Facebook & Co, tutte le manipolazioni di cui non ci accorgiamo

Facebook & Co, tutte le manipolazioni di cui non ci accorgiamo

Per ogni sito web 100 attori raccolgono i nostri dati. Con meccanismi intrusivi raffinati. Il garante Ue: «La tecnologia è in simbiosi col potere». Nuove regole in arrivo: Zuckerberg rischia una multa da 1,6 miliardi.

La proporzione è impressionante: per ogni visita a un sito web, in media ci sono 100 parti terze, cioè soggetti altri, pronte a raccogliere le nostre tracce, cercando di limitare il più possibile la loro responsabilità sui dati raccolti. Un labirinto in cui ci muoviamo con disinvoltura, spesso senza accorgerci di stare lasciando impronte a ogni parete, osservati da occhi che nemmeno vediamo. La cifra è riportata nell’ultimo documento dedicato alla manipolazione online, pubblicato dal garante per la privacy europea.

ECOSISTEMA DIGITALE GLOBALE. E l’ecosistema digitale «funziona allo stesso modo a livello globale», ha spiegato il presidente dell’authority per la protezione dei dati di tutti i cittadini europei, Giovanni Buttarelli, a chi proprio il giorno dopo lo scandalo Cambridge Analytica gli chiedeva di eventuali timori per la profilazione politica degli utenti nel voto italiano.

SOLO LA PUNTA DELL’ICEBERG. Ovunque si trova la «mancanza di trasparenza», la possibilità di raccogliere dati tramite una lunghissima serie di strumenti, dalle fan page alle reti wi-fi fino a quiz psicologici, spesso capaci di diventare virali. «Gli ultimi test ci dicono che ci sono molte novità, nuove fonti di dati e diverse modalità di collezionarli. Cambridge Analytica è solo la punta dell’iceberg», ha commentato il garante Ue. E in effetti era appena l’inizio.

Il giudizio di Buttarelli sembrerebbe distopico, ma è fondato sui più aggiornati studi in materia di trattamento dei dati. E la sua conclusione è inquietante. Il sistema del microtargeting e della manipolazione online, cioè quel meccanismo per cui i dati degli utenti vengono raccolti, poi profilati e infine gli utenti diventano target di campagne specifiche commerciali o di opinione, sta compromettendo un numero di diritti e libertà fondamentali dei cittadini. Il problema è reale e urgente. E non è un caso che negli ultimi anni il garante abbia lavorato assieme alla Commissione Ue soprattutto al nuovo regolamento per la protezione dei dati destinato a entrare in vigore il 25 maggio 2018.

RISCHIO DI UNA MULTA MILIARDARIA. Le nuove norme prevedono di riportare i dati sotto il controllo dell’utente e considerano le preferenze politiche una tipologia speciale di informazioni che vanno particolarmente salvaguardate e il cui utilizzo quindi è assai limitato. Se quelle regole fossero già legge oggi, Facebook avrebbe rischiato una multa pari al 4% del suo fatturato, come ha spiegato Max Schrems, l’attivista austriaco che ha portato per primo la società di Zuckerberg in tribunale e che ora con la sua organizzazione non governativa No of Your Business (Noyb) si prepara a nuove cause basate sul regolamento. Avrebbe pagato dunque 1,62 miliardi di dollari: forse anche troppo poco per quello che il colosso americano si sta comprando di noi.

Il documento dell’authority Ue è un pugno in faccia nella descrizione del design del sistema digitale e dei suoi effetti sulla sfera pubblica. App, social network, siti, si potrebbe riassumere, sono costruiti per indurre il navigatore a lasciare più tracce possibili, esattamente come la merce sugli scaffali di un supermercato è disposta in modo da far spendere di più al visitatore. Secondo il garante europeo gli algoritmi riescono a massimizzare l’attenzione dell’utente e le preferenze, rendendolo quindi ancora più facilmente manipolabile.

PRATICHE DI PROFILAZIONE DIFFUSE. La lista dei dati che forniamo a ogni passaggio nel web è lunghissima: ogni volta che un dispositivo mobile si connette a una torre di telefonia o a un satellite Gps viene registrato il luogo e il tempo di connessione, ricorda il report dell’authority, o i punti di accesso del wi-fi registrano l’indirizzo ip, poi ci sono le cronologie di navigazione, degli acquisti, i “mi piace”, le condivisioni, le immagini immagazzinate dai Cctv, le tivù a circuito chiuso che possono essere anche normali telecamere su pc. Ma le pratiche di profilazione si sono affinate e valutano alcune caratteristiche comportamentali complesse in base a schemi predefiniti registrati dai software come il comportamento normale.

Alcune società si specializzano nella valutazione delle persone sulla base di cinque tratti di personalità conosciuti come “Big Five” o Ocean

IL GARANTE UE

Per esempio ci sono programmi capaci di analizzare le voci e di valutare le competenze linguistiche e la capacità di ascolto e pensiero attivo di un utente. Altri addirittura che studiano come ognuno digita sulla tastiera con lo scopo di prevedere stati emotivi come nervosismo o tristezza o fiducia e sicurezza.

