Disciplina regionale dell’attività di lobbying

Disciplina regionale dell’attività di lobbying

Dal sito avvisopubblico.it un interessante disamina della legislazione in materia di rappresentanza degli interessi esistente nelle diverse regioni. Articolo a cura di Silvia Giuliattini.

A differenza dell’ordinamento statale, dove ad oggi è assente una disciplina organica dell’attività di lobbying, alcune Regioni italiane si sono dotate di leggi che, seppur con alcune lacune e dandone scarsa attuazione, regolamentano l’attività dei gruppi di interesse nell’ambito dei processi decisionali pubblici.

Regione Siciliana. La prima Regione ad aver adottato una forma di regolamentazione dei rapporti con i gruppi di interesse è stata la Regione Sicilia che, già prima dell’approvazione della Costituzione, prevedeva all’interno del proprio Statuto l’elaborazione dei progetti di legge attraverso la partecipazione delle rappresentanze degli interessi professionali e degli organi tecnici regionali ai lavori delle Commissioni dell’Assemblea regionale (art. 12, comma 3 dello Statuto). Alla norma statutaria hanno successivamente fatto seguito alcune disposizioni del Regolamento dell’Assemblea, che prevedono che la scelta dei rappresentanti degli interessi professionali sia basata su elenchi dei rappresentanti regionali delle organizzazioni dei lavoratori, dei datori di lavoro e degli organi professionali (art. 71 del Regolamento) e che tali rappresentanti siano obbligatoriamente coinvolti nell’esame dei progetti di legge relativi a problemi di natura economica o sindacale (art. 72 del Regolamento) e, infine, che attribuiscono al Presidente dell’Assemblea il potere di individuare il numero dei rappresentanti di volta in volta coinvolti (art. 73). Ciononostante, a nessuna delle disposizioni citate è mai stata data attuazione, elemento che sfortunatamente accomuna la disciplina della Regione Siciliana alle altre leggi delle Regioni che hanno voluto regolamentare il fenomeno.

Toscana, Molise e Abruzzo. Un altro caso di regolamentazione a livello regionale dell’attività di lobbying è rappresentato dalla legge della Regione Toscana 18 gennaio 2002, n. 5, che, nonostante non fornisca alcuna definizione del fenomeno (è presente solo una distinzione) tra gruppi di interesse che rappresentano categorie economiche, sociali e del terzo settore maggiormente rappresentativi a livello regionale e provinciale e «altri gruppi comunque attivi sul territorio toscano»), ha introdotto il Registro dei gruppi di interesse accreditati, cui devono iscriversi i gruppi di interesse che sono dotati di un’organizzazione interna di natura democratica, perseguono interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento e sono stati costituiti almeno sei mesi prima dell’entrata in vigore della legge. Nonostante tale limitazione soggettiva, l’iscrizione al Registro determina comunque il riconoscimento di importanti diritti, tra i quali: il diritto di presentare richieste su atti proposti (cui fanno seguito audizioni in seno alle Commissioni in sede istruttoria), il diritto di presentare progetti di atti, di accedere ai locali, di chiedere informazioni anche di carattere tecnico e di seguire le sedute delle commissioni.

Nonostante la disciplina della Regione Toscana presenti alcune lacune (assenza di definizioni e ambito soggettivo limitato, cui si aggiunge il limite dell’applicabilità delle norme al solo Consiglio Regionale), il caso toscano ha costituito un modello per altre Regioni, tra cui il Molise, che ha sostanzialmente “copiato” la disciplina della Regione Toscana, e l’Abruzzo, che invece ha cercato di apportarvi alcuni correttivi.

La legge della Regione Abruzzo n. 61 del 2010 ha infatti ripreso il modello toscano, ma ha cercato anche di porre rimedio ad alcune delle sue lacune, ad esempio estendo l’applicazione del Registro anche ai rapporti dei gruppi di interesse con la Giunta e gli assessori e fornendo una definizione dell’attività di lobbying. Tuttavia la disciplina dell’Abruzzo sconta la natura facoltativa dell’iscrizione al Registro, la quale peraltro determina come unico vantaggio la possibilità di chiedere di essere ascoltati in via prioritaria.

