Una rete di pagine ufficiali, e poi un sottobosco di gruppi e blog amici da usare alla bisogna. Una struttura costruita negli anni che permette di aggirare i media tradizionali e fare arrivare il messaggio pentastellato senza intermediazione
Collegatevi: la parola d’ordine della propaganda 5 Stelle è diventata questa. Se agli albori del Movimento l’invito agli attivisti era quello di visitare il blog di Beppe Grillo, da qualche anno a questa parte tutto è cambiato nella galassia pentastellata, e il partito nato intorno al blog è diventato il partito che vive su Facebook. “Collegatevi” è il termine con cui Luigi Di Maio e altri big stellati lanciano sul social network le loro dirette video, uno dei format preferiti per diffondere il proprio messaggio a milioni di elettori e simpatizzanti. Soprattutto quando c’è da comunicare qualcosa di importante che deve diventare il centro del dibattito del momento.
Sono le 20 e 14 minuti del 27 maggio, già troppo tardi per l’apertura dei Tg delle 20, ma sul profilo Facebook di due milioni di italiani suoi fan arriva questa notifica: Luigi Di Maio è in diretta. Cliccando si finisce sulla pagina del capo politico 5 Stelle, che riporta: «Quello che è successo è incredibile. Collegatevi perché ho qualcosa da dirvi». Nei circa 8 minuti di video, Di Maio parla della bocciatura da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella del nome di Paolo Savona come ministro dell’Economia, e annuncia la sua intenzione di avviare la procedura di alto tradimento contro il Quirinale. Poco importa se l’impeachment verrà messo nel dimenticatoio nel giro di poche ore: in quel momento la comunicazione di Di Maio fa il giro d’Italia. In pochi minuti il video viene condiviso da oltre 250 mila persone, da un gran numero degli altri big pentastellati e da una rete capillare di pagine e gruppi ufficiali, semiufficiali e amatoriali del Movimento. Il risultato è che quella diretta, come ha potuto verificare L’Espresso consultando le statistiche riservate , nelle prime 12 ore dalla sua pubblicazione appare sui Facebook di 12 milioni di utenti, totalizzando oltre 7 milioni di visualizzazioni. Nessuna intermediazione, nessun giornalista, nessun commentatore, nessun contraddittorio: solo Di Maio con la sua versione dei fatti e la telecamera.
Questi dati, va chiarito, non posso essere confrontati in maniera semplice con quelli delle trasmissioni televisive: le statistiche di Facebook tendono a essere piuttosto generose e a considerare ascoltatore anche chi ha visto appena 3 secondi di video o non ha attivato l’audio (e sono la maggioranza, specie tra chi scorre la app sullo smartphone). Tuttavia sono cifre che danno un’idea dell’enorme pubblico raggiunto direttamente dal Movimento sul social network: una forza costruita negli anni con l’allestimento di una rete tentacolare di pagine e gruppi e che al momento nessun partito può eguagliare. L’alleato Matteo Salvini ad esempio è il politico italiano ed europeo con più seguito su Facebook con oltre 3 milioni di fan (un milione più di Di Maio), ma ha puntato su una strategia incentrata unicamente sulla sua persona e dietro di lui c’è il vuoto o quasi.
La Lega può contare infatti su solo quattro politici con oltre 100 mila fan su Facebook ed è dietro persino al Pd che ha otto esponenti con almeno questo seguito. Numeri che però appaiono marginali se confrontati con quelli dei grillini, che hanno venticinque loro uomini con più di 100 mila fan e possono contare su pagine da centinaia di migliaia di follower come quella di Alessandro Di Battista o di Virginia Raggi, la sindaca con più fan al mondo (circa 900 mila: erano 6mila due anni e mezzo fa).
Il numero di fan accumulati da un politico è però solo la punta dell’iceberg ed è ormai un dato più utile per fare le classifiche che per capire la reale capacità di raggiungere il pubblico. Nel corso degli anni Facebook ha infatti cambiato spesso l’algoritmo che “decide” cosa ogni utente si può trovare davanti. Può sembrare solo un dettaglio tecnico, ma in realtà ha dei risvolti profondamente politici perché, di fatto, è l’algoritmo di Facebook che influenza come e cosa il politico oggi comunica. Secondo diversi studi e analisi di marketing, i video su Facebook sono il contenuto che genera più interazioni con i propri fan e quelli in diretta raggiungono mediamente il triplo delle persone (anche perché vengono annunciati con una notifica). Non stupisce quindi che negli ultimi 28 giorni Luigi Di Maio abbia condiviso o prodotto sulla sua pagina oltre 100 video e solo 45 link: l’era del “clicca qui” di Beppe Grillo è finita, non funziona più.
Ma la rete nella Rete costruita nel tempo dal Movimento 5 Stelle, oggi indispensabile per rilanciare e raggiungere direttamente il pubblico con i propri messaggi, si compone di più livelli. Oltre alla propaganda ufficiale, che deve rispettare comunque una certa istituzionalità, c’è un sottobosco di pagine, siti e gruppi amatoriali, spesso con centinaia di migliaia di fan, sulla carta non gestite o collegate direttamente al Movimento ma in realtà animate da figure vicine agli staff della comunicazione 5 Stelle o che nel tempo da questi staff vengono assunti. È in questo sottobosco che si aizzano gli istinti peggiori degli elettori e si alimentano gli attacchi più forti ai nemici di volta in volta indicati dai vertici, che fanno finta di non vedere salvo poi approfittare in maniera più o meno diretta della cassa di risonanza che queste pagine offrono alla loro comunicazione.
Questa galassia di pagine non ufficiali può diventare anche un’utile arma di controllo sugli eletti: la comparsa di un dissidente sulla scena M5S viene infatti matematicamente accompagnata dalla comparsa di meme, immagini e persino articoli contro di lui (ma sempre fedeli alla linea del partito). Solo per citare un caso recente, il senatore Gregorio De Falco che ha votato contro il governo in Commissione sul caso del condono di Ischia è finito al centro delle attenzioni di siti come “Silenzi e falsità della stampa italiana”, gestito dal fratello del capo della comunicazione di Luigi Di Maio, che su di lui ha realizzato un articolo dal titolo: «La mala fede del senatore De Falco dissenziente ‘de sinistra’ incensato da Repubblica».
E poi c’è, per l’appunto, il capitolo giornali. L’ossessivo attacco ai giornalisti e agli editori “non puri” non è solo una strategia per raccogliere consenso approfittando della scarsa considerazione che i cronisti hanno in una larga fetta di italiani. Si tratta anche di una lotta per il controllo di un mercato, quello dell’informazione in rete. Una volta stabilito, come abbiamo visto, che nessuna opposizione ha oggi i numeri per contrastare la comunicazione online dei 5 Stelle, l’unico contraltare lo forniscono i gruppi editoriali con una forte presenza digitale, tra cui quello di cui fa parte anche L’Espresso. Secondo una ricerca dell’istituto americano Pew, gli italiani sono il popolo europeo che più di tutti si informa sui social: la metà degli adulti dice di leggere le notizie su Facebook, mentre in Germania è solo un adulto su quattro. Ma tra tutte queste persone che si informano sui social, circa un terzo non presta alcuna attenzione alla fonte che riporta la notizia: che arrivi da un amico, da un giornale o dalla pagina di un politico per loro è del tutto uguale. Conta solo arrivare. Conta solo “collegarsi”.
Fonte:L’Espresso. Autore: Maro Munafò