Domani il Parlamento britannico deciderà se approvare l’accordo raggiunto a novembre: ipotesi e scenari su cosa accadrà se, come molti temono, non dovesse passare.
Domani sarà un giorno importantissimo per il Regno Unito e per il resto d’Eruopa: il Parlamento britannico voterà sull’accordo per l’uscita del paese dall’Unione Europea. L’accordo non piace né ai sostenitori di Brexit né a coloro che vogliono rimanere nell’Unione: quasi tutti si aspettano che durante il voto di domani venga bocciato dalla maggioranza dei parlamentari. A quel punto prenderanno il via una serie di eventi concitati e imprevedibili che potrebbero portare ai risultati più disparati: da un secondo referendum a nuove elezioni fino all’inquietante scenario di un’uscita dall’Unione senza un accordo, il famoso “no deal”.
Quando e come si vota?
A meno che la prima ministra May non abbia ripensamenti dell’ultimo minuto, il voto si terrà domani intorno alle 20 (le 21 in Italia). Oggi, domattina e poi ancora nel pomeriggio, May tenterà di raccogliere ulteriore sostegno al suo piano con una serie di discorsi e presentando una lettera dell’Unione Europea – da lei richiesta – che contiene una serie di rassicurazioni, ritenute però non sufficienti da quasi tutti gli esperti.
Tutte le opposizioni (laburisti, liberali, verdi e scozzesi) hanno detto che voteranno no all’accordo, e hanno fatto lo stesso alcune decine di deputati conservatori a cui vanno aggiunti i 10 parlamentari del DUP, il partito nordirlandese che sostiene il governo. Secondo le previsioni, il piano di May riceverà quindi tra i 100 e i 50 voti meno della maggioranza (meno di 275 su 650 seggi).
Cosa c’è nell’accordo e perché rischia di non passare?
L’accordo contiene due punti principali: da un lato stabilisce un periodo di transizione che inizierà dopo l’uscita ufficiale del Regno Unito dall’Unione Europea (fissata per il prossimo 29 marzo) e che durerà per due anni, durante i quali le due parti negozieranno le loro future relazioni commerciali. Dall’altro prevede una controversa soluzione di emergenza da adottare nel caso in cui in questi due anni non si dovesse raggiungere un accordo: il famoso “backstop”.
Il “backstop” non piace ai fautori più intransigenti di Brexit, tra cui ci sono le decine di conservatori che domani voteranno contro May, perché stabilisce che il Regno Unito in assenza di questo accordo rimarrà all’interno dell’area doganale europea senza poter sottoscrivere accordi commerciali autonomamente con terze parti. Visto che questa soluzione può essere cambiata solo con il consenso di entrambe le parti, i fautori di Brexit sostengono che si tratta di una sorta di “prigione” dalla quale il paese non potrebbe più scappare.
Il “backstop” introduce anche una differenza all’interno del paese. L’Irlanda del Nord rimarrà non solo all’interno dell’area doganale, ma di fatto continuerà a far parte del cosiddetto “mercato unico“. Per quanto riguarda le merci, la frontiera tra Unione Europea e Regno Unito sarà spostata dal confine con la Repubblica d’Irlanda al tratto di mare tra Irlanda e Gran Bretagna. Questa parte dell’accordo non piace ai parlamentari nordirlandesi del DUP, che con i loro voti garantiscono a May la maggioranza.
Cosa succede se l’accordo non passa?
Molto dipende da quanti voti May riuscirà a ottenere. Se fossero una cinquantina meno della maggioranza, May potrebbe continuare a cercare una nuova soluzione. Se fossero più vicini ai cento, le pressioni per dimettersi diventerebbero probabilmente molto forti. In ogni caso il capo dell’opposizione, il leader laburista Jeremy Corbyn, ha detto che in caso di sconfitta del governo proporrà una mozione di sfiducia (che però non è affatto detto che passi: molti parlamentari che voteranno contro l’accordo dicono che continueranno a dare la loro fiducia al governo).
Se May non dovesse presentare subito le sue dimissioni, dopo l’eventuale bocciatura dell’accordo avrebbe tre giorni di tempo per dichiarare al Parlamento cosa intende fare (tre giorni lavorativi: quindi avrebbe tempo fino alla settimana prossima). May potrebbe chiedere al Parlamento di votare nuovamente sul suo accordo, ma il Parlamento potrà fare degli emendamenti alla mozione di May, di fatto prendendo l’iniziativa e indicando al governo una strada completamente diversa: per esempio potrebbe chiederle di indire un secondo referendum oppure di cercare di negoziare un nuovo accordo.
Un simile voto non sarebbe strettamente vincolante per il governo, ma eserciterebbe comunque una forte pressione. Giornalisti ed esperti sono concordi nel dire che, dal punto di vista dei regolamenti parlamentari, sono state commesse alcune forzature e i deputati britannici si stanno muovendo in acque inesplorate. Il risultato è che tutto è possibile nei prossimi giorni ed è difficile prevedere il corso esatto che seguiranno i lavori del Parlamento.
Ci sarà un secondo referendum?
È possibile, ma è ancora piuttosto improbabile. Nessuno dei leader dei due principali partiti lo sostiene come prima scelta e non sembra ci sia una maggioranza parlamentare in grado di sostenerlo. Ma anche se una maggioranza si trovasse, rimane comunque il grosso problema di cosa mettere sull’eventuale scheda. In altre parole, dovrebbe essere un referendum come quello del 2016 per chiedere semplicemente chi è pro e chi è contro Brexit, oppure le opzioni dovrebbero essere tra uscire senza accordo e uscire con l’accordo raggiunto da May? Altri sostengono che invece sulla scheda dovrebbero essere presenti tutte e tre le opzioni.
Si può ritardare Brexit?
Vediamo di capirlo. Dopo il voto di domani ci sono quattro scenari principali possibili:
- L’accordo di May ottiene la maggioranza domani oppure nel corso di un secondo voto;
- L’accordo viene respinto, il governo cade e si va a nuove elezioni;
- L’accordo viene respinto, il governo May o un nuovo governo conservatore cercano di rinegoziarlo;
- L’accordo viene respinto e il Parlamento chiede un secondo referendum.
Tranne il primo, tutti e tre gli altri scenari richiedono un rinvio della scadenza di Brexit. È infatti impossibile rinegoziare l’accordo, organizzare un nuovo referendum o tenere nuove elezioni prima del 29 marzo, la data dopo la quale il Regno Unito sarà considerato automaticamente fuori dall’Unione Europea.
Ci sono due modi per fermare il conto alla rovescia. Il primo è che il Regno Unito revochi unilateralmente la sua invocazione dell’articolo 50 del Trattato dell’Unione Europea, quello che ha messo in moto Brexit. La Corte di Giustizia dell’Unione ha stabilito che può farlo liberamente, senza consultare gli altri paesi dell’Unione. Revocare l’Articolo 50 però significa rinunciare all’uscita dall’Unione: una decisione che come minimo richiederebbe un voto del Parlamento o addirittura un nuovo referendum.
La strada più facile da percorrere è invece cercare un accordo con l’Unione per allungare i termini del negoziato, per il quale è necessario il voto all’unanimità di tutti i 27 stati membri. Diversi leader e importanti funzionari europei hanno già fatto sapere che sono pronti ad allungare la scadenza fino a luglio e che, se fosse necessario, sono pronti ad allungarla ulteriormente.
Fonte: Il Post.