Mai come in questi anni i giovani sono protagonisti dello sviluppo in tutto il mondo. Ovunque tranne che in Italia. Dove l’urlo di disperazione di Michele, giovane suicida per troppa precarietà, rimarrà ancora una volta inascoltato.
«Mi sento tradito da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come avrebbe dovuto fare». Di tutti i passaggi della lettera-testamento di Michele, il trentenne friulano – evitare di chiamarlo giovane, o ragazzo, è forse la prima operazione di igiene linguistica che dovremmo fare – che si è tolto la vita perché stufo di un esistenza precaria, questo è il più significativo ed emblematico.
Perché mostra, meglio di ogni sondaggio o di ogni indagine sociale quanto l’Italia sia un Paese che viaggia contromano, al punto tale da auto-convincerci che questa generazione sia maledetta e perduta ovunque, che la precarietà e la frustrazione dei giovani italiani sia figlia dello spirito dei tempi. Non è così, e fa ancora più rabbia. Perché altrove la prospettiva è completamente ribaltata.
Lo è in quei tre quarti del mondo che sta conoscendo qui e ora una fase di tumultuoso sviluppo, ovviamente. Paesi in cui nemmeno ci si pone il problema che i figli vivranno meglio dei loro genitori. Lo è anche negli Stati Uniti d’America e soprattutto in California, dove si è recentemente scoperto che ci sono startupper che mentono sulla loro età – abbassandosela – per non essere fatti fuori da un microcosmo in cui si diventa milionari a vent’anni.
Lo è pure in Europa, nonostante tutto. In Gran Bretagna, dove addirittura non ne possono più di giovani che arrivano in cerca di opportunità. In Germania, che per combattere la demografia, prova ad accogliere a suon di assegni di ricerca i migliori giovani da tutto il mondo. In Francia nascono startup come in nessun altro posto nel Vecchio Continente. Nel Nord Europa c’è un welfare bilanciato che investe sui giovani e sulle giovani famiglie quanto sugli anziani. Nell’est Europa si sperimentano metodologie formative innovative centrate su nuovi saperi e nuove specializzazioni – l’Estonia è stata uno dei primi Paesi al mondo a inserire il coding nel programma delle scuole elementari -, anche grazie a classi dirigenti molto giovani – gli ultimi due primi ministri estoni sono rispettivamente del 1979 e del 1978.
“Il bello – o il brutto, vedete voi – è che fino a qualche anno pure l’Italia era trainata dai giovani nel suo boom degli anni ’50 e ’60, sovvertita da giovani studenti nei turbolenti anni ’70, attraversata dall’ambizione individualista dei suoi giovani negli anni ’80. Poi qualcosa si è rotto. Il peso sociale delle nuove generazioni si è progressivamente ridotto, le risorse a loro destinate diminuite di anno in anno, i diritti erosi in nome di una modernizzazione che ha sempre riguardato chi aveva meno di quarant’anni, mentre tutto il resto poteva rimanere antico”
Il bello – o il brutto, vedete voi – è che fino a qualche anno fa lo era pure l’Italia. Trainata dai giovani nel suo boom degli anni ’50 e ’60, sovvertita da giovani studenti nei turbolenti anni ’70, attraversata dall’ambizione individualista dei suoi giovani negli anni ’80. Poi qualcosa si è rotto. Chiedersi se sono stati i giovani a fermarsi sull’uscio o se sono state le generazioni precedenti a non farli entrare è questione su cui dibatteranno gli esperti. Quel che è certo è che il peso economico, sociale, politico delle nuove generazioni si è progressivamente ridotto, le risorse a loro destinate diminuite di anno in anno, i diritti erosi in nome di una modernizzazione che ha sempre riguardato chi aveva meno di quarant’anni, mentre tutto il resto – ah, i sempiterni diritti acquisiti – poteva rimanere antico. Paradosso dei paradossi, persino la crescita della disoccupazione in questi anni di crisi ha colpito più i lavoratori in possesso di competenze più innovative e contratti più flessibili.
A questa palese contraddizione la politica non riesce a rispondere. Immobile, come se il malessere dei giovani fosse un fischio per cani, anche di fronte a una marea di No degli under 30 alla riforma costituzionale – avete letto qualcosa sui giovani, nella chilometrica intervista di analisi della sconfitta di Renzi a Repubblica? – anche di fronte a un urlo di disperazione, c’è da scommetterci, come quello di Michele. Se non con la fastidiosa ironia di alcune battute malriuscite, che tradiscono un’ indifferenza che è quasi peggio dell’ostilità.
Fonte: linkiesta.it | Autore: Francesco Cancellato