Intervista ad Angelo Baiocchi, autore di un importante libro in cui spiega i profondi cambiamenti del linguaggio della politica nell’era populista e postideologica che viviamo. Secondo lui, il capo della Lega “non sbaglia un colpo, il suo crescente gradimento ne è la prova”, mentre nell’opposizione non vede facce credibili. E, allora, chi sarà l’anti Salvini? “Oso sperare non Di Battista”.
Oggi senza un frontman, un progetto politico ha grandissime probabilità di risultare velleitario. Un candidato più che convincere deve piacere e, soprattutto, dire cose semplici, meglio ancora se semplicistiche”. Angelo Baiocchi è uno dei più attenti osservatori dei fenomeni della comunicazione in Italia nonché docente universitario. Da poco ha scritto il libro “Comunicazione e Politica – Guida moderna per cittadini sbandati e politici allo sbando” (Edizioni Ponte Sisto, 2018) nel quale analizza le principali tendenze della comunicazione politica del nostro tempo derivanti dalla crisi dei partiti e dei loro sistemi ideologici, dalla personalizzazione della leadership, dalle nuove tensioni sociali che hanno rovesciato schemi secolari. Secondo Baiocchi il leader più forte attualmente è il vicepremier Matteo Salvini: “Più passa il tempo e più un politico rischia di sbagliare, più le lune di miele impallidiscono – afferma – Ma lui mantiene ancora una percentuale altissima di mosse azzeccate dal punto di vista comunicativo e il suo gradimento crescente ne è la riprova più eclatante”.
Lo so, professore, è la domanda delle domande: nell’era dei social, com’è cambiata la comunicazione politica?
È cambiata moltissimo e nel contempo si è a suo modo inserita nella secolare struttura portante delle relazioni politiche tra governati e governanti. Il cambiamento riguarda sia l’utilizzo che i politici fanno della rete e dei social, sia quello, ed è l’aspetto di gran lunga più nuovo e importante, che ne fanno i cittadini che intervengono in rete sulla politica (i quali, non dimentichiamolo, costituiscono ancora una ristretta minoranza). In generale: è aumentata l’energia comunicativa, tutti comunicano molto di più con la speranza di essere mass media. E si sono allentati i freni inibitori: scrivendo su internet è più facile superare emozione, timidezze, rossori. I politici parlano non solo di più ma anche di più cose. Non è uso fare un comunicato stampa per parlare di calcio o di vita privata: sui social si può e si possono toccare varie corde dei potenziali elettori. Sull’intervento dei cittadini sulla rete è qui impossibile dilungarsi: basti dire che gli effetti principali sono di aver cambiato le regole e i contenuti dello scontro politico e di aver contribuito non poco alla creazione del clima ansiogeno e aggressivo al di fuori del quale è quasi impossibile che una comunicazione politica oggi possa emergere e farsi notare e ricordare.
Ormai i politici organizzano raramente le conferenze stampa e tendono ad eludere le domande dei giornalisti, a vantaggio di dirette Fb, post o tweet. Preferiscono il rapporto diretto con gli utenti che poi condividono sui social il loro verbo…
Per i politici si è aperta una prateria. Come accennato prima, possono parlare senza limiti di ciò che vogliono senza la mediazione della stampa. Il comunicato stampa ormai sembra archeologico a fronte dei tweet o degli interventi Facebook quotidiani. Ed è ovvio che sia così: quando c’è la possibilità di una interlocuzione diretta, ciascuno di noi preferisce utilizzarla anziché affidarsi all’intermediazione di qualcuno.
Con il fenomeno della disintermediazione siamo alla fine dell’informazione e al trionfo della propaganda?
Non credo si possa parlare di propaganda che sostituisce l’informazione. La propaganda c’è sempre stata, attraverso i comizi, la presenza in televisione, o sui giornali più vicini o allineati al politico che parla. Il giornalista serio che vuole fare informazione seria lo può fare lo stesso esattamente come prima, commentando e approfondendo le cose che il politico dice ora sui social, come lo faceva e lo fa con le cose che il politico dice, sempre meno, in conferenza stampa. Se la gente segue di meno la stampa che fa informazione di livello è un problema complessissimo che la stampa deve porsi.
