Ieri sera Pietro Grasso nel suo esordio televisivo come candidato premier per la neonata lista Liberi e Uguali ha presentato il simbolo dell’inedito rassemblement e subito si è aperto il dibattito. E’ bello? E’ brutto? E’ così così?
A parer mio non è né bello, né brutto e non poteva essere che così. Ad occhio e croce sembra il tipico simbolo di una lista civica di un comune di 3000 abitanti: c’è un cerchio colorato, nel mezzo in grande il nome della lista così la nonna non sbaglia a votare, uno sbuffetto grafico insignificante ficcato da qualche parte e sotto il nome del candidato Sindaco. Costo ipotizzato: due ore di lavoro, diciamo 100 € lorde e qualsiasi cifra pagata in aggiunta rende il simbolo strapagato.
Ma non è solo un problema di Liberi e Uguali. Tutti i simboli della II Repubblica sono essenzialmente privi di forza evocativa, pensati solo per essere riconoscibili al momento del voto, non certo per diventare un punto di riferimento culturale o emozionale. E così il nuovo simbolo non è certo concettualmente diverso – ad esempio – da quelli di Alternativa Popolare di Alfano, di Scelta Civica di Monti o del fu Popolo delle Libertà. Simboli che per la loro stessa semplicità estrema sembrano tutti destinati a durare poco, non avendo nulla che li faccia entrare nell’immaginario collettivo.
Ma siamo onesti, ai grafici che indicazioni vengono date? nessuno si può prendere dei rischi estetici perché altrimenti “l’elettore non capisce” e nessuno può azzardare con simboli troppo identitari “perché dobbiamo essere inclusivi”. E dunque la sola scelta possibile è un colore che possa andar bene a tutti, caratteri chiari, scritta in grande e nome del Padrone ben visibile in basso al centro…
In fondo, a ben vedere, può anche andare peggio. Può capitare di mettersi in mano a professionisti distratti, pigri oppure – molto semplicemente – pagati poco, che non hanno quindi tutta questa voglia di farsi venire delle idee per clienti imprecisi o malmostosi. E’ quello che è capitato – ad esempio – a Sinistra Italiana, che si è messa in mano a qualche “creativo” poco in vena di creare, che ha pensato bene di limitarsi a rielaborare (pure maluccio) il logo di una nota catena di negozi di abbigliamento…
Anche in questo, naturalmente, la I Repubblica era migliore. I simboli dei partiti storici avevano una forza e un impatto superiori, tanto da diventarne essi stessi sinonimi o metonimie… e così se si diceva “lo Scudo Crociato” o “il Garofano” tutti capivano che ci si riferiva rispettivamente alla DC o al PSI. E il cambiamento di un simbolo era una cosa seria: quando Bettino Craxi decise di recidere definitivamente il legame anche iconografico con il marxismo sovietico, relegando in soffitta libro, falce e martello, lo fece con un congresso (il Congresso di Torino del 1978) e il nuovo simbolo segnava anche una nuova linea politica: meno accondiscendenza verso il PCI, più dinamismo, più europeismo, più riformismo.
Dietro un simbolo vi era dunque una storia e una cultura politica e l’immagine simbolica serviva anche a creare un legame identitario e spirituale tra passato e presente. Oggi tutto questo è impossibile. Il sistema partitico è in continuo scomponimento da quasi un quarto di secolo. E’ tutto un fondere, scindere, aggregare, coalizzare, smontare… E questa assenza di coerenza è lo specchio della trasformazione dei partiti, da cinghia di trasmissione tra istituzioni e società a armate personali di questo o quel Signore della Guerra.
Un solo partito non ha mai cambiato simbolo: il Partito Repubblicano Italiano. Dal 1895 non ha mai abbandonato la storica foglia d’edera, emblema del lento e continuo radicarsi delle idee e dei progetti. Un simbolo, semplice, elegante e nobile. Peccato però che – fogliolina a parte – il PRI di oggi non abbia più nulla di quello di Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini o Bruno Visentini. Sobrietà, Laicità. Rigore, Onestà, Europeismo, Capitalismo temperato… valori splendidi, valori “vincenti”. Valori che oggi servirebbero come il pane.
Valori perduti.
Marco Cucchini | Poli@rchia (C)