La Corte costituzionale boccia il doppio turno e salva il premio di maggioranza per il partito che arriva almeno al 40 per cento. Restano le candidature multiple ma affidando la scelta del candidato eletto in più di un collegio a un sorteggio. La sovrapposizione con il sistema di elezione del Senato.
Martedì 24 gennaio la Corte costituzionale si è finalmente riunita per esaminare le ordinanze presentate, tra il 17 febbraio e il 16 novembre del 2016, da cinque tribunali (Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova) che riguardavano la costituzionalità delle legge elettorale attualmente in vigore per la Camera, vale a dire la legge 52/2015 (il cosiddetto Italicum). La decisione è arrivata solo nel pomeriggio di mercoledì 25 gennaio. Vengono dichiarati illegittimi il ballottaggio e la possibilità per i capilista candidati in più circoscrizioni di scegliere il proprio collegio di appartenenza in caso di elezione plurima. L’assenza di ballottaggio significa che se nessuna lista supera il 40 per cento dei voti, l’Italicum attribuirà i seggi in proporzione ai voti ricevuti a tutte le liste che supereranno la soglia minima di voti; il divieto di scelta dei capilista significa invece che il collegio di appartenenza e di elezione sarà sorteggiato. La sentenza completa sarà disponibile solo tra una ventina di giorni. Ci si può quindi limitare a qualche osservazione preliminare, in attesa di conoscere i dettagli di questa decisione.
Le questioni legali e quelle politiche
Si è trattato di una decisione molto delicata, dal punto di vista legale ma soprattutto dal punto di vista politico. Da un lato, infatti, la mancata riforma costituzionale ha “azzoppato” la necessità politica dell’Italicum, che in coerenza con la riforma, avrebbe regolato esclusivamente l’elezione della Camera dei deputati; inoltre, è evidente il problema della coesistenza, a seguito di quel fallimento, dell’Italicum con un sistema elettorale per il Senato sostanzialmente diverso negli effetti elettorali (un proporzionale senza premi di maggioranza). A contorno di tutto ciò, la richiesta sempre più pressante di alcune forze politiche (in primis, Movimento 5 Stelle e Lega Nord) di indizione di elezioni anticipate, qualunque fosse stato l’esito della decisione della Consulta e quindi indipendentemente dalla coerenza (o meno) dei sistemi elettorali risultanti per le due Camere.
Dal punto di vista legale, i punti sollevati dalle cinque ordinanze, talvolta sovrapponendosi, riguardavano diversi aspetti della legge.
In sintesi, essi facevano riferimento al premio di maggioranza, all’esistenza di una soglia di sbarramento, alla presenza di capilista bloccati in ogni circoscrizione, alla possibilità, per questi capilista, di candidarsi in diversi collegi, optando per il collegio di appartenenza nel caso venissero eletti in più collegi; nonché al fatto che l’Italicum avrebbe dovuto entrare in vigore esclusivamente a seguito della riforma costituzionale.
Simile alla “legge truffa” del ‘53
La Corte ha quindi accolto solo alcune delle numerose istanze sollevate. Dal punto di vista della bontà della legge, la conferma del premio di maggioranza segna un punto decisamente a favore della legge sotto esame. D’altro canto, la bocciatura del ballottaggio attribuisce un deciso sapore proporzionale a una legge che invece puntava a stabilire, al termine delle elezioni, un vincitore che potesse governare. Sarà molto interessante capire sulla base di quali motivazioni il ballottaggio è stato dichiarato incostituzionale, visto che da oltre vent’anni lo stesso meccanismo è in vigore, a onore del vero parzialmente, per l’elezione dei consigli comunali per le città con oltre 15.000 abitanti. Senza alcuna particolare conseguenza, invece, appare la scelta sui capilista. La decisione, peraltro, non sembra risolvere la questione principale, vale a dire che la candidatura – ed elezione – plurima porterebbe a una alterazione della volontà elettorale nei collegi interessati.
Vale la pena aggiungere alcune osservazioni a seguito di questa sentenza. La prima è che la legge elettorale risultante ricorda abbastanza da vicino la legge Scelba del 1953, passata alla storia come la “legge truffa”. In quel caso, il premio di maggioranza era molto più elevato (il 65 per cento dei seggi) ma veniva attribuito solo al superamento del 50 per cento dei voti. Una legge che durò solo il tempo di una tornata elettorale (comunque meglio dell’Italicum, mai utilizzata) e che viene riproposta, ironia della sorte, proprio a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale. La seconda è che i sistemi elettorali di Camera e Senato si avvicinano, pur restando diversi per l’assenza al Senato di un premio di maggioranza. Visto il richiamo del Presidente della Repubblica sulla questione (l’unico organo, vale la pena di ricordarlo, che detiene il potere di sciogliere le Camere), sarà cruciale il dibattito su quanto ancora distanti siano le due leggi. Infine, benché la Corte abbia dichiarato che la legge è (ovviamente) già applicabile, sembrerebbe imbarazzante per il Parlamento, cioè l’organo legislativo, non essere in grado di esprimere una volontà piena su due leggi così fondamentali per vita democratica del paese.