Causa di ogni male e autori di ogni nefandezza, i gruppi di interesse sono tra gli avversari preferiti degli attuali governanti. Ma é davvero così?
Quando iniziai a frequentare il corso di Teorie e tecniche del Lobbying all’università, durante la prima lezione ci venne posto un semplice quesito: dare un aggettivo alle lobbies (si, al plurale per chi non lo sapesse). Non conoscendo la materia, molti di noi diedero attributi negativi. E già questo é un fatto indicativo della questione.
Nella narrazione di molti esponenti del Governo, della maggioranza e dei relativi sostenitori, non é infrequente, anzi diventa quasi abitudinario, ascoltare dichiarazioni che incolpano le lobbies di qualcosa. Grazie all’aiuto della mitologica manina, queste sono intervenute per sabotare il Decreto Dignità, il DL Fisco e altri provvedimenti. Sempre gli oscuri faccendieri sono i nemici che vogliono le trivelle, la TAV, la TAP, i vaccini. Come dimenticare, infine, la lobby gay, dei malati di cancro (cit. Di Maio) i legami con la massoneria, il gruppo Bilderberg e chi più ne ha più ne metta. Non ultimo l’attacco del Presidente Conte che, dopo essere stato (poco carinamente) apostrofato come “burattinaio” dal capogruppo di ALDE Verhofstadt, ha rinfacciato a quest’ultimo di essere “manovrato dalle lobby” (-ies, insisto).
Parafrasando Ciriaco de Mita (da buon cristiano mi perdonerà) verrebbe da dire che semplificare una cosa complessa é probabilmente sintomo di scarsa comprensione. É evidente che, nell’immaginario collettivo, l’opinione sul lobbying sia piuttosto negativa. Eppure la realtà é tanto diversa quanto sorprendente.
Mancando ancora una salda cultura su questo delicato tema, proprio la poca conoscenza non permette di riconoscere la giusta dignità e il dovuto rispetto a una professione e a un fenomeno fondamentali per il corretto funzionamento del sistema democratico. Perché si, i più se ne stupiranno: la rappresentanza di interessi particolari si esplica solo negli ordinamenti democratici, in quanto esclusivamente all’interno di questi hanno ragione di esistere e operare.
Il modus operandi e la comunicazione delle forze di Governo presentano la Legge, così come ogni decisione o atto normativo, quale espressione della volontà generale di cui esse si fanno interpreti e portavoce. Una volontà preesistente e astratta che si traduce in un atto puro, non influenzabile. In altre parole, il giacobinismo. E in questa visione non ci sarebbe spazio per nessuna lobby.
Ci si pone, a questo punto, una domanda: chi é in grado di interpretare la volontà generale?
Di contro a questo modello interviene in soccorso il costituzionalismo di matrice anglossassone, secondo il quale la decisione pubblica deve essere frutto di un contraddittorio – se non compromesso – tra interessi antitetici. La volontà generale non é più un concetto astratto bensì scaturisce da un processo decisionale articolato. In questo modo, dunque, entrano in gioco i portatori di interessi particolari.
Non si tratta di corruzione, di oscuri accordi, di malvagi interessi alle spalle dei cittadini. Tutto il contrario. Anzi, se davvero si desidera evitare che queste azioni abbiano luogo, non si può più prescindere dall’imperiosa necessità di istituire norme chiare, in grado di garantire la trasparenza del processo decisionale e il diritto di parteciparvi. Dato l’alto numero di proposte già esistenti, approvate e non, sarebbe opportuno porsi come obiettivo la loro armonizzazione, al fine di creare un impianto normativo organico e completo.
É fondamentale regolamentare i rapporti tra i portatori di interessi e i decisori pubblici. E a chiedere con maggior vigore una regolamentazione sono proprio i primi. Il settore, dati alla mano, é in continua crescita, in particolare le società di rappresentanza di interessi per conto terzi. Aumentano anche gli investimenti in formazione sia da parte degli operatori che delle università.
La normativa in materia, tuttavia, non deve assumere un profilo prettamente penale, come spesso avviene quando ci si approccia all’argomento. Non si deve criminalizzare una professione che garantisce al decisore pubblico un quadro informativo capace di fornire maggiori strumenti in vista delle decisioni da adottare nell’interesse generale. Perché i professionisti della rappresentanza di interessi, alla fine, si pongono questo scopo: relazionarsi il decisore pubblico, che sia per un vantaggio particolare o universale (ossia advocacy). É a lui che spetta l’ultima parola; non é che l’altra faccia della medaglia, colui che deve garantire parità di accesso ai lobbisti senza alcuna ambiguità.
Demonizzare questa professione denuncia sia una forma di ignoranza che di ipocrisia. Nel concreto, a titolo di esempio, la c.d lobby dei tassisti non ha forse influito sulla decisione di negare le agevolazioni agli NCC? Il No a un’opera strategica (che sia TAV o TAP) non é forse dovuto alle pressioni di un gruppo di interesse? E gli esempi abbondano, anche in questo Governo.
Concludendo, se davvero le lobbies sono il “nemico”, perché non intervenire?
Fonte: Formiche.net. Autore: Luca Tritto