Dopo il risultato del referendum, cosa cambia per le province? Non ci saranno particolari effetti sul piano ordinamentale, con le città metropolitane pienamente legittimate. Ma resta un conflitto tra l’ente pubblico non territoriale della riforma Delrio e l’ente locale definito dalla Costituzione.
Province dopo il referendum
La mancata cancellazione delle province dalla Carta costituzionale, per la bocciatura del referendum costituzionale, comporterà un “effetto Lazzaro” per questi enti? E quali potranno essere i riflessi sull’ordinamento a seguito della riforma operata con la cosiddetta legge Delrio (n. 56/2014)?
Si pensa che non si avranno particolari effetti sul piano ordinamentale che possano rimettere in discussione quanto fin qui fatto, perché il riordino dell’ente intermedio è stato comunque varato e praticato a Costituzione invariata. Con la legge Delrio, il legislatore statale ha infatti inteso realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale della Repubblica. Con particolare riferimento agli enti di area vasta, auspicandone il completamento attraverso la cancellazione delle province dall’articolo 114 della Costituzione che le prevede quali enti costituzionalmente necessari. La riforma statale ha quindi sostituito le dieci province più grandi con altrettante città metropolitane, svuotando di funzioni amministrative le restanti. L’operazione è stata benedetta dalla Corte costituzionale che ne ha acclarato la conformità alla Carta, pur indicando l’esigenza del completamento del disegno riformatore attraverso l’adozione di coerenti norme di rango costituzionale, le uniche in grado di cancellare le province dall’articolo 114 della Costituzione.
Conflitto sulla natura giuridica
Tuttavia, il mancato “colpo di spugna” costituzionale non è del tutto ininfluente. E non solo perché il legislatore sarà costretto a mantenere in vita l’intelaiatura istituzionale delle province, con tutto ciò che ne consegue, anche in termini di spesa pubblica, ma anche per i riflessi sulla natura giuridica dell’ente intermedio. La provincia dell’articolo 114 della Costituzione, quale ente necessario della Repubblica, conserva i caratteri di ente territoriale di governo (al pari di comuni e città metropolitane) ancorato al più consistente principio di autonomia locale previsto dall’articolo 5 Costituzione. Invece, la provincia della legge “Delrio” perde questa qualifica, avvicinandosi più a un modello di autonomia funzionale e strumentale (al pari della camera di commercio) non potendo più svolgere funzioni a finalità generali, ma solamente quelle espressamente indicate dalla legge.
La questione, probabilmente sottovalutata dal legislatore e poco approfondita in dottrina, rileva non poco ai fini dell’architettura delle autonomie locali. L’ente pubblico non territoriale risulta dotato di autonomia amministrativa e finanziaria, ma non di autonomia politica. Al contrario, l’ente locale o ente territoriale di governo è sede propria di policentrismo autonomistico o, come si dice oggi, di federalismo, che governa la comunità e sovrintende, nel quadro della programmazione regionale, all’ordinato sviluppo economico e sociale della stessa comunità. Inoltre, se nell’ente locale il “territorio” rappresenta un elemento costitutivo dell’identità della comunità locale, nell’ente pubblico non territoriale, il “territorio” ha solo una valenza amministrativa e funzionale.
Questo potenziale conflitto, tutto interno alla natura giuridica del nuovo ente intermedio, finirà inevitabilmente per orientare le decisioni future della Corte costituzionale, costretta, suo malgrado, a irrobustire il combinato disposto di cui agli articoli 5 e 114 della Costituzione.
Fonte: lavoce.info | Autore: Massimo Greco