Ieri si è votato in Francia e i mezzi di informazione hanno parlato di “svolta epocale”, di “vittoria a valanga” per Macron, con tutto il corollario di superlativi che accompagnano un sistema mediatico sempre meno informativo e sempre più chiassoso.
Ora, che Emmanuel Macron abbia vinto e che il risultato da lui conseguito sia altamente lusinghiero è fuor di dubbio: 350 seggi su 577 (dei quali 308 per La Republique en marche, il suo partito personale neofondato) non sono un risultato di poco conto. Ma siamo comunque ben distanti dal risultato eclatante che fino a ieri veniva dato per certo: 385-425 forse addirittura 470 seggi! Macron appare pertanto come un presidente in linea con la tradizione elettorale della V° Repubblica, la sua maggioranza parlamentare sarà la settima per ampiezza, su 14 legislature. Dunque sostanzialmente nella media, un presidente della Repubblica non un nuovo giovane I° Console.
In realtà, la storia della V Repubblica non è nuova a cavalcate trionfali e repentini capitomboli, anche perché il meccanismo di voto – l’uninominale di collegio a doppio turno – un po’ agevola “le discese ardite e le risalite”, come avrebbe cantato Lucio Battisti. Per capirci, dal 1962 la forma di governo francese è di tipo “semipresidenziale”, vale a dire un modello politico-istituzionale caratterizzato da 3 aspetti separati e parimenti necessari:
a) l’elezione diretta del presidente della Repubblica (come nel modello presidenziale);
b) l’attribuzione al presidente della Repubblica di poteri in campo esecutivo su ambiti ampi e specifici (il c.d. domaine réservé, espressione coniata nel 1959 da Jacques Chaban-Delmas per indicare la competenza particolare del presidente in materia di politica estera e di difesa);
c) la presenza di un primo ministro titolare del potere esecutivo e responsabile davanti al Parlamento (come nel modello parlamentare).
la definizione di “semipresidenziale” non significa – come hanno ben chiarito Maurice Duverger e Giovanni Sartori – che il sistema sia una via di mezzo tra presidenziale e parlamentare, ma – au contraire – esso è una sorta di “pendolo” che alterna fasi presidenziali a fasi parlamentari in base alla forza politica che ha la titolarità della maggioranza nell’Assemblea Nazionale, che è la camera del Parlamento presso la quale si perfeziona il rapporto fiduciario con il governo. Per spiegare in soldoni: se esiste una “maggioranza presidenziale” allora il primo ministro sarà uno stretto sodale del presidente della Repubblica, il quale eserciterà non solo le proprie funzioni ma anche – indirettamente – quelle di capo del potere esecutivo (e quindi il meccanismo funzionerà come un sistema presidenziale forte), mentre in caso contrario, il primo ministro sarà un contraltare politico di rilievo del presidente e questi agirà entro il recinto delle attribuzioni costituzionalmente previste (e quindi, il meccanismo sarà più simile a un sistema parlamentare).
La particolarità del sistema istituzionale congegnato da Charles de Gaulle – il coup d’etat permanent, secondo la celebre e un po’ melodrammatica definizione di Francois Mitterrand, quando ancora non sapeva che ne avrebbe beneficiato per 14 anni – è dunque duplice: il focus politico è sulla figura del presidente, ma le leve del potere spettano a chi detiene la maggioranza nell’Assemblea Nazionale. Se diamo un’occhiata alla tabella che propongo, notiamo alcuni dati interessanti.
In quattro occasioni (su 14) il presidente in carica non ha potuto contare su una maggioranza certa a suo supporto a seguito del voto legislativo. In un caso – nel 1967 – la maggioranza si è poi consolidata a livello di accordi parlamentari, in un altro caso (1988) si è dato vita a una maggioranza a geometria variabile, con il governo a guida socialista che si reggeva a volte sui voti comunisti, altre volte sui voti del centro, in base alle issues politiche del momento. Per due volte (1986 e 1997) il presidente in carica ha dovuto sperimentare la “coabitazione” con un primo ministro del colore a lui avverso e l’esperienza del periodo 1997-2002 ha indotto a una riforma costituzionale che – riducendo il mandato presidenziale da 7 anni a 5 – ha allineato i cicli elettorali di presidente e Assemblea Nazionale.
Nella prassi politica, inoltre, quasi sempre il presidente eletto riesce ad ampliare la propria maggioranza nell’Assemblea grazie al supporto di partiti piccoli o candidati indipendenti, ma talvolta capita anche il contrario. Ad esempio il presidente Hollande – pur godendo di una ampia maggioranza nell’Assemblea Nazionale – non è riuscito a condurre in porto rilevanti provvedimenti sui quali aveva investito in termini di immagine e peso politico, come ad esempio la revoca della cittadinanza per i colpevoli di reati legati al terrorismo internazionale, dovendo in tale occasione gestire forti contrarietà in seno alla propria stessa maggioranza, con decine di dissenzienti tra i socialisti e le perplessità del Senato.
E Macron? beh, se guardiamo al passato, il neopresidente ha il vantaggio di avere la maggioranza assoluta con il proprio partito. Ma è realmente un vantaggio? En Marche! è un partito neonato, il cui unico collante è la fiducia nella leadership del giovane presidente, ma quando si passerà dalla poesia della campagna elettorale alla prosa delle scelte effettive di governo reggerà il colpo? reggerà se il gradimento del presidente dovesse scendere? reggerà se non si dimostrerà in grado di recuperare l’astensionismo più vasto e preoccupante della storia di Francia?
I parlamentari dell’Assemblea Nazionale non sono delle anime morte elette con liste bloccate da partiti inesistenti, come avviene nella grigia Italia. Sono ciascuno individualmente vincitori di un collegio uninominale e come prima cosa rispondono agli elettori di quel collegio. Pertanto, la maggioranza va mantenuta sulle scelte reali e la politica francese è meno lineare e semplice di quanto non si creda.
E poi c’è il Senato. Il Senato francese non entra nel rapporto fiduciario con il governo, ma è partner fondamentale nei processi di riforma costituzionale e incide fortemente anche nella legislazione ordinaria. Si tratta di una camera rappresentativa dei territori, i cui 348 membri sono eletti a livello dipartimentale dai consiglieri comunali, dipartimentali, regionali e dai parlamentari espressi dal singolo dipartimento. Restano in carica 6 anni con rinnovo parziale triennale e – ad oggi – nessuno dei 348 senatori risulta appartenente a Republique en marche. Dunque, il giovane “I° Console” dovrà conquistare giorno dopo giorno il supporto di una camera che può esercitare un potente ruolo di veto player, come spiegato chiaramente in questo articolo di Sofia Ventura, una delle studiose italiane che meglio conosce la politica della V° Repubblica.
In conclusione, complimenti a Emmanuel Macron, sapendo che qui e oggi “si parrà la tua nobilitate“. E domani? beh, per citare il vecchio Clint, “il domani non si promette a nessuno”.
Marco Cucchini | Poli@rchia (c)