Se viviamo tali cambiamenti, infatti, quali sono le responsabilità del giornalismo nostrano?
Eviterei le abusate generalizzazioni sulla stampa che ha abbassato il livello, che è in grandissima parte schierata e spesso non affidabile. C’è del vero in queste affermazioni: direi infatti che non dobbiamo dimenticare che tra ciò che scrive e come lo scrive certa stampa e gli interventi beceri di parte dell’opinione pubblica sulla rete non c’è molta differenza. La questione è più generale. Mi limito all’Italia: gli italiani hanno sempre letto poco e hanno sempre guardato molto la televisione. Oggi leggono meno e guardano sempre, anche se un po’ meno la tv. È normale che i nuovi media, più facili e interattivi, si siano infilati negli usi nostrani come il coltello nel burro, come è normale che questo abbia abbassato il livello del flusso informativo. Ma quello più alto di prima riguardava, come oggi, una parte modesta della popolazione. La restante maggior parte era più passiva e si informava attraverso la televisione. Oggi utilizza la rete e sulla rete rovescia grande aggressività e grande banalità, che però non possiamo considerare snobisticamente. Se una colpa la stampa italiana diciamo tradizionale ha è quella di inseguire in qualche caso la semplificazione-banalizzazione e in molti casi anche l’aggressività e la mistificazione dominanti. Il tutto ovviamente, per non perdere colpi sul mercato. Ma è stata ed è una strada sbagliata e dal fiato corto.
Con lei vorrei analizzare un dato: in base ad un recente sondaggio, soltanto l’8 per cento dei cittadini crede nei partiti mentre quasi il 70 vuole un leader forte. La politica ormai passa per la leadership a scapito dei contenitori?
Ormai sono stati scritti fiumi di parole, qualche torrentello anche da me, sulla personalizzazione della leadership politica, anche nelle democrazie. Il fatto è ormai incontrovertibile, dimostrabile con una grande mole di analisi, ed è in parte conseguenza anche delle nuove modalità comunicative che si sono affermate. Oggi una candidatura sbagliata dal punto di vista dell’appeal personale (si badi bene: non è una questione esclusivamente fisico-verbale) può essere fatale per il successo di un progetto politico. Non si tratta tanto e solo del vagheggiamento dell’uomo forte. Questo elemento, specialmente nella tradizione e nella psicologia italiana, senz’altro conta, anche come reazione alle lentezze procedurali, alla frammentazione degli schieramenti, alle incapacità decisionali del sistema politico. Ma direi che l’elemento che conta ancora di più è quello che è figlio della così detta spettacolarizzazione della politica, della così detta democrazia del pubblico.
Nel libro analizza i modi di comunicare dei principali leader politici dell’ultimo decennio: da Berlusconi a Gentiloni, passando per Prodi, D’Alema, Veltroni, Monti, Renzi, Salvini, Grillo, Casaleggio padre e figlio, Di Maio, Meloni e altri. Secondo lei, chi è (stato) il comunicatore più efficace?
La risposta è fin troppo ovvia: fino al momento attuale Silvio Berlusconi, che è stato fondativo di tutte quelle che sono le caratteristiche salienti e “nuove” della comunicazione politica della seconda repubblica. Ha rivoluzionato la comunicazione politica in Italia. Quando ha cominciato a comunicare come politico veniva poco dopo Moro, Zaccagnini, Natta, Berlinguer, De Martino, Spadolini, lo stesso pur innovatore Craxi, lo stesso duraturo Andreotti, il più bravo tra gli old style. Ed era in contemporanea con Occhetto, Martinazzoli, D’Alema, Amato: un abisso. La sua semplificazione del discorso politico, l’attenzione a ciò che è fisico, formale e tangibile, l’utilizzo dei modi pubblicitari, l’intimizzazione della persona del leader, la diffusione di valori liberatori, sdogananti, consumistici, politicamente scorretti, il suo messaggio più che politico, addirittura “culturale” e di costume: tutto questo è stato seminato nel paese, ha germogliato, gli ha permesso di durare incredibilmente a lungo e lo ritroviamo oggi, diventato sistema linguistico e comunicativo parecchio più estremizzato.
