Sta finendo una campagna elettorale eccezionale e strana, con candidati in carcere o all’estero e un esito difficile da prevedere.
In Catalogna sono arrivate le elezioni convocate eccezionalmente dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy, le prime dopo la dichiarazione d’indipendenza approvata dalla maggioranza parlamentare catalana uscente. La campagna elettorale è stata unica nella storia recente europea. Per dirne una: dei tre principali candidati a diventare prossimo presidente della Catalogna, uno si trova in carcere preventivo e un altro è scappato a Bruxelles, accusato in Spagna di reati che prevedono fino a 30 anni di carcere. Gli ultimi sondaggi non hanno chiarito se in Catalogna ci sarà o meno una nuova maggioranza indipendentista, e i dibattiti televisivi che si sono tenuti finora non sono stati decisivi per capire quali saranno le alleanze post-elettorali.
Quindi, cosa ci si deve aspettare?
Perché sono elezioni eccezionali
Ci sono tre date che aiutano a capire quello che è successo in Catalogna e come si è arrivati fin qui.
L’1 ottobre si è tenuto il referendum sull’indipendenza della Catalogna, convocato dal governo dell’ex presidente Carles Puigdemont e sostenuto dalla maggioranza del Parlamento catalano, ma ritenuto illegale dal governo e dalla magistratura spagnola. Quel giorno è successo un po’ di tutto: cariche della polizia spagnola ai seggi elettorali, accuse di tradimento alla polizia catalana, occupazione preventiva dei seggi elettorali. La sera stessa Puigdemont ha annunciato la vittoria del Sì, quindi del fronte indipendentista, dando inizio alla fase più acuta della crisi con il governo spagnolo.
Il 27 ottobre, dopo settimane di incertezza, il Parlamento catalano ha approvato la dichiarazione d’indipendenza, dicendo di voler applicare i risultati del referendum dell’1 ottobre. Lo stesso giorno il governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy ha applicato l’articolo 155 della Costituzione spagnola per la prima volta nella storia della Spagna post-franchista, cioè quello che dà la possibilità allo stato di costringere una Comunità autonoma, come la Catalogna, a rispettare la legge. Rajoy ha sciolto il Parlamento catalano, ha rimosso dai loro incarichi Puigdemont e i suoi ministri e ha convocato elezioni anticipate per il 21 dicembre.
Il 30 ottobre la procura generale spagnola ha denunciato i politici responsabili della dichiarazione d’indipendenza della Catalogna, iniziando un lungo e complicato iter giudiziario con parecchi colpi di scena. I membri del governo catalano, quelli dell’ufficio di presidenza del Parlamento e i due principali leader indipendentisti della società civile sono accusati di reati molto gravi: alcuni si trovano in carcere in attesa del processo, altri hanno ottenuto la libertà pagando una cauzione, altri ancora, tra cui l’ex presidente Puigdemont, sono andati a Bruxelles dopo una specie di fuga da film, sostenendo che in Spagna non avrebbero ottenuto un processo giusto.
Le elezioni catalane di giovedì si terranno dopo tutto questo, con gli indipendentisti che accusano gli anti-indipendentisti di avere usato i tribunali per combattere la loro legittima posizione politica, e gli anti-indipendentisti che accusano gli indipendentisti di avere portato la Catalogna al disastro, sia economico che sociale. Le elezioni si terranno alla fine di una campagna elettorale molto più che atipica, fatta non solo dai tradizionali comizi nelle principali città catalane, ma anche da lettere e articoli scritti dai leader indipendentisti e dagli ex ministri ancora in carcere e dai videomessaggi e tweet di Puigdemont dal Belgio.
L’ultima stranezza è di lunedì, conseguenza del fatto che Puigdemont e gli altri ex ministri in Belgio non potranno votare alle elezioni di giovedì per non essersi registrati in tempo al consolato spagnolo a Bruxelles. Puigdemont ha scritto su Instagram che una ragazza di 18 anni gli ha “ceduto” il suo voto, nel senso che voterà secondo le preferenze politiche dell’ex presidente. Anche Toni Comín, ex ministro della Sanità del governo catalano attualmente a Bruxelles, ha annunciato una cosa simile, dicendo che un suo stretto familiare che alle ultime elezioni si era astenuto voterà secondo la sua preferenza.
I sondaggi: indipendentismo vs anti-indipendentismo
Alle elezioni si presentano sette forze politiche, nessuna delle quali – quasi certamente – otterrà più del 30 per cento dei voti. Stando ai sondaggi realizzati finora, i partiti che si giocheranno la vittoria sono tre: Esquerra Republicana (ERC), sinistra indipendentista guidata dall’ex vicepresidente Oriol Junqueras, oggi in carcere in attesa di processo; Junts per Catalunya (JxCat), lista guidata da Puigdemont e sostenuta dal partito indipendentista di centrodestra PDeCAT; e Ciutadans, sezione catalana di Ciudadanos, partito di destra anti-indipendentista che ha guadagnato moltissimi consensi dal 2015, quando si erano tenute le ultime elezioni catalane. È difficile fare previsioni più precise, anche perché per legge da sabato scorso i giornali spagnoli non possono più pubblicare i sondaggi.
