Pubblichiamo qui sotto il testo di un articolo tratto dal sito di Panorama sulla figura di Luca Morisi, social media manager di Matteo Salvini.
“Dunque lei sarebbe la bestia?” chiedo divertito a Luca Morisi. Fisico minuto, occhi mobilissimi, lui risponde con un sorriso: «Ma no, tutti parlano della Bestia come del simbolo della potenza mediatica populista. In realtà, ho dato io il nome alla nostra struttura copiandolo da The Beast, il sistema informatico usato da Obama nella prima campagna presidenziale del 2012. Allora dominava Facebook. Twitter non si usava: sarebbe esploso con Trump».
Morisi dimostra meno dei suoi 45 anni. Nato nel 1973, è coetaneo di Salvini ed è il motore di una straordinaria campagna social che, dopo le elezioni del 4 marzo 2018, ha portato il capo della Lega a sfondare il muro dei 3 milioni di seguaci su Facebook, superando di slancio la Merkel (2,5 milioni), Marine Le Pen (terza, con 1 milione e mezzo) e tutti gli altri leader europei, nettamente sotto il milione di follower.
«Trump ha 22 milioni di follower» puntualizza Morisi «ma Matteo lo batte in fatto di engagement, di coinvolgimenti con il proprio pubblico: 2,6 milioni in una settimana contro 1 milione e mezzo. È vero che in Italia i telefonini si sono sviluppati prima che negli Stati Uniti (abbiamo 46 milioni di utenti unici), ma lì c’è una popolazione cinque volte la nostra e Trump è il presidente».
In Italia, nell’ottobre 2018, Matteo Salvini è nettamente in testa per numero di follower su Facebook con 3 milioni 233 mila, seguito da Luigi Di Maio (2 milioni 100 mila), Beppe Grillo (2 milioni 16 mila), Alessandro Di Battista (1 milione 570 mila), Matteo Renzi (1 milione 128 mila), Silvio Berlusconi (1 milione 56 mila), Giorgia Meloni (967 mila) e Giuseppe Conte (758 mila): un buon risultato, visto che fino a giugno il segretario della Lega era semisconosciuto al grande pubblico. Salvini è seguito da 1 milione di persone su Twitter e da 700 mila su Instagram.
«Twitter è molto osservato dagli addetti ai lavori» mi spiega Morisi «ma il popolo lo raggiungi con Facebook, che in Italia è seguito da 31 milioni di persone.»
Sbaglio o molti giovani lo stanno abbandonando?
«Le fasce di età più giovani stanno trasferendosi su Instagram e su altri sistemi di messaggistica come WhatsApp o Telegram. E sa perché? Perché hanno scoperto che i genitori li seguono su Facebook e allora scappano…».
Morisi è invisibile e discreto per quanto Salvini è mediaticamente onnipresente. Lavorano entrambi dalla mattina a notte fonda, ma l’uno agisce nell’ombra affinché l’altro abbia l’esposizione migliore al sole mediatico.
Non concede interviste, per discrezione personale e professionale. Dobbiamo questa eccezione a una sorprendente fedeltà di lettura per l’autore di questo libro (da Telecamera con vista, uscito nel 1993, quando Morisi aveva vent’anni) e alla scintilla accesa da una puntata di Porta a porta del 2011 «Vidi Matteo in studio con il suo iPad dialogare in diretta con i suoi seguaci. Per me fu una folgorazione.»
L’uomo che mi siede di fronte è stato definito un «nerd». Prima di occuparmi di lui non avevo mai sentito questo termine. Quindi ho pensato che fosse l’acronimo di North Eastern Research and Development. Poi ho capito che questa industria canadese non c’entra nulla con Morisi e con altri milioni di «nerd», reali o presunti. E infine ho saputo che questa parola viene usata addirittura dal 1951 negli Stati Uniti per indicare giovani un po’ fuori dal mondo, non necessariamente introversi, ma tendenzialmente isolati, che si riscattano con eccellenti risultati negli studi e soprattutto nell’informatica.
