Dovevano essere quelli che avrebbero buttato fuori i lobbisti dal Parlamento. E invece, sorpresa, le lobby con Salvini e Di Maio se la passano bene, anche se molte cose sono cambiate: «Se non è nella loro agenda, nessuna istanza trova spazio»
Potremmo chiamarlo il paradosso del lobbista: «Proprio perché dicevano “fuori le lobby dal Parlamento”, le aziende si stanno rivolgendo sempre più ai veri professionisti del lobbying per paura del potenziale anti-sistema della coalizione gialloverde». A parlare è Giampiero Zurlo, Avvocato e Presidente di Utopia, una delle più importanti società di lobbying italiane, quella che in questi anni è cresciuta di più, con un aumento record del 376% di fatturato tra il 2013 e il 2016. Fu proprio Utopia, nel luglio del 2016, la prima società di lobbying a organizzare nella propria sede romana un confronto di Luigi Di Maio con alcune aziende. Un passaggio delicato per un Movimento che voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno, e che qualche mal di pancia, allora, lo provocò. «Eppure fu un chiaro segnale per le aziende presenti all’incontro – dice Zurlo – della grande maturazione politica del Movimento, che si preparava evidentemente a diventare forza di Governo».
E dire che l’aveva detto, l’allora vicepresidente della Camera, poche settimane dopo: «Io non ce l’ho con le lobbies», aveva dichiarato. In effetti, per le società di lobbying l’avvento del governo gialloverde è stato tutto fuorché un terremoto. Al contrario, dopo anni di crescita a doppia cifra (+24,4% nel 2017, +30.5% su base triennale) le più grandi società del settore stanno vivendo una specie di età dell’oro. Un po’ perché le aziende avevano bisogno di professionisti per relazionarsi con forze politiche come il Movimento Cinque Stelle, con cui mai avevano avuto a che fare. Un po’ perché «proprio perché dicevano fuori le lobby dal parlamento, tanto più il dialogo con le forze di governo si fa difficile, tanto le aziende si rivolgono alle lobby per paura del potenziale anti-sistema della coalizione gialloverde». Un po’ perché «forse questo cambiamento lo stiamo raccontando più grande di quello che è».
«Proprio perché dicevano “fuori le lobby dal Parlamento”, le aziende si stanno rivolgendo sempre più ai veri professionisti del lobbying per paura del potenziale anti-sistema della coalizione gialloverde»
Quest’ultima affermazione è di Paolo Zanetto, socio fondatore di Cattaneo Zanetto & Co, prima società di lobbying italiana per utili e ricavi. E forse non c’è nessuno meglio di lobbisti come lui per comprendere, lo scenario politico dopo il voto del 4 marzo. Se con l’avvento della coalizione gialloverde siamo davvero in una nuova era politica, o se il Paese del gattopardo si è, per l’ennesima volta, confermato tale. La risposta è la seconda, a quanto pare: «C’è stato un grande cambiamento del personale politico, questo è vero – spiega Zanetto -, ma se andiamo a guardare chi sono gli uomini macchina, i capi di gabinetto, i responsabili degli uffici legislativi. Chi fa marciare le cose, insomma. Al pari di chi c’era prima di loro, anche i giallo-verdi hanno attinto da quel personale che proviene da Consiglio di Stato e Corte dei Conti: personale politico amministrativo di alta qualità, anche se non molto visibile».
Niente di nuovo sotto il sole? Non esageriamo. In realtà per il mondo del lobbismo siamo in una stagione di grande cambiamento, che tuttavia, come dice Gianluca Comin, fondatore di Comin & Partners, fra le principali societa’ italiane del settore, è cominciata ben prima dell’avvento di questo governo: «C’è sempre stata l’attenzione al consenso, nel mondo dei lobbisti, così come c’è sempre stata la necessità che il microinteresse collimi con l’interesse generale – spiega -. L’avvento dei social e della comunicazione politica diversa da quella precedente, tuttavia, ci ha costretto tutti a leggere i fatti della politica non più come elementi di un percorso istituzionale, ma nel conteso di un ragionamento su cosa e come comunicare». Sono Facebook e Twitter ad aver cambiato la politica, insomma, non Di Maio e Salvini, anche se «con i gialloverdi il tema si è acuito, con una ipervalutazione dell’interesse generale e del consenso popolare». Gli incontri istituzionali non bastano più, insomma: «Oggi, tutto è mediato dalla comunicazione politica», spiega Comin.
