Fonte: corriere.it