Non so quanto Morisi si riconosca in tale ritratto , ma è un fatto che questo geniaccio mantovano a 10 anni ha cominciato a programmare con un
Commodore 64. Ha poi studiato filosofia a Verona (laurea e dottorato di ricerca) dove ha insegnato per dieci anni informatica filosofica. Che significa?, gli chiedo. «Come la rivoluzione digitale ridetermina anche i temi classici del pensiero occidentale». Esperienza politica? «Mi sono iscritto alla Lega a 19 anni, nel 1992, e sono stato subito eletto consigliere provinciale a Mantova mentre Salvini entrava al consiglio comunale di Milano. Ho lasciato la politica nel 1999 e ho fondato una società che si occupa di sviluppare il software per il web. Mio socio storico è Andrea Paganella, oggi capo della segreteria di Salvini al Viminale, mentre io sono consigliere strategico per la comunicazione ».
(Il peso di Morisi si è testato nella partecipazione al tavolo del contratto di governo, dove ogni parola aveva un’enorme rilevanza ai fini della comunicazione). Eppure non è stata la politica ad avvicinarlo a Salvini. «Ci siamo conosciuti su Facebook dopo la “folgorazione” di Porta a porta» mi racconta «e incontrati di persona in galleria a Milano nel settembre 2012. Da allora è iniziata una collaborazione che non è mai cessata. L’attività della società è stata azzerata e abbiamo dedicato a Salvini tutto il nostro tempo e tutte le nostre energie». Intorno a Morisi gravita una squadra di una decina di persone, «tutte poco più che ventenni, tutte molto motivate». «Il nostro lavoro non richiede una presenza fisica comune, ma adesso, almeno alcuni giorni, stiamo tutti a Roma. Ci vediamo in un luogo vicino al Viminale, ma fuori dei palazzi istituzionali, che chiamiamo il “bunker”. Seguiamo le attività di Salvini e cerchiamo di amplificarne il messaggio. Siamo presenti ventiquattr’ore al giorno per sette giorni alla settimana». Morisi è professionalmente innamorato di Salvini. “Matteo è il dominus, l’ispiratore della sua comunicazione dei post, di ogni scelta. Pratica l’autografia…”
Noi cerchiamo metodologie per valorizzare e amplificare quello che dice lui». E come si fa? «Hai una notizia di agenzia, un video, una presa di posizione? Valorizzare significa trasformare questo messaggio in un post che sia appetibile. La soglia di attenzione degli utenti è bassissima. Sono bombardati, devi colpirli con un messaggio molto attraente, cucinare le notizie nel modo più appropriato. Di qui i video, i suoni e quant’altro».
Salvini, dice Morisi, è stato il primo in Italia a diffondere video autoprodotti. «La diretta Facebook piace moltissimo. Abbiamo inventato l’acronimo “Trt”: televisione, rete, territorio. Facciamo interagire questi tre ambiti in un gioco di specchi reciproci, un gigantesco “zoom della comunicazione”. I tre ambiti si valorizzano l’un l’altro. Un esempio. Matteo va a Porta a porta. La sua presenza viene annunciata in modo martellante. Durante la trasmissione le frasi chiave vengono immediatamente trascritte su Facebook e su Twitter. Su Facebook trasferiamo in tempo reale grafici e “screenshot”, cioè foto riprese dallo schermo. Su Twitter lavoriamo di più con i testi. Accade che persone che non stanno guardando la televisione vadano ad accendere l’apparecchio. Al tempo stesso, chi sta guardando la Tv e vede che Matteo ha un iPad in mano va sui social per poter approfondire. Dopo l’annuncio e la diretta, si estraggono le clip più rilevanti e si postano sui social. Così anche chi non aveva visto la trasmissione, ne capisce il senso politico». Morisi mi fa avere un dossier di 117 pagine sulla campagna del Capitano per la conquista del potere. La «formula Trt» è illustrata così: «Circolo virtuoso. Tv-Rete-Territorio