La regolamentazione del lobbying nell’Unione Europea, come raccontano Maria Cristina Antonucci e Nicola Scocchi nel loro articolo ‘Codes of conduct and practical recommendations as a tool for self-regulation and soft regulation in EU public affairs’, è un sistema che, tra luci ed ombre, funziona. La volontarietà nell’iscriversi o meno al Registro dei lobbisti è un elemento fortemente caratterizzante di questo sistema, elemento sul quale però non sono tutti concordi. Le ultime notizie dal Parlamento Europeo vanno proprio in questo senso.
Gli uffici legali del Parlamento Europeo hanno infatti dichiarato, almeno così dice euobserver, che costringere gli europarlamentari ad incontrare solo i lobbisti iscritti al Registro è ‘incoerente dal punto di vista legale (ndr illegale)’. Questo parere rende molto più difficile la battaglia di maggiore trasparenza e democrazia, portata avanti dalle Istituzioni europee, in vista delle Elezioni Europee del 2019. Ma soprattutto, sembra la pietra tombale sulla proposta della Commissione Europea di creare un Registro comune e obbligatorio tra Parlamento, Commissione e Consiglio.
Per incontrare i Commissari Europei bisogna essere iscritti al Registro e i Commissari hanno l’obbligo di rendere pubblici questi incontri. La Commissione ha fatto grandi pressioni affinché anche i membri del Parlamento e del Consiglio seguissero le stesse regole, ma a causa della resistenza degli europarlamentari, i negoziati si erano raffreddati. La proposta era già stata annacquata, per venire incontro al principio di ‘libertà di mandato del parlamentare’ limitando questo obbligo ai presidenti di Commissione e ai relatori dei dossier legislativi. Ma all’ufficio legale del Parlamento Europeo non è andata bene nemmeno questa versione.
Bisogna anche ammettere che al Partito Popolare Europeo (PPE) questo obbligo non era mai piaciuto, ma sempre per la solita incoerenza della politica, lo scorso 8 novembre ad Helsinki, nel lanciare la candidatura di Max Weber a presidente della Commissione Europea, il PPE ha sottolineato il bisogno di aumentare ‘la fiducia dei cittadini nelle nostre istituzioni’ e ha ribadito la necessità di maggiore trasparenza e accountability.
Accountability, la solita parola inesistente in Italiano che potremmo tradurre rendere conto a, oramai coppia di fatto con trasparenza, come dire il gatto e la volpe, o Totò e Peppino. Il gruppo liberale dell’Alde la pensa come il PPE, mentre i socialisti del PSE, con un pizzico di ambiguità, non si sono mai espressi con voce univoca. I soliti Verdi, e guarda un po’, anche alcuni europarlamentari di estrema destra, si sono sempre battuti per l’obbligo di iscrizione.
Il 21 novembre scorso, la Commissione Affari Costituzionali del PE (AFCO), avrebbe dovuto votare la Relazione Corbett, che introduce, tra le altre modifiche al Regolamento, anche questo obbligo, ma dopo il parere dell’Ufficio Legale, il voto è stato spostato alla seduta del 6 dicembre. Incoerenza per incoerenza, nel 2013, lo stesso Ufficio legale aveva di fatto raccomandato agli Europarlamentari di pubblicare le loro agende, e a questo commento la risposta è stata ‘ci siamo accorti che anche solo questo sarebbe un problema. E in ogni caso, una cosa è raccomandare, ben diverso è obbligare o proibire’.
La ciliegina sulla torta è la lettera che Transparency International EU, SEAP (Society of European Affairs) e EPACA (European Public Affairs Consultancies’ Association) hanno mandato agli Europarlamentari dell’AFCO, chiedendo loro di fare ‘il passo più importante dai tempi dell’istituzione del Registro’.
Si tratta della NGO più importante nel settore della trasparenza e (sì, sì proprio così!) delle due più importanti associazioni europee di lobbisti.
Il voto del 6 dicembre non è andato benissimo, ma nemmeno malissimo. Ha vinto il sì alle nuove regole per 11 a 10. Sul filo del rasoio sono state approvate solo alcune delle norme proposte: niente obbligo di incontrare solo i lobbisti registrati, ma obbligo di pubblicare on-line chi hanno incontrato, e soprattutto l’obbligo per gli europarlamentari di pubblicare mensilmente sulla propria pagina web il resoconto delle spese. Comunque questo è solo un primo passaggio. Tutto dovrà poi essere approvato in Assemblea.
Il sistema di soft law per l’attività di lobbying, che potrete trovare descritto in italiano in questo documento ‘Regolamentare il lobbying. Uno sguardo all’Unione Europea‘, funziona.
È dimostrato da una delle ultime interessanti iscrizioni, quella della Free Courts Initiative, con sede in Polonia, che vanta ben 7 persone che fanno attività di lobbying su ‘le attività della Commissione Europea con lo scopo di proteggere la legalità in Polonia, in particolare le raccomandazioni e le procedure basate sull’art. 7 del TUE, e sull’art. 258 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CJEU). Procedimenti alla CJEU, secondo l’art. 258 e l’art. 267 del TFUE.
Di cosa si tratta? Della causa intentata dall’UE contro la Polonia sulla riforma dell’età della pensione dei giudici, e di una, più recente, presentata alla Corte di Giustizia dell’UE su temi della giustizia polacca. Magari, ove mai dovessimo subire una procedura di infrazione sul Bilancio 2019, si formerà un ente no profit, come quello polacco, che farà lobbying a Bruxelles a favore del governo italiano? Tutto è possibile.
Fonte: Huffpost. Autore: Mariella Palazzolo