Un’elezione, negli Stati Uniti, non è un processo breve. Le campagne elettorali iniziano con mesi (a volte anni) di anticipo, il conteggio dei voti richiede del tempo e spesso riserva delle sorprese. Lunedì 12, a poco meno di una settimana dal 6 novembre, Kyrsten Sinema è diventata la nuova senatrice dell’Arizona, prima donna a ricoprire questo ruolo nello Stato, portando un nuovo seggio nelle mani dei Democratici. Una vittoria significativa, non solo perché l’Arizona era monopolio dei Repubblicani da trent’anni, ma anche perché, con l’elezione di Sinema, il margine di superiorità dei Rep al Senato diminuisce.
I risultati sono ormai noti: la Camera dei rappresentanti è dominata dai Democratici (227 seggi a 198, con 10 ancora da assegnare), mentre il Senato dai Repubblicani (47 a 51, con 2 seggi incerti). Guardando la mappa del New York Times, che mostra in rosso e in blu i collegi vinti da uno o dall’altro partito, la supremazia Dem alla Camera non sembra così evidente: gran parte della cartina infatti è rosso fuoco, il colore dei Repubblicani. In realtà, questa è solo una delle tante “magie” del sistema elettorale statunitense, il quale prevede la suddivisione in collegi stabiliti tenendo conto della densità di popolazione. È la stessa filosofia con cui si assegnano i Grandi Elettori alle presidenziali, che sono ad esempio 38 per il Texas e 55 per la California, molto più piccola in termini di superficie ma molto più popolosa.
Le domande più ricorrenti tra gli analisti politici in questa settimana sono state sicuramente: “Perché hanno vinto i Democratici? Cos’è cambiato dalle ultime elezioni? E ora, cosa succederà?”. Il primo dato elettorale di cui tenere conto è l’affluenza record che ha caratterizzato questo midterm, che con 113 milioni di votanti ha battuto per la prima volta nella storia la soglia dei 100 milioni di voti in un’elezione di metà mandato. Un grande contributo lo hanno dato i cosiddetti “first time voters”, i ragazzi che si sono recati alle urne per la prima volta. Ma questo non basta a identificare il motivo del successo Dem, che non riscontravano una vittoria così importante dal 1974, anno dello scandalo Watergate e dell’impeachment a Nixon.
La chiave di volta di questo midterm è, senza dubbio, la potenza dei candidati che sono emersi durante la campagna. Nulla hanno potuto i Repubblicani contro personalità come Alexandria Ocasio-Cortez o Ilhan Omar, non a caso due donne appartenenti a etnie diverse da quella “WASP” (White-Anglo-Saxon-Protestant). Il 2018 è stato senza dubbio l’anno delle donne, con 113 vincitrici tra Camera e Senato che renderanno il Congresso del biennio 2019-2021 quello con più seggi femminili della storia. Ma non bastava essere una donna, per vincere in questa tornata elettorale: bisognava avere una personalità carismatica e toccare temi vicini ai problemi degli elettori, spingendosi molto più a sinistra di quanto non abbiano fatto normalmente i Dem, arrivando persino in alcuni casi a definirsi “socialiste”.
Una strategia che sembra aver funzionato, visto che a poco più di una settimana dal voto i risultati ottenuti dai Blu sembrano migliori di quanto non fossero apparsi all’inizio. La stampa americana e internazionale, che era stata critica nei confronti del successo della cosiddetta “blue wave”, è stata costretta a ricredersi. La maggioranza alla Camera, che di primo impatto sembrava piuttosto risicata, sta aumentando sempre di più, passando dai 33 seggi guadagnati nei primi scrutini a 35-40 quando saranno terminati gli ultimi conteggi, stima il New York Times. Anche al Senato, dopo la già menzionata vittoria di Sinema, lo scarto si è ridotto da 3-4 seggi a massimo 2.
Uno dei margini di guadagno di voto più importanti proviene da diciassette distretti chiave, in cui nel 2016 Trump aveva avuto la meglio, che rappresentano circa la metà dei seggi guadagnati dai Democratici alla Camera. Un altro bacino elettorale molto importante sono stati i sobborghi benestanti, confermando la previsione per cui le persone con un certo grado di istruzione e stile di vita sono tornate a votare Democratico dopo la comparsa di Trump nel partito Repubblicano.
Aver guadagnato la maggioranza alla Camera dei Rappresentati è un successo importantissimo per i Dem, forse sottovalutato. Avere il controllo della “House” significa, infatti, averlo anche sulle commissioni parlamentari, che vanno da quella per il bilancio a quella per gli esteri, all’interno delle quali ci si occupa di avviare o proseguire indagini sull’operato della presidenza. Un’arma importante, che potrebbe far sentire Trump messo all’angolo e spingerlo a compiere azioni anche dalle gravi conseguenze. Ma, soprattutto, avere la maggioranza in metà del Congresso significa anche avere il potere di bloccare disegni di legge pericolosi, cercando così di mettere un freno al trumpismo ormai dilagante. Questo non significa avviare un processo per impeachment, almeno non subito, essendo necessario anche l’appoggio del Senato, nonché un fatto compiuto dal presidente talmente grave ed eclatante da non poter essere smentito.
Mentre Trump continua a fare mosse avventate come il licenziamento del procuratore generale Jeff Sessions, il principale consulente giuridico del governo, i nuovi eletti al Congresso iniziano il loro percorso di orientamento pre-insediamento (previsto per il prossimo gennaio), mostrando tutto l’affiatamento che solo la condivisione di un ideale e di un progetto comune può dare.