fisico. Cross-medialità. Ibridazione. Annuncio (Pre), Screenshooting e Live Tweeting (Live)=. [,] Commenti e clip (Post). Spolpare ogni evento o citazione importante su altri media fino all’osso. Gioco di specchi». Copertura live nei tour di Salvini: foto, candid video, streaming. «Sconfinare in ambienti extrapolitici (anche polemicamente). Eterodossia per comunicare la tua ortodossia. Abbracciare chi fa satira su di te…». A metà ottobre, per esempio, sono state affiancate due foto: il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, al timone di una grossa barca a vela e Matteo Salvini che divora un panino con una birra in mano. Sala era alla Barcolana di Trieste e non su uno yacht, ma il segnale su chi sta in mezzo al popolo era molto esplicito. Morisi mi mostra un’immagine sul telefonino. In un cerchietto a destra c’è la piccola scritta «Stop Fornero ». In caratteri molto più grandi viene lanciato il messaggio politico concreto che i cornicia Salvini sulla poltrona bianca di Porta a porta: Pensioni a 62 anni. Quota 100. Diritto alla pensione, lavoro ai giovani. In tutto, 14 parole per un messaggio decisivo nella comunicazione leghista nell’autunno 2018. «Gli orari di punta su Facebook» mi spiega «sono alle 13 e alle 21. A quell’ora ritrasmettiamo l’intera puntata, se è il caso, o scegliamo le cose più importanti.»Alla base di un messaggio globale, c’è la tempestività («Non esistono sabati, domeniche o feste. Un giorno sui social vale una settimana dell’era pre-social»). La necessità di un messaggio che parli al Nord come al Sud e l’assoluta semplicità. Morisi mi mostra una decina di «copertine»: Prima gli italiani, Stop Fornero, Stop invasione, Legittima difesa sempre! E così via. E poi micidiali montaggi di immagini. Foto di un’anziana sofferente con lo sguardo perso nel vuoto. Didascalia: «Anziani italiani rovistano nei rifiuti per sopravvivere». Sotto, un gruppo di immigrati neri. Didascalia: «Colazione, pranzo e cena non sono buoni». Dopo la televisione e la Rete, il terzo elemento decisivo è il territorio. In campagna elettorale, tutti i leader vanno ovunque (tranne Berlusconi, e alle politiche del 4 marzo è stato penalizzato per questo). Al contrario degli altri, Salvini si muove sempre e privilegia il territorio rispetto a qualunque altro impegno. Ricordo che una sera rinunciò a un importante invito televisivo per non annullare una manifestazione a Viterbo. Viterbo, non Varese o Milano.
«Matteo è un campione della comunicazione polarizzata» mi dice Morisi. «Va in mezzo alla gente anche quando gli spara col bazooka. Abbraccia lo scontro. Per questo riesce a coinvolgere chi lo segue perfino più di Trump. Se tu vai in vacanza e ti piace un ristorante, metti un “like” ma difficilmente ci torni. Il segreto di Salvini sta nell’essere riuscito a catalizzare un’attenzione costante su di sé. La continuità del contatto è la cosa più importante. E poiché gli piace stare in mezzo alla gente, la contaminazione è più facile. Salvini ha un fiuto pazzesco e ama comparire, farsi fotografare o accettare centinaia di selfie anche in ambiti extrapolitici: il calcio, il cibo, le vacanze.» Obietto che, a volte, le pose del leader sono troppo informali.
A Porta a porta si presenta in giacca e cravatta, altrove si lascia andare, addirittura c’è qualche foto ufficiale che lo ritrae a gambe aperte. «E questo dimostra che non ha uno spin doctor. È evidente che il suo modo di proporsi non è assolutamente studiato e la gente apprezza la sua naturalezza. Su Twitter ci sono utenti che hanno un certo complesso di superiorità intellettuale nei confronti del popolo e non apprezzano certi atteggiamenti non in linea con il galateo istituzionale. Ma la gran parte…».