In passato ha sostenuto che “Matteo Salvini non sbaglia un colpo”. Ne è ancora convinto? È lui il vero vincitore di questa fase politica?
Ha compiuto un’operazione politica assolutamente non banale nel trasformare la Lega da partito regionale, autonomista e vagamente libertario, sia pur con tutta la sua simbologia fascisteggiante di camicie verdi, fiumi sacri, celodurismo, in partito nazionale di destra, in sintonia con movimenti di pancia e di opinione crescenti nell’opinione pubblica non solo italiana. È riuscito a trasformarsi in personaggio cult e cool, dopo essere partito come acido e antipatico; è popolano con improvvisi svolte di buona educazione e di rispetto per gli altri che hanno opinioni diverse. È sufficientemente pragmatico per muoversi in un senso o in un altro a seconda della situazione e degli umori che percepisce come dominanti. E soprattutto può ancora cavalcare il tema dei temi, l’unico vero tema su cui si sono giocate le ultime elezioni, e cioè quello dell’immigrazione e più in generale della paura. Un tema che per gli italiani viene tuttora prima di quelli economico-finanziari e che permette di prendere decisioni popolarissime che non costano.
Renzi, Zingaretti, Martina, Boldrini, Gentiloni etc… All’opposizione manca un volto, e una leadership, credibile?
Non direi che manchi un volto credibile; tra i notabili del PD ci sono persone valide e affidabili, in grado appunto di essere credibili. Manca la faccia che sfondi, che aggreghi, che dia il senso della leadership, che si faccia seguire. Ho scritto che Martina, per un complesso di impalpabili ma nel contempo concretissimi motivi, ogni volta che dichiara qualcosa in tv perde fa perdere 30 voti al minuto; Orfini, 45; Boldrini, un numero difficilmente calcolabile. Renzi, lo sappiamo, è stato stupefacente nel dilapidare un patrimonio enorme di adesione e di leadership infilando, dal punto di vista politico ma soprattutto da quello comunicativo, un disastro dopo l’altro; e con una pervicacia e ottusità che poco prima sarebbero sembrate incredibili: per un po’ era stato il comunicatore politico più formidabile che io avessi mai visto. Zingaretti, Gentiloni, Minniti: senz’altro capaci e credibili, in grado di suscitare fiducia ma troppo “smorti” per lo scontro politico di oggi (Minniti un po’ meno; Calenda molto meno ma troppo poco trasversale, almeno al momento). Credo che non resti che aspettare messianicamente la faccia nuova e potenzialmente vincente.
Azzardiamo una previsione: chi vede come l’anti Salvini?
Per quel che si può vedere a occhio nudo, senza un telescopio o un potente cannocchiale, nessuno. Oso sperare non Di Battista. Certo le fortune di Salvini sono, come è comprensibile, molto legate alla sua possibilità di governare. Se continua a governare e riesce a fare qualcuna delle cose che promette o a raccontare in maniera decentemente plausibile che più o meno le fa, il suo credito di pancia da parte degli italiani è destinato a durare a lungo, almeno due o tre anni. Se per l’insostenibilità a livello internazionale della sua politica o per le lotte di potere che devastano qualsiasi maggioranza in Italia il governo dovesse cadere, molte cose potrebbero azzerarsi e l’onda lunga potrebbe fermarsi. Ma se è vero che dire “non esistono alternative” è sempre un discorso avventato, pericoloso e, vedasi Renzi, presuntuoso, veramente al momento non si scorgono, per lo meno in termini di leadership personale, alternative al capo della Lega.
Fonte: MicroMega. Autore: Giacomo Russo Spena