Nonostante il presidente francese Emmanuel Macron ora provi a rinfocolare l’orgoglio nazionale, la Francia ha perso da circa due secoli il suo ruolo guida del mondo. E da circa 100 anni il suo primato nel mondo della diplomazia. A tutto vantaggio, guarda un po’, dell’inglese.
È una storia istruttiva, e la raccontano bene qui. Dopo la battaglia di Waterloo, in cui Napoleone (francese) fu sconfitto dalle truppe guidate da Wellington (inglese), la Francia poté dire addio alle sue spinte imperialiste in Europa. Lo status di potenza passò nelle mani della Gran Bretagna, ma i francesi tennero per sé il prestigio della lingua. Solo i marinai e gli uomini d’affari studiavano l’inglese. Gli amministratori, gli ambasciatori e tutte le organizzazioni internazionali continuarono a parlare in francese. Tanto che, quando nel 1870 la Francia fu sconfitta e umiliata dai tedeschi nella guerra franco-prussiana, il trattato dell’armistizio fu scritto solo in francese. Andava così.
Qualche anno dopo, nella Prima Guerra Mondiale, la Francia riuscì anche a prendersi una rivincita contro i tedeschi. Appariva naturale allora che il trattato di pace, come si era sempre fatto – e a maggior ragione in quell’occasione, visto che era anche una delle nazioni vincitrici – fosse scritto in francese. Il presidente francese Georges Clemenceau lo propose quasi come se fosse un proforma. Non si aspettava obiezioni di nessun genere. Ma si sbagliava: si era dimenticato degli americani.
Il presidente Woodrow Wilson sollevò alcuni rilievi. Certo, il francese era la lingua della diplomazia. Ma adesso c’è una nuova potenza, il cui aiuto è stato essenziale per la sconfitta dei tedeschi, che parla solo inglese. Non era solo una questione di prestigio: secondo la Costituzione americana, tutti i trattati devono essere sottoposti al giudizio del Senato. E nessuno di loro, puntualizzò, parla francese. Il colpo fu piazzato, e anche David Lloyd George, primo ministro inglese, lo appoggiò. Del resto, aggiunse, nel mondo sono di più le persone che parlano inglese rispetto a quelle che parlano francese.
E fu così che, malvolentieri, i francesi accettarono di scrivere il trattato, in modo identico, in due lingue: francese e inglese. Ma prima fecero un ultimo, disperato, tentativo: per diluire il colpo e non concedere questo riconoscimento agli inglesi, proposero di inserire anche una versione in italiano. Non si sarebbe trattato di una parificazione dell’inglese al francese (per loro inaccettabile) ma una celebrazione delle tre lingue vincitrici. Inutile dirlo, la proposta non passò. E del resto, a quell’incontro, tra i “Grandi Quattro” che partecipavano solo Emanuele Orlando di Savoia non sapeva l’inglese.
Fonte: linkiesta.it
questa la sapevo, scoperta durante il corso di Storia dei Trattati internazionali