La ricchezza nasce nei luoghi dove il «brain power» incontra i capitali e genera progetti e sviluppo. Una classifica delle capitali dell’economia globale: c’è Milano che dopo Brexit può crescere. E le altre? Quale futuro per i più famosi centri storici e artistici del pianeta?
Città-Stato fa pensare al florido passato medievale della penisola italiana: la Serenissima repubblica veneziana, i ducati di Milano, Parma e Firenze. Capitali del mondo a tutti gli effetti. Ma oggi le «città-Stato» sono altre: Tokyo, New York, Londra, Parigi e Madrid. Forse Milano, quarta area europea, o terza con la Brexit (ma sarebbe un puro miraggio legato alla burocrazia europea). In dubbio Roma, diluita nella parte bassa delle classifiche. Lo dice il Pil: l’economia globalizzata sta diventando sempre di più «metropoli-centrica». Le prime 600 città del mondo stanno già oggi funzionando come delle lavatrici all’incontrario concentrando grazie alle forze centripete il 65% dell’intera ricchezza prodotta dalla Mondo Spa. Altro che fuga nelle campagne: secondo l’Eurostat le persone che lavorano nelle grandi capitali — tra pendolari e fenomeno solo apparentemente più chic del commuting — superano i residenti. Per McKinsey che pubblica il rapporto «Global cities of the future» sulle grandi aree metropolitane la concentrazione del 65% del Pil si realizzerà da qui al 2025.
Per inciso è ciò che hanno compreso le società come Uber: l’importante è conquistare queste 600 metropoli, non il mondo. L’unica città degna di comparire in questa mappa della nuova economia è Milano (385 miliardi di dollari nel 2025), intesa come area che raccoglie quasi 8 milioni di persone: il principio è che sarebbe impossibile isolare una città dal proprio ecosistema che tende dunque a cibarsi delle realtà limitrofe come Lodi o Monza.
«L’economia delle nazioni» di Adam Smith andrebbe aggiornata con «L’economia delle super-città». «Nel mondo attuale pensare in termini di stati-nazione è sempre meno utile — ragiona l’economista d’impresa e professore della Sda Bocconi, Davide Reina. «Il Pil pro capite di queste aree cresce perché sono i luoghi dove il “brain power” del pianeta incontra il capitale e genera progetti, imprese, sviluppo. Le città che fanno parte di questa competizione possono porsi due obiettivi alternativi: diventare leader assoluti all’interno della rete, oppure puntare sulla specializzazione settoriale (IT, turismo, farmaceutico, etc…). Milano, data la dimensione ridotta, deve puntare sulla specializzazione ». Lo Human Technopole va in questa direzione. «Ma — conclude Reina — questo vale anche per altre città italiane come Venezia, Roma e Firenze che devono puntare sul patrimonio artistico straordinario». Altrimenti, sulle nuove mappe dell’economia non ci saremo più.
Fonte: corriere.it | Autore: Massimo Sideri