Ecco chi sono i lobbisti in Italia

Ecco chi sono i lobbisti in Italia

Il ministero dello Sviluppo economico li ha obbligati a iscriversi a un registro pubblico, che conta oltre 600 nomi. Da Flixbus ad Amazon, dai salumi sotto tutela agli editori.

Tra gli ultimi iscritti c’è l’Istituto poligrafico e zecca dello Stato. “Piano per la promozione straordinaria del made in Italy”, questo è il motivo per cui l’azienda pubblica che conia monete e fabbrica targhe e sigilli ha chiesto un appuntamento al ministero dello Sviluppo economico (Mise). Per ottenerlo, ha dovuto iscriversi al registro trasparenza del Mise. Un albo pubblico che raccoglie nomi e cognomi di aziende, professionisti, sindacati e centri di ricerca che hanno varcato le porte del ministero. Il cosiddetto registro delle lobby. Obiettivo: identificare chi ottiene incontri con i vertici del ministero, obbligando chi li chiede a rendere pubblico il proprio nome. Istituito dal 6 settembre 2016, l’albo dei lobbisti italiani ha raggiunto oggi 665 iscritti.
Il 5 gennaio si è registrata Iliad Italia, la nuova filiale dell’operatore telefonico francese (conosciuto anche come Free). Uffici in largo Angelo Fochetti 129, a Roma, Iliad ha precisato di avere interesse, ça va sans dire, a livello “nazionale” dei servizi di telefonia. Il gruppo francese, che punta a scompaginare le carte del mercato italiano con offerte low cost, dimostra così di iniziare a muoversi tatticamente lungo lo Stivale. I suoi concorrenti, Telecom, Vodafone e Wind-3, hanno tutti già un’iscrizione. La lobby del telefono è presente nei registri del Mise. Così come i big dell’economia italiana e internazionale: Autogrill, Pirelli, Basf, General Electric, Nestlé, Amazon, Cassa depositi e prestiti, Fca, Rai, Mediaset, Sky, Viacom.
Fino al braccio finanziario di Comunione e liberazione, la Compagnia delle Opere.
È datata 9 marzo l’iscrizione di Flixbus. La società di pullman low cost è stata bloccata dal decreto milleproroghe, che assegna le autorizzazioni al trasporto su gomma solo a chi lo effettua per davvero. Flixbus, nata a Monaco di Baviera, al contrario è una piattaforma online che affida a terzi le corse vere e proprie. La norma è tornata sotto i ferri nel pacchetto concorrenza al Senato. E nel frattempo Flixbus ha chiesto un incontro al Mise. La lobby della new economy contro la lobby della old. Il 10 febbraio si sono iscritti gli svizzeri di Sider Alloys, che da due anni corteggiano lo stabilimento dell’Alcoa in Sardegna. Erano i giorni in cui la compagnia siderurgica preparava il piano per la riconversione degli impianti nel Sulcis.
L’elenco degli ingressi al Mise riflette le partite in mano al dicastero, guidato da Carlo Calenda. Bussano alle porte i grandi operatori dei call center, come Teleperformance. O i giganti del tabacco, come Philip Morris e Jt. Fastweb, Eolo e Open Fiber si interessano agli sviluppi del piano banda ultralarga. L’Associazione italiana editori ha presentato il suo nuovo programma fieristico, incardinato a Milano. Gambero Rosso ha preso parte al tavolo vini verso gli Stati Uniti. Il Transadriatic pipeline (Tap), il gasdotto di 878 chilometri che trasporterà gas naturale dal Mar Caspio al Sud Italia, è il motivo dell’incontro di British Petroleum al Mise. Electrolux si è presentata per discutere degli incentivi sociali, il marchio di cosmesi Davines per esporre il progetto del suo nuovo quartier generale ecosostenibile, il Chilometro zero.
Negli oltre seicento nomi si ritrovano le grandi organizzazioni non governative, 32 in tutte, da Telethon ad Altroconsumo, da Fairwatch, gruppo anti-Ttip e Ceta, all’Airc, da Actionaid al Wwf, e 232 tra associazioni di categoria e sindacati. Dall’Associazione nazionale centri odontoiatrici all’Istituto salumi italiani tutelati, dalla Federazione italiana concessionari auto all’Associazione nazionale società emittitrici di buoni pasto, dall’Associazione industriale mugnai d’Italia a Federterme. Per ogni nicchia d’affari, c’è un gruppo di potere che si fa da portavoce al ministero.
Il registro cataloga anche i nomi di 129 tra società di consulenza, studi legali e liberi professionisti, 13 centri di ricerca e 9 organizzazioni di enti territoriali e istituzioni internazionali.
Nei giorni scorsi il Mise ha pubblicato un rapporto con i risultati del registro e le novità in arrivo per aumentare la trasparenza. Sarà introdotto un logo per distinguere chi si è iscritto da chi non lo è e le informazioni saranno tradotte. Il registro sarà esteso ad altri uffici pubblici. L’obiettivo è di farlo in cloud, così, scrivono dal ministero, “il Mise resterebbe il gestore dell’unico database valido per tutte le amministrazioni aderenti”. Saranno organizzati incontri pubblici per raccogliere suggerimenti su come migliorare il sito e si punta a una navigazione per open data. “Si può ipotizzare di introdurre una mappa geografica della dislocazione dei portatori di interesse – si legge nella relazione del Mise – ma anche la possibilità di effettuare ricerche tramite sistemi esterni o funzioni di integrazione con applicazioni anche per dispositivi mobili”.
Come il ministero dello Sviluppo economico, che rende noti ogni due mesi gli appuntamenti in agenda di ministro, viceministro e sottosegretari, anche quello delle politiche agricole ha reso pubblico l’elenco dei suoi lobbisti. Il ministro della pubblica amministrazione, Marianna Madia, si è detta intenzionata ad allargare l’iniziativa ad altri dicasteri. Registri simili hanno le città di Milano e Roma, Regione Lombardia e Regione Calabria che però, come avverte l’organizzazione Riparte il futuro,non la applica ancora”.
Senato e Camera navigano a vista. A Palazzo Madama è fermo il progetto di legge del senatore Luis Alberto Orellana. A Montecitorio, invece, l’anno scorso è passato il disegno sul monitoraggio delle lobby del deputato Pino Pisicchio. Riparte il futuro evidenzia però che si tratta di “una sperimentazione estremamente limitata”, che copre “la sola attività svolta all’interno del palazzo di Montecitorio”, senza controllo al di fuori, non prevede “un’agenda degli incontri” e sul fenomeno delle porte girevoli (ossia di deputati che, terminato il loro incarico, rivendono le proprie conoscenze per diventare super consulenti) da un limite di tempo “di dodici mesi” prima di potersi iscrivere all’albo dei lobbisti. Per gli esperti “un po’ poco”.

Fonte: wired.it | Autore: Luca Zorloni

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