Chiedo a Morisi se «Prima gli italiani » – la parola d’ordine decisiva per il successo politico dell’ultimo Salvini – sia una sua creazione. Credo di sì, ma lui si schermisce: «Non ricordo, si dialoga. È mia la definizione di Capitano. L’idea è nata nell’estate del 2014, dopo le elezioni europee. Il nostro obiettivo era di superare lo sbarramento del 4 per cento. Arrivammo al 6 e da allora è cominciata una crescita costante. Per tutti, Bossi era il Capo. Ho chiamato Matteo Capitano perché lui realmente dirige il gioco di squadra. Lui ascolta molto, poi prende le sue decisioni». Attribuendo a Salvini la qualifica di Capitano, Morisi pensò al Professore (Prodi) e al Cavaliere (Berlusconi). «Capitano, senza virgolette, l’uomo che ha saputo trasformare gli elettori in fan». Il geniaccio si diverte molto quando gli avversari politici pensano che lui abbia metodi strani per diffondere il messaggio. «Retroscena assurdi come disporre di un sistema informatico per analizzare i sentimenti della gente e suggerire a Salvini i temi sui quali intervenire. La manovalanza naturale che c’è sui social è nata dalla creazione continua e dall’allargamento di famiglie di follower. I social non sono altro che aggregatori di persone che la pensano allo stesso modo. È questa l’epica del Capitano».
Chiedo a Morisi se sia Salvini a suggerire le campagne o se lui cavalchi sentimenti suggeriti dall’opinione pubblica. «È il cane che si morde la coda. Profezie che si autoavverano. Ci vogliono fiuto ed esperienza, e anche noi sul lato social ormai li abbiamo. Se hai la capacità di leggere e interpretare i commenti anche su canali terzi – gli articoli di giornale – riesci a capire molte cose. I social, se bene usati, sono sondaggi in tempo reale. Qualche volta Matteo detta i temi dell’agenda, qualche volta li amplifica.» Dopo la vicenda di Macerata, la Lega conquistò in un mese 4 o 5 punti nei sondaggi, che la portarono con il 17 per cento a superare Forza Italia. Salvini cavalcò l’onda. “Le modalità di quel delitto furono di una gravità assoluta” mi dice Morisi. «Ci fu un’ondata di indignazione popolare. L’immigrazione, che fino a quel punto era uno dei temi della campagna elettorale, ne diventò il tema centrale». La presenza ossessiva di Trump su Twitter ha azzerato gli spin doctor, i persuasori occulti. È lui che scrive, è lui che parla. La stessa cosa vale per Salvini.
«La gente si accorge subito se non sei tu che intervieni in prima persona» mi spiega Morisi. «Noi amplifichiamo il messaggio, ma il messaggio lo trasmette lui. D’altra parte, Matteo è giornalista. Anni di esperienza a Radio Padania gli hanno insegnato a stare sulla notizia. Legge le agenzie di stampa, le home page dei quotidiani e capisce subito quali sono i temi da utilizzare. Va dappertutto, frequenta tutti gli ambienti possibili, perché questo gli fornisce maggiori elementi di conoscenza».
Morisi tende a non seguire Salvini negli spostamenti. Preferisce stare nella War Room della comunicazione davanti a quattro monitor a guardare social e giornali online e a gestire tecnologie in continua evoluzione. «Con i suoi engagement, i suoi coinvolgimenti maggiori di quelli di Trump, la pagina Facebook di Salvini vale più di tutti i quotidiani italiani messi insieme. La pagina Fb di Salvini vale più di tutti i quotidiani italiani messi insieme. Il giornale online che si avvicina di più è la Repubblica: vale il 9 per cento di Salvini. In condizioni normali mettiamo in rete un post ogni 2 ore, oltre un centinaio alla settimana. In campagna elettorale, uno all’ora. Dalla mattina alla notte.» Crescono i follower, crescono gli engagement… e crescono i consensi nei sondaggi.