‘Virtuosi’ Austria, Irlanda, Lituania, Polonia, Gb e Slovenia. Da noi manca legge che regoli ‘portatori di interesse’: ma non siamo ultimi della classe. In Parlamento 26 intergruppi: da sigaretta elettronica a cannabis legale. Per il nostro Paese, Confindustria ed Enel tra i più accreditati a Bruxelles. Incontri con la Commissione: Google, Airbus e Microsoft nella top 10. Oettinger, Cañete e il falco Katainen tra i più attivi.
Negli Stati Uniti sono legittimi e radicati nella cultura nazionale. In buona parte d’Europa, invece, le lobby possono anche agire nell’ombra e in mancanza di regole certe. A oggi, infatti, sono soltanto 6 i Paesi Ue dotati di un registro obbligatorio. E l’Italia non è ancora tra questi.
Vero è che l’assenza di norme dedicate ai ‘portatori di interesse’ finisce con l’incidere sulla qualità della democrazia. Negli ultimi anni sono cresciuti il ruolo e l’importanza dei lobbisti, specie agli occhi dell’opinione pubblica. E i cosiddetti ‘gruppi di pressione’ hanno sempre fatto parte del processo decisionale. Ma ora è in atto un lavoro di trasparenza che cerca di fare luce sul fenomeno.
INFOGRAFICA Vedo e non vedo: la trasparenza delle lobby
Secondo una ricerca Openpolis per Repubblica.it, in Europa i 6 Paesi ‘virtuosi’ sono Austria, Irlanda, Lituania, Polonia, Regno Unito e Slovenia (i dati sono il risultato dello studio Transparency of lobbying in Member States dell’European parliament research service). E l’Italia? Nel nostro Paese manca ancora una legge che regoli la questione anche se stavolta non siamo gli ultimi della classe. Tra Camera e Senato, inoltre, si conterebbero 26 intergruppi attivi: da quello per la sigaretta elettronica che mira a normare la materia a quello per la cannabis legale, fra le principali forze promotrici del testo discusso di recente in Parlamento. Tra i soggetti italiani maggiormente accreditati a Bruxelles figurano Confindustria ed Enel. Incontri con la Commissione Ue? Google, Airbus e Microsoft svettano nella top 10. Oettinger, Cañete e il falco Katainen, invece, tra i commissari più attivi.
L’Europa e quel che si muove in Italia. Già nel 2008 una risoluzione dell’Europarlamento ha istituito il registro per la trasparenza dell’Unione. Al suo interno si trova l’elenco di tutte le strutture che, anche indirettamente, hanno lo scopo di influenzare le politiche e i processi decisionali delle istituzioni europee. Un’iniziativa da migliorare, ma che è comunque molto più avanzata rispetto alla situazione nel nostro Paese.
(naviga nel grafico interattivo per visualizzare i dati)
Nel Parlamento italiano non esiste un registro delle lobby e solo negli ultimi mesi due iniziative hanno mosso un po’ le acque. Il 26 aprile 2016 la giunta per il regolamento di Montecitorio ha approvato la Regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nella sede della Camera dei deputati. Il regolamento prevede l’impossibilità di fare lobbying per persone che hanno ricoperto incarichi nel governo o Parlamento nei 12 mesi precedenti. Il testo, che è quanto meno un inizio, è stato introdotto pochi giorni dopo l’adozione del codice di condotta dei deputati ma ormai da mesi – sottolinea Openpolis – mancano dettagli su come sia stato sviluppato.
A inizio settembre Carlo Calenda, ministro per lo Sviluppo economico, ha lanciato un registro per la trasparenza nel suo dicastero, ispirato a quello delle istituzioni europee. Oltre 130 organizzazioni si sono già accreditate. Nel frattempo in Parlamento sono stati presentati vari testi per regolamentare la materia, e a inizio settembre – ben prima della crisi del governo Renzi – in commissione Affari costituzionali del Senato erano ripresi i lavori con la discussione congiunta di alcuni di questi.
