L’analisi dei post social dei leader politici, in vista del voto del 4 marzo, rivela aspetti interessanti dal punto di vista del linguaggio. Ecco le ‘emozioni politiche’. Con Grasso che suscita ‘paura’ più degli altri e la Meloni è campionessa di “populismo”.
L’approfondimento è a cura di SIMONA CASALINI. Speciale interattivo a cura del VISUAL LAB per repubblica.it.
Emozioni e populismo: quanto i principali leader dei partiti che si presentano il 4 marzo indulgono in queste due categorie di pensiero della comunicazione sui social? Chi di loro fa più uso nei post su Facebook e Twitter di contenuti cosiddetti “emozionali”, e quindi usano retoriche da attori della politica, suscitando con ciò che scrivono le reazioni di chi legge il post? Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, ad esempio, sulla leva della “fiducia” spingono parecchio sui loro post su Facebook e, tra i partiti, Forza Italia, è quella che più insaporisce la sua comunicazione con tanta “speranza”.
All’opposto, i post che suscitano “paura” li pubblica più degli altri, e un pò a sorpresa, Pietro Grasso, così come la “rabbia”, quest’ultima condivisa anche da Matteo Renzi e Giorgia Meloni. “Fiducia”, “aspettative” e “sorpresa” sono irrorate con generosità sia nei post di Luigi Di Maio che in quelli di Matteo Salvini.
Sembra un gioco, e invece è uno studio comparato con tecniche di analisi computazionale e di intelligenza artificiale realizzato dai ricercatori del MediaLab e CoLing Lab dell’università di Pisa, dell’Istituto di iInformatica e telematica del Cnr di Pisa e dell’Osservatorio sulla comunicazione politica e pubblica dell’ateneo di Torino, supervisionati dal gruppo di ricerca PoliCom.Online, coordinati da Cristopher Cepernich e Roberta Bracciale. I dati si riferiscono alla settimana dal 31 gennaio al 6 febbraio.
Sui dati delle “emozioni” dei politici occorre fare più chiarezza: come spiegano i ricercatori Alessandro Lenci, Lucia Passaro e Alessandro Bondielli, le emozioni trasmesse dal linguaggio dipendono dalle parole che usiamo. E la carica emotiva è spesso anche più importante del contenuto del testo perché condiziona le nostre scelte. Non conta solo ciò che diciamo ma come lo diciamo. Due politici possono parlare degli stessi argomenti, ad esempio di immigrazione o di Europa, ma differire per il tipo di emozione che possono suscitare le loro parole.
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Si può quindi misurare il contenuto emotivo delle parole e dunque anche valutare la “carica emotiva” dei post dei politici sui diversi social. Ci sono diverse classificazioni di emozioni, ma una delle più note è quella proposta dallo psicologo americano Robert Plutchik con 8 emozioni di base: rabbia, disgusto, paura, tristezza, sorpresa, attese, fiducia e gioia, ordinate dalle più negative alle più positive.
Cinque di queste sono state rese famose dal film della Disney-Pixar “Inside Out”.
Più alto è l’indice di una certa emozione, ad esempio la Paura, più il leader/partito politico ha usato nei suoi messaggi parole associate a questa emozione. Ed ecco anche, per andare ancora più dentro al tema, le definizioni delle emozioni prese in esame:
- RABBIA: irritazione violenta.
- PAURA: stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo.
- DISGUSTO: senso di ripugnanza fisica o morale nei confronti di qualcosa.
- TRISTEZZA: stato d’animo di dolore o malinconia.
- SORPRESA: meraviglia o stupore per il verificarsi di un fatto del tutto imprevisto o inaspettato.
- ATTESE: lo stato d’animo di chi si aspetta il realizzarsi di qualcosa conforme alle proprie speranze o aspettative.
- FIDUCIA: sensazione di sicurezza basata sulla speranza riposta in qualcuno o qualcosa.
- GIOIA: piena e viva soddisfazione.
