Negli ultimi mesi c’è un’immagine circolata molto in alcuni uffici di Bruxelles e anche di alcune delle maggiori capitali Ue: è la mappa che fotografa la crescita del Pil procapite nelle regioni europee, cioè la ricchezza per abitante, e dimostra come tra il 2000 e il 2015 i nuovi Stati dell’Europa dell’Est e quelli dell’Europa dell’Ovest abbiano imboccato direzioni contrapposte seppure convergenti: i primi hanno visto il loro Pil procapite crescere in maniera abbastanza diffusa e costante, i secondi – in particolare in Francia e Italia – hanno dovuto fare i conti con una vistosa diminuzione.
IL NORD ITALIA RISCHIA 10 MILIARDI. Questa fotografia potrebbe essere una delle armi utilizzate per la battaglia sul bilancio europeo: nel suo nome le tre più grande economie europee – Germania, Francia, Italia -, ma anche pezzi dell’euroamministrazione della Commissione, spingono per riequilibrare la distribuzione dei fondi per lo sviluppo regionale, cioè il vero tesoro dell’Unione europea. Un capitolo che rischia di essere tagliato malamente, facendo perdere alle imprese del Nord Italia 10 miliardi o addirittura, anche se è più improbabile, bloccando i finanziamenti pure per tutto il Mezzogiorno.
L’andamento del Pil procapite nell’Unione europea negli ultimi 15 anni.
La mappa, contenuta nell’ultimo rapporto sulla coesione, è una delle fotografie dello stato di salute del progetto Ue. Mostra come tra l’anno 2000 e la crisi finanziaria del 2008, le regioni dove il Pil pro capite è diminuito di più (oltre 20 punti rispetto alla media europea) sono state quelle del Nord Italia, assieme all’Alta Baviera, al Sud della Gran Bretagna e alle regioni del Nord Est francese.
LE NEW ENTRY IN CRESCITA. A metà di quel periodo, nel 2004, c’è stato il grande allargamento: 10 nuovi Paesi – Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Malta, Ungheria – hanno fatto l’ingresso nell’Unione. Seguiti, nel 2007, anche da Romania e Bulgaria. In quegli anni il loro Pil procapite stava già crescendo, con forti accelerazioni nei Paesi baltici e in Romania: del resto il livello di partenza era molto basso, il gap da recuperare è ancora ampio.
MEZZA UE SI È ARRICCHITA. Ma in ogni caso da allora la crescita del Pil procapite del Nuovo Est europeo non si è più fermata. Tra 2008 e 2015, mentre la crisi faceva scoppiare il boom spagnolo e anche gli svedesi cominciavano ad avere meno ricchezza per abitante, solo una metà dei cittadini europei ha visto crescere la loro situazione: gli abitanti delle ex repubbliche sovietiche, in testa la Polonia, e la Germania e l’Austria che a quell’area sono legati culturalmente ed economicamente.
TESORETTO DA 370 MILIARDI. Berlino in particolare ha tratto dal loro ingresso nell’Ue nuova linfa e un nuovo bacino di produzione a costi più bassi per le sue aziende. Sola eccezione del calo del Pil nell’Ovest europeo è stata l’Irlanda. Per questo ora che si profila la possibilità di un taglio ai fondi regionali, con cui l’Unione finanzia lo sviluppo e l’innovazione delle Piccole e medie imprese (Pmi), il fondo sociale europeo e i fondi di coesione, questa fotografia potrebbe essere impugnata. Anzi potrebbe essere la bussola per ridisegnare l’intera politica di coesione: un tesoretto da 370 miliardi di euro.
Nella sua ultima comunicazione sul futuro del bilancio europeo la Commissione propone tre scenari. Il punto di partenza è sempre il buco di 13 miliardi di euro che la Gran Bretagna lascerà nelle finanze Ue. Ma in realtà, ragiona chi ha fatto i calcoli ai piani alti della Commissione europea, l’ammanco verrà compensato rapidamente dalla crescita degli Stati membri.
LO 0,98% DEL PIL NON BASTA PIÙ. Il problema è che per finanziare le nuove funzioni europee comuni – dalla difesa al controllo delle frontiere – lo 0,98% del Pil – l’1% attuale meno il contributo del Regno Unito – non basta più. Che fare? Per i fondi regionali, che corrispondono al 35% del budget totale e di cui l’Italia è la seconda beneficiaria dopo la Polonia, l’esecutivo europeo ha lanciato tre opzioni: la prima è quella di mantenere l’investimento in tutte le regioni europee, ma concentrarlo su alcuni dossier particolari. Nella comunicazione sono citate per esempio: innovazione, trasformazione industriale, transizione all’energia pulita e in generale azioni per il clima, migliori opportunità di lavoro.