Ma c’è un altro aspetto da considerare. Sempre più spesso nelle dinamiche politiche di Camera e Senato si nota l’opera degli intergruppi parlamentari. Queste entità mettono insieme politici provenienti da entrambi i rami del Parlamento e da vari gruppi, anche di opposto colore politico, uniti da un interesse comune che può essere il più disparato: c’è un intergruppo per l’invecchiamento attivo, uno per la sussidiarietà e anche uno sulle questioni di genere.
Purtroppo al momento, a differenza del Parlamento europeo, gli intergruppi non sono regolamentati e questo rende ancora più difficile capire il fenomeno. Da fonti indirette – dice ancora Openpolis – è stato possibile contare 26 intergruppi attivi nell’attuale Parlamento. La finalità di queste formazioni varia, ma per alcuni si sconfina in modo evidente nell’attività di lobbying.
L’Italia non è l’unica nazione europea in cui non c’è una legge che regola il lavoro delle lobby. Su un totale di 29 (di cui 28 Stati membri più l’Unione europea), sono solo 6 i Paesi in cui le organizzazioni di lobbying hanno l’obbligo di accreditarsi presso un registro nazionale (pari al 20,69% del totale). Altro parametro importante è quello dei codici etici di comportamento per i lobbisti, presenti nel 20,69% dei casi. Mentre nel 31,03% delle situazioni si rintracciano iniziative di autoregolamentazione, dalle proposte della società civile alle unioni di lobby, che decidono di stipulare un codice indipendente colmando una lacuna normativa.
Quante sono quelle accreditate. L’8 maggio del 2008 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per elaborare un quadro dell’attività dei rappresentanti di interessi nelle istituzioni europee. A giugno dello stesso anno la Commissione europea ha lanciato un registro online e nel 2011 il Parlamento europeo ha aderito all’iniziativa, ampliando così quello che in Europa è ormai il database più corposo sul lobbying.
Sono quasi 10.000 le strutture accreditate (per la precisione: 9.772), per lo più organizzazioni non governative o lobbisti interni ad aziende e associazioni di categoria. Nel 2015 un’organizzazione su quattro si è registrata. Da quanto è stato introdotto, la crescita delle registrazioni è stata costante. Fra le organizzazioni ancora presenti, 328 risalgono al 2008 e 1.940 all’anno corrente. Fino al 2011 l’iniziativa riguardava la Commissione europea, in seguito si è aggiunto l’Europarlamento. Delle quasi 10.000 organizzazioni, 517 risalgono al 2010 e 911 al 2011 (con un incremento del 76,21%). Le successive modifiche e innovazioni del 2014 e 2015 hanno determinato ulteriori aumenti. Il 59,60% delle organizzazioni attualmente presenti si è registrato negli ultimi 3 anni.
Nonostante il registro rappresenti un enorme passo in avanti nello scenario europeo, alcune organizzazioni, tra cui Alter-Eu e Transparency International, da mesi si battono per rinnovare e potenziare questo strumento. L’iscrizione infatti non è obbligatoria e la base volontaria della registrazione è forse il più grande limite del registro medesimo. Inoltre la definizione delle attività volte a influenzare i processi decisionali e legislativi dell’Ue risulta alquanto vaga, rendendo molto ampia la serie di soggetti che possono registrarsi.
Le organizzazioni che decidono di accreditarsi spesso compilano male il questionario, inserendo dati errati e mal interpretando le informazioni richieste. Per esempio a oggi l’organizzazione italiana che spende più soldi per l’attività di lobbying a Bruxelles sarebbe l’università de L’Aquila, con 10 milioni di euro: una cifra molto alta (per dire: Confindustria ne dichiara 900mila) mentre l’ente con più lobbisti risulta l’università di Pavia con 1.904 persone. A settembre 2015 Transparency international ha sottoposto oltre 4.200 reclami per errori fattuali o numeri implausibili nelle schede delle organizzazioni, tra cui oltre 3.800 organizzazioni che pagherebbero i propri lobbisti meno del minimo sindacale. È evidente che il controllo sulle informazioni inserite è molto basso, probabilmente perché, come sottolinea Alter-Eu, lo staff dedicato si conta sul palmo di una mano.