Per ogni leader e partito politico, i dati mostrano quindi un “termometro delle emozioni” associate alle parole da loro usate nei post su Facebook e su Twitter nell’arco di una settimana, in questo caso dal 31 gennaio al 6 febbraio.
Tutti i politici hanno come due punti nodali “speranze” e “fiducia”, ma il leader che meno riesce a suscitarle è Grasso, anche se comunque compongono il 39% delle sue emozioni, mentre risalta il dato della paura associato al leader Leu, 12%, più alto di tutti gli altri. Berlusconi è quello che punta meno sul ‘disgusto’, mentre Matteo Salvini spinge sulla positività, lasciando però diffondere altri post dai contenuti più ruvidi agli account del suo partito, la Lega Nord.
“Tra i principali leader politici c’è una strategia elettorale ben precisa, tendenzialmente tutti spingono sull’immagine di costruttori di fiducia e di aspettative positive – spiega Cristopher Cepernich, direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione politica e pubblica – però, all’interno del contesto generale, ci sono situazioni come Salvini e il suo partito di riferimento, la Lega, da mettere in relazione: Salvini come leader spinge su post che suscitano ‘gioia’ e non indugia sulle emozioni negative, che invece lascia volentieri al partito. Dicotomia che invece non ritroviamo nel Pd, dove corrispondono perfettamente le emozioni comunicate da leader e partito. Interessante anche il caso di Grasso: suscita paura e rabbia perché rappresenta in maniera più nitida gli aspetti critici della società, sottolinea le insicurezze. E le paure possono anche essere rappresentate dalla mancanza del lavoro, dalla disoccupazione giovanile e dalle diseguaglianze, paure che il leader di Leu vuole combattere, mentre la Lega tende ad alimentarle”.
· DI CHE POPULISMO PARLI?
Oltre alle emozioni, nello studio viene esaminato anche quanto la comunicazione sui social dei principali leader spinga sull’acceleratore del “populismo”: Giorgia Meloni (nei 65 post su Fb pubblicati dal 31 gennaio al 6 febbraio, la più attiva della settimana) è la leader che più ne fa uso, seguita da Berlusconi, poi da Salvini e via scendendo fino a Renzi, il più misurato nei suoi soli 13 post su Fb, seguito solo dagli appena 8 del leader di Leu.
Ma, come per le ‘emozioni’, anche in questo caso occorre una spiegazione più precisa del concetto di ‘populismo’. Come spiegano Giuliano Bobba e Antonella Seddone, due dei ricercatori coinvolti nello studio, ‘populismo’ generalmente ha un significato negativo ed è utilizzato soprattutto per delegittimare e screditare un avversario politico. Nel senso comune, ‘populista’ è quindi una tipica accusa della lotta politica.
La maggior parte degli studiosi concorda su una definizione minima: la contrapposizione di un popolo semplice e virtuoso contro una ‘élite di cattivi’ e contro ‘altri’, cioè minoranze considerate come non facenti parte del popolo, che ne metterebbero in pericolo i valori e le identità.
I tre elementi chiave del discorso populista sono quindi l’appello al popolo, le critiche alle élites (che vengono viste come “cattive” ma non pericolose, rappresentate ad esempio dagli stessi partiti, dai cosiddetti poteri forti, dalle istituzioni europee, da multinazionali, da banche…) e infine le accuse alle minoranze (quindi i diversi, gli immigrati, i marginali, che si ritiene possano minacciare i valori fondamentali del popolo inteso come buono e virtuoso).
Per individuare un post “populista”, quindi, è necessario che ci siano questi tre elementi, ricerca che ha senso fare, spiegano i ricercatori, solo sui post di Facebook e non su Twitter che, con la sua brevità di testo, non consente questo tipo di analisi.
Il prossimo monitoraggio che pubblicheremo prende in esame la settimana dal 7 al 13 febbraio, durante la quale è esploso il caso Macerata.