Tanti anni fa François Fëito si chiedeva se la dissoluzione dell’Austria-Ungheria fosse “tendenza o destino”. La stessa domanda può porsi con riferimento all’UE, con l’aggravante per quest’ultima di essersi rivelata un “Mostro Gotico” talmente privo di fascino dal non aver neppure contribuito a fornire a qualche artista spunti per farcela rimpiangere… niente Strauss, Musil o Roth per la Eurocratia Infelix…
Non entro nel merito delle questioni strettamente legate alla dimensione istituzionale, avendo sostenuto l’esame di Diritto delle Comunità Europee prima di Maastricht, inoltre, non appartenendo alla “generazione Erasmus”, non ho beneficiato dei sei mesi di copule, gite e spritzetti sulla Rambla così utili per abbattere drasticamente i costi di uno studio faticoso e opaco in camera propria. Però entro nel merito della Politica.
L’Unione Europea è figlia della Politica e in particolare di una politica puramente di élite. Una élite colta, lungimirante, cosmopolita e capace di apprendere appieno la lezione della Guerra e del disastro nel quale il mostro del nazionalismo razziale nazifascista aveva gettato il Mondo. Quell’élite non c’è più e non ha passato il testimone a nessuno. E a noi tocca assistere alla decadenza di un sogno, all’immobilità di istituzioni e idee, incarnata simbolicamente da Junker sempre più la versione eurotecnocratica dell’ultimo Brezhnev, sorretto da partiti che non esistono praticamente più.
Bisogna sempre ricordare che l’Europeismo non è mai stato un “movimento dal basso” ma un processo elitario, veicolato dalle classi dirigenti dei partiti quando ancora erano fatte da persone serie, da gente che mandava in Parlamento Europeo Altiero Spinelli o Maurice Duverger, evitando i giochini di marketing politico del “5 circoscrizioni, 5 donne capolista! non importa chi, purché siano carine!” A forza di affannarci a parlare ossessivamente di “Popolo” ci siamo dimenticati del declino delle classi dirigenti e delle loro enormi responsabilità nel declino del Paese e nel tramonto del sogno europeo.
In particolare, per un’europeista di sinistra se la situazione fosse solo drammatica vorrebbe dire trovarsi di fronte a un netto miglioramento. La sinistra italiana affronta in ordine sparso le imminenti elezioni europee, senza un’idea, una visione o una proposta di alleanze. Le elezioni europee come maxi sondaggio in vista delle prossime elezioni politiche, quando saranno e se ci saranno (di questi tempi, non si può mai dire…).
Eppure, alcuni anni fa avevo letto un saggio che ricordava come circa il 75% delle normative che ogni giorno siamo tenuti a osservare (o eludere) siano di origine comunitaria. Cioè, le vere “elezioni politiche” non sono quelle per Montecitorio, ma quelle per Strasburgo. Ciò nonostante manca “nelle élites” una vera agenda europea, una vera strategia per rimettere al centro il processo di integrazione e – in tale processo – la capacità di ridare all’Italia il posto che le spetta per diritto: quello di Paese Fondatore. Un posto di prestigio e di peso, al quale da 20 anni abbiamo abdicato per inseguire la Russia, per giocare all’euroscetticismo in chiave interna oppure per ostilità verso le istituzioni democratiche e multiculturali.
A me interessa un dibattito sull’Europa che rimetta al centro il tema della coesione sociale, del patto tra generazioni, di un grande programma per l’ambiente da imporre alle altre superpotenze e che affronti in chiave continentale il tema delle migrazioni di popoli, che non può più essere lasciato a quelle 4-5 “villette con vista su Auschwitz” che sono i paesi del sud del Mediterraneo.
Altrimenti non si sa dove andremo a parare, forse la mia generazione sarà quella condannata a rivivere gli orrori degli anni ’30 e ’40 perché – per citare Primo Levi – “tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”.
Marco Cucchini | Poli@rchia ©