Il registro permette comunque alle organizzazioni di classificarsi in 6 macro categorie: società di consulenza, lobbisti interni di aziende, organizzazioni non governative, centri studi, comunità religiose e amministrazioni locali. Oltre la metà (51,07%) delle 9.772 organizzazioni registrate rientra nella seconda categoria: lobbisti interni e associazioni di categoria, commerciali e professionali.
Oltre il 60% delle organizzazioni ha sede in 5 Paesi: Belgio (20,10%), Germania (12,64%), Regno Unito (10,96%), Francia (10,05%) e Italia (7,29%). Anche se il 91,48% delle organizzazioni ha sede nei 28 Paesi dell’Unione europea, le altre sono collocate in altre 69 nazioni. Fra queste, da sottolineare il peso di Stati Uniti (con 335 strutture, all’ottavo posto in classifica generale), e Svizzera (195 organizzazioni e undicesimo posto).
Informazione da migliorare? Quella dei costi. Tutte le organizzazioni che si accreditano devono fornire una stima delle spese annue per le attività che rientrano nell’ambito di applicazione del registro. Fa riflettere – secondo Openpolis – la stima di dieci organizzazioni che dichiarano di spendere oltre 10 milioni di euro in attività di lobbying a Bruxelles. Per la maggior parte delle strutture si parla di cifre molto inferiori: il 93,18% delle strutture dichiara di spendere meno di 500mila euro l’anno. Quasi la metà (49,06%), spende meno di 10mila euro.
In fase di registrazione le organizzazioni devono fornire informazioni sul loro personale. Oltre al numero di persone che partecipano alle attività di lobbying, è richiesto di dichiarare il numero di quanti fruiscono di un titolo di accesso all’europarlamento e ai suoi uffici. Questo dato è molto importante perché include anche nome e cognome delle persone accreditate (info impensabile nel panorama parlamentare italiano). Generalmente il numero di accrediti è basso, ma 58 strutture dichiarano di averne più di 10. Di contro, il 77,68% delle organizzazioni sostiene di non avere nessuna persona accreditata per accedere al parlamento europeo
Gli incontri con la Commissione. Dal dicembre 2014 i membri della Commissione europea – inclusi i commissari, i componenti del loro gabinetto e i direttori generali – hanno l’obbligo di comunicare sul sito internet della Commissione i dettagli degli incontri con i lobbisti. Queste comunicazioni devono contenere il nome dell’organizzazione, ora e sede dell’incontro, e soprattutto l’argomento trattato. Tutte queste informazioni devono essere pubblicate online entro 2 settimane dopo l’incontro. Grazie a questa decisione della Commissione europea, Transparency International ha potuto lanciare Integrity watch, piattaforma che permette di monitorare e analizzare tutti i dati sia del registro sia degli incontri della Commissione europea.
I dati interessanti sono due: la quantità di permessi per accedere all’Europarlamento, e il numero di incontri con i membri della Commissione europea. E dunque, è possibile sapere per ogni Commissione (l’equivalente dei nostri ministeri) quali organizzazioni – aziende, società di consulenza, Ong o altro – hanno incontrato il commissario (il corrispettivo del ministro) e i membri del suo staff, per quante volte e di cosa hanno parlato.
Anche sul tema degli intergruppi, il Parlamento europeo fornisce molti spunti interessanti. Le organizzazioni che si accreditano nel registro per la trasparenza devono dichiarare se appartengono o partecipano all’attività degli intergruppi dell’Europarlamento, e se sì, quali sono. In aggiunta, nel dicembre 1999 il Parlamento europeo ha stilato le regole per creare gli intergruppi e stabilito i requisiti necessari.