Soprattutto, esattamente come per la Regione Sicilia, la disciplina dell’attività di lobbying delle Regioni Toscana, Abruzzo e Molise è rimasta sino ad oggi del tutto inattuata, così vanificando i tentativi del legislatore di introdurre forme più trasparenti di partecipazione al processo decisionale.

Le Regioni Calabria e Lombardia. Recentemente si sono aggiunte altre due discipline regionali dell’attività di lobbying, che si distinguono per una maggior completezza e dettaglio di regolamentazione, anche se neppure queste ultime sono esenti da lacune. Particolarmente organica risulta soprattutto la legge della Regione Calabria 12 febbraio 2016, n. 4, che ha istituto il Registro pubblico dei rappresentanti di interessi particolari, fornisce una definizione dell’attività di lobbying e introduce una disciplina applicabile non solo ai componenti del Consiglio Regionale ma anche alla Giunta Regionale. Tuttavia, come nel caso della Toscana, l’ambito soggettivo di applicazione delle norme è limitato ai soli gruppi di interesse che siano portatori di interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento, da cui sono dunque esclusi rilevanti categorie di gruppi di interesse, come società commerciali, multinazionali e aziende monopolistiche.

La disciplina introdotta dalla Regione Lombardia (legge n. 17 del 2016) ha invece istituito un Elenco dei rappresentanti di interessi, di natura obbligatoria, ma le norme che riconoscono diritti e obblighi (tra cui la presentazione di una relazione annuale sull’attività svolta) ai gruppi di interesse iscritti all’elenco non si applicano ai membri della Giunta Regionale, la quale è tuttavia chiamata ad adottare, sulla base dei principi della legge regionale ed entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore, un regolamento regionale con cui disciplinare la funzione di rappresentanza di interessi in relazione ai propri processi decisionali.

I progetti di legge della Regione Lazio e della Puglia. Da ultimo, altre due Regioni italiane stanno cercando di introdurre alcune forme di regolamentazione dei rapporti tra gruppi di interesse e decisore pubblico a livello regionale. In particolare, il disegno di legge n. 101 del 15 giugno 2016 della Regione Puglia, si distingue dalle discipline introdotte dalle altre Regioni per i seguenti elementi:

  • in primo luogo, l’ambito applicativo delle norme è esteso non solo alla Giunta Regionale, ma anche ai singoli assessori, ai direttori dei dipartimenti e ai vertici delle Aziende regionali strategiche e delle Aziende e degli Enti del Servizio Sanitario Regionale (art. 3);
  • in secondo luogo, istituisce un registro dei gruppi di interesse la cui iscrizione, obbligatoria per coloro che intendono svolgere attività di lobbying, è subordinata alla sottoscrizione di un codice di condotta che dovrà essere adottato dalla Giunta regionale d’intesa con la Presidenza del Consiglio regionale (art. 5);
  • in terzo luogo, prevede l’introduzione di un’Agenda pubblica attraverso cui rendere noti gli incontri svolti dai decisori pubblici con i gruppi di interesse (art. 7);
  • soprattutto, prevede all’art. 12, un meccanismo di valutazione dello stato di attuazione della disciplina basato su una relazione annuale trasmessa dal Presidente della Giunta al Consiglio regionale.

Anche il disegno di legge all’esame della Regione Lazio si distingue per una maggiore completezza di disciplina rispetto a quelle già introdotte da altre Regioni. In particolare:

  • nell’ambito applicativo delle norme, oltre alla Giunta e al Consiglio regionale, sono ricompresi anche i vertici e gli staff degli uffici di diretta collaborazione, nonché i titolari degli incarichi di funzione dirigenziale generale (art. 2);
  • prevede l’istituzione, presso l’Avvocatura della Regione Lazio, di un Comitato per la trasparenza nella rappresentanza di interessi, cui saranno affidate le funzioni di gestione del Registro dei portatori di interessi, garanzia e tutela della partecipazione dei gruppi di interesse ai processi decisionali, predisposizione di un rapporto annuale di verifica dell’attività degli iscritti al registro e gestione del contraddittorio ed erogazione delle sanzioni previste dalla legge (art. 3);
  • introduce precisi obblighi a carico dei decisori pubblici, tra i quali la predisposizione di una relazione annuale sugli incontri svolti e il divieto di ricevere doni di entità superiore ai mille euro.

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