C’è stato un grande cambiamento del personale politico, questo è vero, ma se andiamo a guardare chi sono gli uomini macchina, i capi di gabinetto, i responsabili degli uffici legislativi. Chi fa marciare le cose, insomma. Al pari di chi c’era prima di loro, anche i giallo-verdi hanno attinto da quel personale che proviene da Consiglio di Stato e Corte dei Conti: personale politico amministrativo di alta qualità, anche se non molto visibile»
Insomma, se dentro gli uffici il cambiamento è minimo, fuori è una specie di rivoluzione. E chi ha annusato l’aria prima degli altri, scommettendo sull’arrivo al potere delle forze anti sistema, oggi è in grado di trarne i maggiori benefici: «Come in tutti i cambiamenti si è avvantaggiato chi ha saputo intuire l’arrivo – spiega ancora Comin – I Cinque Stelle non arrivano dalla Luna. Sono nati dieci anni fa, sono da cinque anni in parlamento con una forza cospicua. Chi li ha ignorati ha sbagliato. Chi non ha capito chi avrebbe avuto un ruolo, pure». Anche chi pensava non sarebbero cambiati, aggiunge Zurlo: «Mentre molte grandi realtà si erano rifiutate di interagire con loro, in quanto forza di opposizione non dialogante con gli interessi delle imprese, noi avevamo cercato di capirli, e avevamo capito che sarebbero maturati, una volta diventati forza di governo: qualche giorno fa Di Maio ha detto che bisogna tutelare le imprese perché generano posti di lavoro. È una narrazione che Di Maio e il Movimento Cinque Stelle non avevano mai avuto, dall’opposizione».
Narrazione è parola chiave: «La sfida del lobbista, con questo o altri governi, è che un interesse particolare sia nell’interesse generale. Perché c’è un interesse grande e condivisibile. Con questo governo giallo verde, la narrazione diventa centrale. Il modo di spiegare è evoluto, con questo governo, attraverso canali comunicativi diversi. Sono molto attenti alle fonti alte, studio accademico e think tank, ma sono forse ancora più attenti al consenso. Si tratta di dimostrare quale sia il consenso diffuso su una certa policy», spiega Paolo Zanetto – Più che cambiata, la comunicazione è evoluta. Già con il governo Renzi, i social erano luogo fondamentale nel dibattito di policy italiano. Coi gialloverdi si è consumata una frattura ulteriore: loro ascoltano i social, lanciano temi sui social. Ormai non basta più leggere i giornali al mattino. E cambia anche il modo attraverso cui comunicare sui media». «Ecco perché servono professionisti del lobbying», rincara la dose Zurlo, – «ma non tutte le Università sono pronte nonostante la crescente domanda». Curiosità: il primo corso universitario in Italia è stato istituito dal professor Pier Luigi Petrillo, attuale Capo di Gabinetto del Ministro dell’Ambiente. Tutto torna, in qualche modo.
«Non c’è mai stata una gabbia così forte come l’accordo di governo. Prodi e Letta avevano anch’essi programmi ben delineati, ma c’è sempre stato un territorio lasco. Oggi quel che c’è fuori dall’accordo di programma non trova ascolto. Se non è nella loro agenda politica, nessuna istanza trova spazio»
Le maggiori differenze stanno altrove, quindi. Innanzitutto nell’articolazione della maggioranza: « Noi eravamo abituati a maggioranze articolate in modo diverso, con tanti partiti e tante correnti e tanti leader politici – spiega Comin -. Coi governi Berlusconi, Letta e Renzi avevi diversi interlocutori per far valere i tuoi interessi e se sbattevi contro il muro con uno, avevi comunque altri interlocutori potenziali. Oggi hai solo due partiti, due leader fortissimi, e poca autonomia parlamentare. In più ci c’è il terzo “partito”, l’area tecnica formata da Moavero, Tria, Savona e lo stesso Conte, che coprono ruoli importantissimi, ma che rispondono ai due vicepremier e al contratto di governo». Anche lo stesso accordo tra Lega e Cinque Stelle è a suo modo una grande novità: «Non c’è mai stata una gabbia così forte come l’accordo di governo – riflette Comin -. Prodi e Letta avevano anch’essi programmi ben delineati, ma c’è sempre stato un territorio lasco. Oggi quel che c’è fuori dall’accordo di programma non trova ascolto. Se non è nella loro agenda politica, nessuna istanza trova spazio».
In questo contesto c’è chi vede anche una differenza sostanziale tra le due forze politiche: «Molti portatori d’interesse, all’inizio della legislatura, avevano ritenuto la Lega un interlocutore più attento alle esigenze industriali, in quanto storicamente più abituata a dialogare con le realtà produttive del nord. Ma i Cinque Stelle, non sono stati a guardare», spiega Zurlo. «Al di là della diversa esperienza non vedo in realtà grandi differenze d’approccio – rintuzza Comin -. La sfida del lobbista, con questo o altri governi, è che un interesse particolare sia nell’interesse generale. Con questo governo gialloverde, l’interesse generale è centrale, più che mai. Questo va a loro merito». E meritoria, «segno di grande serietà», secondo Paolo Zanetto, è anche la «particolare attenzione di Cinque Stelle e Lega nel rispettare i luoghi istituzionali». Promossi (quasi) a pieni voti, alla fine. Alla faccia dell’anti-sistema.
Fonte: Linkiesta. Autore: Francesco Cancellato