Fra le 15 organizzazioni iscritte al registro con più accrediti per accedere ai locali del Parlamento europeo, il 60% è composto da società di consulenza. Tre di queste si trovano sul podio e tutte hanno sede in Belgio: la Fleishman-Hillard (51 persone), la Kreab (33) e la Burson-Marsteller (32). La prima azienda compare al quindicesimo posto, la Dods group plc, con 17 accrediti. Nella top 15 di questa particolare classifica non sono presenti realtà italiane.
La prima di casa nostra è al 32esimo posto: si tratta di Confindustria con 12 accrediti. Subito dopo si trovano Enel, Fondazione banco alimentare e la Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche, con 8 accrediti. Intesa Sanpaolo e Confcommercio ne dichiarano invece sette.
Da dicembre 2014 è possibile monitorare e tracciare gli incontri della Commissione europea (commissari, staff, gabinetto e direttori generali) con le lobby registrate. In quasi due anni sono circa 11.000 incontri di cui è possibile sapere giorno, sede e argomento trattato. Il 70,48% di questi incontri hanno coinvolto lobbisti interni e associazioni di categoria, commerciali o professionali. Molto attive anche le organizzazioni non governative, con 1.897 incontri (17,75%). Simili tra loro i dati di centri studi-think tank e consulenti, con oltre 400 incontri a testa.
I dati degli incontri tra i membri della Commissione e i cosiddetti portatori di interessi contengono molte informazioni interessanti. Mentre sugli accrediti per il Parlamento europeo le carte sono un po’ più coperte (con molte società di consulenza in cima alla classifica), per gli incontri si trovano i nomi di organizzazioni e aziende ben più note. Google, Airbus, Wwf, Greenpeace, Microsoft sono solo alcune della realtà che compaiono nella top 10 delle organizzazioni con più colloqui. Nessuna organizzazione italiana compare in cima alla classifica.
In totale, i faccia a faccia portati a termine da realtà italiane sono 261. Le 18 organizzazioni che hanno realizzato almeno 5 incontri corrispondono al 66,67% del totale. Le prime tre classificate sono nell’ordine: Confindustria (29 incontri principalmente con membri della Commissione mercato interno), Enel (24 incontri) ed Eni (20). Il tema dell’energia è dunque quello più caldeggiato, tanto che in classifica ci sono anche Edison, Snam e Terna, tutte aziende attive nel campo energetico.
Il rapporto più alto tra accrediti e incontri si registra per Google, Telefonica e European trade union confederation: due imprese e un sindacato.
Günther Oettinger, commissario all’Economia e la società digitale, e i membri del suo gabinetto hanno realizzato il più alto numero di incontri: 1.015. Quasi altrettanto attivi Miguel Arias Cañete (Azione per il clima e l’energia) e Jyrki Katainen (lavoro, crescita, investimenti e competitività). È interessante incrociare la nazionalità e la delega dei singoli commissari con l’organizzazione più ricorrente negli incontri. Proprio Katainen, commissario finlandese per lavoro e crescita, ha come organizzazione più ricorrente l’equivalente finlandese di Confindustria.
A differenza di quanto accade in Italia, a Bruxelles all’inizio di ogni legislatura la Conferenza dei capigruppo approva l’elenco degli intergruppi. Dopo le elezioni di maggio 2014 si sono formati 28 intergruppi. Sette di questi hanno più di 100 membri. Il più grande è l’intergruppo Cultura e turismo con 142 componenti, tra cui 27 parlamentari italiani. Il raggruppamento con il numero più alto di nostri connazionali (35) è quello Trasparenza, anti-corruzione e criminalità organizzata.
(Le elaborazioni del rapporto Openpolis si basano su dati ufficiali rintracciati fino al 5 settembre 2016 dai siti di: registro per la trasparenza dell’Unione europea, Eu integrity watch – Transparency international -, Parlamento europeo e Alter-Eu).
Fonte: repubblica.it