TECNICHE USATE PER TRUMP E BREXIT. La frontiera su cui si era avventurata Cambridge Analytica è mettere insieme big data e scienza comportamentale. E nel rapporto vi si fa specifico riferimento: «Alcune società di analisi dei dati si specializzano nella valutazione delle persone sulla base di cinque tratti di personalità conosciuti come “Big Five” o Ocean, utilizzando i dati raccolti online anche test della personalità, una tecnica che si dice sia stata sfruttata dagli attivisti durante le elezioni presidenziali americane del 2016 e il referendum sulla Brexit nel Regno Unito». Queste informazioni, racconta il garante, possono essere utilizzate all’interno di una strategia di business per modificare e scompigliare mercati o il discorso pubblico. Dice proprio così: i mercati di un prodotto o il discorso pubblico: è il partito di plastica 2.0.

TI CONOSCONO MEGLIO DEI PARENTI. Sulle potenzialità di questi metodi il dibattito scientifico è in corso, avverte l’authority: ci sono ricerche che sostengono la limitata efficacia di queste tecniche e studi scientifici che invece hanno concluso che la tecnica del “data mining” sia in grado di cogliere la personalità di una persona meglio dei suoi parenti, come ha recentemente sostenuto una ricerca della Stanford University. Per di più i nuovi metodi prevedono «usi dei dati che non erano nemmeno stati calcolati al momento della raccolta». Se un utente fornisce una certa quantità di dati, questi possono essere trattati, combinati insieme e dare vita a una seconda e poi a una terza generazione di dati.

Siamo solo a una tappa di una lunga storia, iniziata nel 1990, quando venne coniato il termine “infonomics”, si parlava di economia dell’informarzione e probabilmente sembrava qualcosa di più alto e nobile del semplice tentativo di monetizzare dati. Ovviamente l’analisi di queste informazioni è una risorsa enorme per il business, ma anche per il progresso scientitico, sociale, civile.

IL PROBLEMA DEI CONTROLLORI. Il problema ovviamente è chi li controlla e come. «La realtà ha portato i benefici lontano dagli individui, approfondendo l’assimmetria informativa in favore dei proprietari degli algoritmi», è il giudizio netto del documento. E con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale ci saranno, secondo il garante europeo, applicazioni sempre più sofisticate, processi automatici di raccolta e rielaboraione e più difficoltà di stabilire responsabili e controllori.

MESSAGGI POLITICI AD PERSONAM. La personalizzazione automatica dei messaggi in base alle caratteristiche del visitatore potrebbe poi superare soglie che oggi non ci immaginiamo. Se applicata alla sfera politica, ipotizza il documento, potrebbe portare un candidato a modificare i messaggi in base ai differenti profili e quindi ad adeguare i contenuti del proprio sito e delle proprie campagne in base alle preferenze dell’utente. E fare promesse differenti a pubblici differenti e anche in maniera automatica.

COME NELLA SERIE BLACK MIRROR. «L’intelligenza artificiale è scalabile e quindi queste tendenze sono potenzialmente illimitate. Il rapporto tra tecnologia e politica è simbiotico, accesso e abilità nell’uso della tecnologia determinano l’equilibrio di potere tra stati e regimi e movimenti di protesta», recita il documento in un altro passaggio che sembra tratto dalla serie Black Mirror, ma che invece è lo sguardo di chi si occupa di proteggere i dati dei cittadini Ue ai massimi livelli.

Il caso Cambridge Analytica ha solo fatto accelerare un conflitto già in corso. L’Ue che ha firmato un accordo per la protezione dei dati con gli Stati Uniti, contesta da tempo che Washington non ha ancora preso un impegno chiaro sull’esclusione dei cittadini europei dalla sorveglianza di massa e su come assicurare loro il diritto di dare il consenso o meno all’utilizzo dei loro dati. E ora le regole che entreranno in vigore a fine maggio possono mettere nei guai le compagnie della Silicon Valley.

SOCIAL, PERDITE IN ARRIVO. E non solo per le possibili multe. Infatti il regolamento prevede che l’utente possa decidere di trasferire i propri dati da una società all’altra e possa rifiutare di diventare il bersaglio di annunci costruiti ad hoc sul suo profilo. Già a gennaio Deutsche Bank aveva calcolato che se il 30% degli utenti europei rinunciasse, il social network potrebbe perdere il 4% delle entrate. Ma ovviamente una volta informati della possibilità la quota potrebbe aumentare. E lo scandalo di questi giorni depone tutto a suo sfavore e a favore di chi in Europa sogna di rubare agli States il primato nello sfruttamento del nuovo petrolio.

ZUCKERBERG CI DEVE SPIEGAZIONI. Ma il garante Ue nel suo documento chiede di rafforzare ulteriormente le difese, di dare un ruolo alle Ong che si occupano di difesa dei dati, e di prevedere nell’ultima iniziativa legislativa allo studio di Consiglio e parlamento un meccanismo ad hoc per le cause collettive. Soprattutto chiede che tutte le authority lavorino insieme e che le authority nazionali siano protagoniste. «Facebook un giorno ha problemi di trasparenza, un altro di fusione con una società, un giorno sulle condivision delle informazioni. Il punto è che questi problemi coinvolgono tanti regolatori differenti, l’antitrust come la difesa dei consumatori come quello dei dati. E tutti insieme noi funzionari che ci occupiamo delle inchieste siamo meno dei lobbisti», ha spiegato. E chissà se se lo ricorderà Mark Zuckerberg, chiamato dagli Usa all’Italia fino al parlamento europeo a testimoniare di fronte a loro.

Fonte: lettera43.it | Autore: Giovanna Faggionato

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