In un panorama dell’informazione sempre più dominato dai social network, i giornali – e la stampa in generale – sono preoccupati dalla difficoltà di guadagnare dalle collaborazioni con i giganti tecnologici come Facebook e Snapchat, tanto che molti ne stanno mettendo in discussione il modello di business. Stando a un rapporto dell’associazione di settore Digital Content Next, alcuni editori stanno per esempio riducendo la loro presenza su Instant Articles, il programma di Facebook che permette di pubblicare gli articoli direttamente su Facebook senza rimandare ai siti che li hanno prodotti, cosa che consente di caricarli più velocemente sui telefoni. Gli editori sono frustrati perché Facebook limita il numero e la tipologia di annunci pubblicitari all’interno di Instant Articles, cosa che rende più difficile guadagnare le stesse cifre che arrivano con gli annunci pubblicitari che compaiono direttamente sui siti, dove i lettori sono anche raggiunti in modo più mirato. Tra i membri di Digital Content Next ci sono il New York Times, il Washington Post, ESPN e Bloomberg News, la divisione di Bloomberg che si occupa di informazione.
Stando ai dati di Digital Content Next, nella prima metà del 2016 diciassette membri dell’associazione hanno generato in media 7,7 milioni di dollari (circa 7,1 milioni di euro) attraverso piattaforme terze, cioè il 14 per cento del totale dei loro ricavi digitali. Nel rapporto si legge che gli editori continuano ad avere «opinioni fortemente contrastanti» sulle possibilità di guadagno da Facebook. «Di base, gli editori stanno perdendo la capacità di mediazione e il rapporto con il pubblico, e temono che Facebook possa sconfinare ulteriormente nelle loro attività tradizionali», dice il rapporto. Facebook e Twitter non hanno voluto commentare, mentre Snap Inc., la società che ha sviluppato Snapchat, non ha risposto alla richiesta di commento.
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Facebook sta facendo fatica a gestire il suo crescente ruolo di distributore di notizie ai suoi 1,79 miliardi di utenti, ed è stato criticato per non aver fatto abbastanza per limitare la diffusione della disinformazione sul social network. Facebook ha in programma di realizzare una collaborazione più forte con le società di media, dare più sostegno all’informazione locale e attuare maggiori sforzi per istruire gli utenti su come evitare le bufale. Vuole anche consentire a un numero maggiore di editori di inserire annunci pubblicitari all’interno dei video di Facebook Live, e di recente ha permesso ai giornali di pubblicare contenuti con il loro marchio o annunci pubblicitari creati in modo autonomo.
Ciononostante il rapporto di Digital Content Next mostra la preoccupazione della stampa di raggiungere il pubblico che si informa attraverso i social network. Collaborare con Facebook o Snap Inc. aiuta gli editori a raggiungere un pubblico maggiore e più giovane, ma questo significa pubblicare su piattaforme terze invece che sui loro siti, rischiando così di perdere pubblicità preziosa e l’opportunità di nuovi abbonamenti.
Intanto alcuni editori hanno perso interesse in Facebook Live, che permette di realizzare video in diretta che vengono poi pubblicati sul social network; Facebook ha anche pagato un gruppo di editori per farlo. Alcune società hanno provato a inserire gli annunci pubblicitari nei video di Facebook Live, altre hanno espresso timore per «l’incapacità di creare un pubblico ampio intorno agli eventi in diretta». Digital Content Next ha concluso che per molti editori Facebook Live «non è ancora cresciuto né ha offerto un modello di guadagno». Diverse società di media hanno investito risorse e personale per creare contenuti per Snapchat, nella speranza di raggiungere il pubblico più giovane che utilizza l’app. Per ora, però, secondo gli editori di Digital Content Next, Snapchat «è di poco o nessun interesse finanziario nel breve termine». Recentemente Snapchat ha cambiato il suo modello passando dalla divisione dei ricavi delle vendite pubblicitarie con gli editori alla concessione di un diritto di licenza. Secondo il rapporto questo nuovo modello «potrebbe tradursi in un aumento limitato dei guadagni per gli editori».
Fonte: ilpost.it