BLOCCARE I FONDI A CHI STA MEGLIO. L’alternativa può essere bloccare tutti i fondi alle regioni più sviluppate (quelle il cui Pil pro capite è pari al 90% o più della media Ue) e a quelle in transizione (quelle con un Pil superiore al 75% della media). Significherebbe un taglio di 95 miliardi di euro, una sforbiciata dell’8,7% dell’attuale bilancio che colpirebbe ovviamente soprattutto l’Europa occidentale, dalla Francia alla Germania, dall’Irlanda all’Olanda, dalla Danimarca alla Finlandia, dal Belgio all’Austria fino all’Italia settentrionale e alle regioni più sviluppate della Spagna, le amministrazioni locali dovrebber dire addio al contributo europeo.
FRENO ANCHE AL MEZZOGIORNO? Oppure una cura più drastica ancora: destinare i fondi solo ai Paesi in cui il Pil procapite è a livello nazionale inferiore al 90% di quello europeo. E quindi stop ai 29 miliardi che il Mezzogiorno d’Italia riceve ogni sette anni dall’Unione.
LEGAMI CON DIRITTI E MIGRANTI. Contemporaneamente però l’esecutivo europeo ha invitato a discutere la possibilità di legare i fondi al rispetto dello Stato di diritto, quello che viene contestato alla Polonia, o ancora al rispetto delle quote di ridistribuzione dei migranti. E in ossequio alle richieste di Germania e Olanda è pronta a esaminare come rafforzare il legame tra i finanziamenti e le raccondazioni del semestre europeo, obiettivi macroeconomici compresi.
Di fronte a questo rosario di possibilità le posizioni degli Stati Ue sono frammentate. Svezia, Olanda e anche Austria vorrebbero semplicemente spendere meno. I Paesi che più beneficiano dei fondi, come Polonia e Ungheria, si sono detti disponibili ad aumentare il loro contributo. Germania e Francia farebbero volentieri a meno di qualsiasi taglio, soprattutto nel momento in cui il patto franco-tedesco ha trovato un nuovo punto di equilibrio nell’accordo per un piano di investimenti in infrastrutture per l’innovazione.
SI CERCA DI PREMIARE I VIRTUOSI. Ma soprattutto sia le grandi capitali sia la Commissione europea vedono nel primo scenario anche la possibilità di incentivare gli Stati ad avanzare nella direzione di un reale sviluppo, premiando i comportamenti virtuosi. Come? Prima convincendo a mantenere il budget intatto e poi inserendo molte più condizioni per distribuire i fondi, dal rispetto dei vincoli ambientali all’investimento in ricerca.
Il Nord Italia rischia di perdere moltissimo. Solo i fondi del settennato 2014-2020 sono stati distribuiti tra 101.622 aziende
A Berlino e a Roma si sono mobilitate anche le associazioni industriali che soprattutto nel nostro Paese, dove nel Settentrione rischiano di perdere moltissimo. Solo i fondi del settennato 2014-2020, per dire, sono stati distribuiti tra 101.622 aziende. E il 30 gennaio la Confindustria italiana e la Bdi tedesca hanno voluto discutere proprio di coesione di fronte al parlamento europeo. Con il presidente del consiglio delle rappresentanze regionali e per le politiche di coesione territoriale degli industriali a sottolineare il dialogo con l’associazione tedesca sugli obiettivi a lungo termine delle politiche europee. E cioè finanziamento dei distretti e dell innovazione.
CONFRONTO DIRETTO COI FRANCESI. E tutto con precise condizioni a cui devono rispondere i progetti. Poco importa che gli industriali tedeschi sostengano anche il blocco dei fondi agli Stati che non rispettano il percorso di rientro del debito o del deficit. Sul resto, la convergenza c’è. E c’è anche con il Medef francese con cui l’industria italiana ha avviato per la prima volta quest’anno un confronto diretto proprio sui fondi di coesione.
UNA FETTA DEL TESORO A OVEST. I sistemi Paesi delle prime tre economie sembrano tutti uniti a sostenere un cambio di passo. E mentre il dibattito pubblico si concentra sulla possibilità di condizionare i fondi al rispetto dello stato di diritto, in realtà ai piani alti della Commissione si pensa a mettere in fila tutt’altri criteri. Come il Pil procapite e il suo andamento, il saldo netto demografico, le emissioni di anidride carbonica, gli investimenti in ricerca, la disoccupazione. Una griglia che, con l’Est impegnato a dire no ai tagli in generale per poter difendere le sue posizioni, riporterebbe in alcune regioni dell’Ovest una fetta del tesoro dell’Unione.
Fonte: lettera43.it | Giovanna Faggionato