Qualche giorno fa, venerdì 21 aprile, cioè soltanto due giorni prima del primo turno delle presidenziali francesi che hanno sancito l’affermazione di Emmanuel Macron (“Uomo dell’anno 2017”, vedi Danton dell’11 gennaio 2017), il quotidiano le Monde ha pubblicato la recensione di un libro di Simone Weil, “Note sur la suppression générale des partis politiques”. Coincidenza voluta? L’articolo ha un attualissimo esordio: “Niente è più pericoloso in politica della passione collettiva”. Ma la recensione spiegava come per l’autrice fossero i partiti le “macchine” produttrici della passione collettiva considerata pericolosa. Dunque? Vanno soppressi.
Ecco, oggi in fondo avviene il contrario: i partiti politici faticano, almeno in Europa, con l’eccezione forse della Germania, non soltanto a produrre passione politica collettiva, ma perfino a rappresentarla, trasformarla in consenso e dunque in capacità di azione di governo, in produzione legislativa o in iniziativa politica in generale. Però il cuore analitico del ragionamento di Simone Weil ha anch’esso qualcosa di attualissimo: un partito politico non può avere altro fine che il partito stesso, la sua sopravvivenza, la sua prosperità, il suo successo. Non dunque il bene comune.
Il partito – spiega Weil – da mezzo diventa fine, come un animale che pensa soltanto a ingrassare in un ecosistema che pensa soltanto a farlo ingrassare. “La quantità di poteri del partito” si impone sulle coscienze dei cittadini – scrive le Monde – contro il senso di giustizia e di verità. Portando questa analisi alle estreme ma naturali conseguenze, ricordando le battaglie (politiche e quindi culturali) antipartitocratiche di Marco Pannella e riprendendo un recente articolo di John O’Sullivan sullo Spectator, in cui si sottolineava il fallimento delle élites liberali alla guida delle istituzioni e dei partiti tradizionali nel rappresentare la maggioranza dei cittadini e nel rispondere alle loro richieste, si potrebbe dire che i partiti hanno prodotto i populismi e ora i populismi possono essere fermati soltanto da nuove forme di rappresentanza politica e da nuovi strumenti di partecipazione collettiva al bene comune.
Per questa ragione Emmanuel Macron ha scelto di uscire dal governo di cui era ministro dell’Economia e di non partecipare alle primarie del Partito socialista francese, ma di fondare un (suo) nuovo movimento, En Marche!
E’ presto per dire che Macron abbia vinto e convinto sul fronte (molto importante) della riforma della partecipazione politica, ma la sua affermazione al primo turno delle presidenziali è un buon indizio per riflettere su come la soluzione all’antipolitica ovviamente non sia l’abbandono della politica, ma il rinnovamento profondo delle forme, degli strumenti e della comunicazione politica.
Fonte: danielebellasio.blog.ilsole24ore.com | Autore: Daniele Bellasio