Secondo un sondaggio pubblicato dal Periodico il 14 dicembre, e realizzato dal Gabinet d’Estudis Socials i Opinió Pública (GESOP), ERC sarebbe in testa con oltre 30 seggi, ma negli ultimi giorni potrebbe avere perso qualcosa. Domenica il quotidiano scozzese National ha pubblicato un altro sondaggio che dice che la distanza tra ERC, Ciutadans e JxCat si sarebbe ridotta, tendenza confermata anche da un sondaggio pubblicato ieri sul Periòdic d’Andorra.
Sull’altro fronte le cose sono più complicate. Ciutadans potrebbe ottenere l’appoggio del Partito Popolare catalano (PPC) – che comunque sembra avere perso molti consensi rispetto alle elezioni del 2015, passando da 11 a 6-7 seggi – e poco altro. La seconda forza politica del fronte anti-indipendentista, il Partito Socialista catalano (PSC), non sembra intenzionata a sostenere un possibile governo di destra guidato da Ciutadans, anche se finora le accuse reciproche tra loro in campagna elettorale sono state poche. Di certo Ciutadans non otterrà l’appoggio di Catalunya en Comú (CeC), che semplificando si può definire il Podemos catalano, partito di sinistra anti-indipendentista ma favorevole a un referendum sull’indipendenza della Catalogna concordato con lo stato spagnolo. Il leader di CeC, Xavier Domènech, ha già scartato l’ipotesi di un’alleanza post-elettorale con qualsiasi forza politica di destra, quindi sia Ciutadans che JxCat.
Un candidato da tenere d’occhio è Miquel Iceta, leader dei Socialisti catalani. Stando ai sondaggi Iceta non ha alcuna possibilità di vincere le elezioni, ma qualche settimana fa si era parlato di lui come possibile nuovo presidente catalano. Nel caso in cui non si riuscissero a formare maggioranze parlamentari dopo il 21 dicembre, alcuni partiti politici di destra e di sinistra potrebbero decidere di astenersi nel voto di fiducia sul nome di Iceta, di fatto aprendo la possibilità di un governo di minoranza (molto di minoranza) del PSC, quindi anti-indipendentista. Per il momento è un’ipotesi di cui si è parlato solo sui giornali e che va presa come tale: è un’eventualità, comunque, che di recente potrebbe avere perso forza, viste le difficoltà del PSC registrate negli ultimi sondaggi.
In caso di vittoria indipendentista, chi sarebbe il nuovo presidente?
È molto difficile dirlo ora, e non solo perché i sondaggi non mostrano un chiaro vincitore delle elezioni. Uno dei problemi è che i candidati di ERC e JxCAT, Oriol Junqueras e Carles Puigdemont, non sembrano oggi nelle condizioni di insediarsi a capo di un futuro governo indipendentista. Junqueras è stato incarcerato in via preventiva, in attesa del processo, e finora i suoi tentativi di uscire di prigione con il pagamento di una cauzione non sono andati a buon fine. Puigdemont è in Belgio dalla fine di ottobre, e nonostante il mandato di arresto europeo a suo carico sia stato ritirato da un giudice spagnolo, se dovesse tornare in Spagna verrebbe immediatamente arrestato.
ERC e JxCat stanno affrontando questa situazione in maniera diversa: ERC ha preparato un piano B, ipotizzando un governo guidato da Marta Rovira, la numero 2 del partito; JxCat invece ha preferito puntare tutto su Puigdemont, che è ancora molto popolare tra gli indipendentisti catalani. Quella di JxCat è stata in parte una scelta obbligata: Puigdemont ha convinto il suo partito – il PDeCAT, in crisi profonda da tempo – a lasciargli carta bianca alle prossime elezioni, facendo una lista a suo piacimento, che senza di lui probabilmente non arriverebbe nemmeno al 10 per cento dei voti. Finora, comunque, sembra avere funzionato meglio la strategia di JxCat, che nel giro di poche settimane ha guadagnato parecchio, sottraendo molti voti a ERC e provocando diverse tensioni interne al fronte indipendentista. Negli ultimi giorni Puigdemont ha anche detto di avere intenzione di tornare in Catalogna nel caso in cui il Parlamento gli votasse un’altra volta la fiducia, nonostante la certezza di essere arrestato.
E dopo?
L’incertezza del risultato del voto, e soprattutto delle possibili alleanze post-elettorali, rende molto difficile ipotizzare quello che potrebbe succedere dopo le elezioni. Una questione di cui si dibatte molto da settimane riguarda il futuro del cosiddetto “procés“, il processo, cioè l’ampio movimento politico e sociale iniziato tra il 2010 e il 2012 che ha come obiettivo l’indipendenza della Catalogna. Secondo alcuni, tra cui i leader dei partiti anti-indipendentisti, il procés ha fallito ed è ormai superato: il referendum sull’indipendenza è stato fatto, la Repubblica è stata proclamata ma di fatto non è cambiato nulla. Secondo altri, tra cui i leader indipendentisti, le elezioni serviranno per sancire la proclamazione della Repubblica e costringere lo stato spagnolo a negoziare l’indipendenza, o per lo meno un nuovo referendum, con il governo catalano. Per ora si sa che i due principali partiti indipendentisti – ERC e JxCat – hanno annunciato di voler fare un mezzo passo indietro e rinunciare alla via unilaterale. Per il resto bisognerà aspettare il risultato delle elezioni.
Fonte: ilpost.it