Ultimamente si fa gran parlare di una riforma costituzionale rimasta per un anno sottotraccia: la riduzione del numero dei parlamentari, giunta ormai – forse – alla stretta finale.
Probabilmente porsi domande oggi è un po’ tardivo ma comunque è lecito chiedersi se questa riforma fosse necessaria nelle finalità e nei contenuti. Si afferma che l’Italia ha troppi parlamentari e troppo pagati e quindi una riforma che ne riduce il numero sia nell’ordine dell’efficienza procedurale e del risparmio.
Ragionando su quest’ultimo punto e prendendo in esame la realtà delle camere basse di altri tre grandi Paesi (Francia, Germania, Regno Unito), la tabella riassuntiva è la seguente:
Paese | Camera | Membri | MP/elettori | Indennità mensile | Collaboratore |
Francia | Assemblea Nazionale | 581 | 81489 | 14.000 | carico Assemblea |
Germania | Bundestag* | 628 | 98089 | 14.400 | carico Assemblea |
Regno Unito | Camera dei Comuni | 650 | 72012 | 12.200 | carico Assemblea |
Italia | Camera dei Deputati | 630 | 80916 | 18.000 | carico parlamentare |
Italia | Camera post riforma | 400 | 127.442 |
*numero variabile, mai inferiore a 598.
Il numero di membri della Camera dei Deputati è in linea con quello delle altre assemblee considerate e il rapporto tra membri dell’assemblea (MP) e elettori è sensibilmente inferiore a quello del Regno Unito e praticamente identico a quello della Francia; non esiste una eccentricità italiana nella composizione della camera elettiva più ampia, considerando anche che nel computo sono considerati anche i 4.200.000 afferenti alla Circoscrizione Estero.
La riduzione dei parlamentari da 630 a 400 (per la Camera dei Deputati) inciderebbe profondamente nella rappresentanza parlamentare e nel rapporto tra eletti ed elettori. Passeremmo da un eletto ogni 81.000 abitanti ad uno ogni 127.000, con buona pace di ogni ipotesi di ricostruzione del “filo spezzato” della rappresentanza, che passa anche attraverso un più diretto rapporto tra eletti ed elettori.
Diversa è la questione del calcolo delle indennità mensili. Le quattro assemblee osservate seguono sistemi simili: una indennità di base, integrata da una diaria per la presenza, rimborsi spese di viaggio/alloggio e contributi per il rapporto con gli elettori e – in tutti i casi – ulteriori indennità o benefit nel caso di particolari funzioni svolte all’interno del lavoro parlamentare. Il parlamentare italiano risulta sensibilmente più retribuito in particolare per una ragione: l’assistente legislativo è direttamente a carico dell’eletto, mentre nei casi britannico, francese e tedesco è a carico dell’assemblea. Comunque, anche sottraendo il massimale riconoscibile al collaboratore (il 50% di 3.690 €), l’indennità complessiva del deputato italiano risulterebbe comunque superiore rispetto a quelle delle altre realtà osservate.
Non solo l’Italia, ma anche la Francia, la Germania e il Regno Unito sono sistemi bicamerali. Il caso più simile a quello italiano è quello francese, con un Senato a elezione indiretta di 348 membri (30 più di quello italiano) retribuiti grosso modo come i membri dell’Assemblea Nazionale. I 776 membri della House of Lords non ricevono una indennità di carica ma solo un limitato rimborso spese e una diaria mentre i 69 membri del Bundesrat – il Consiglio Federale Tedesco – ricevono una indennità di presenza e un rimborso spese di viaggio, essendo per il resto a carico dei rispettivi governi regionali.
I sostenitori di un drastico taglio dei parlamentari spesso portano a paragone il caso degli Stati Uniti: “perché dobbiamo avere 945 parlamentari mentre gli USA – che sono tanto più grandi – ne hanno solo 535?”. Il tema trascura che gli Stati Uniti sono un sistema federale e ai parlamentari del Congresso di Washington vanno aggiunti quelli dei singoli stati, che sono molti di più di quanti non siano i consiglieri regionali italiani.
Per capirci, l’Abruzzo – con la sua popolazione di 1.300.000 abitanti – è simile al Maine 1.328.000) o al New Hampshire (1.316.000). Il Consiglio Regionale dell’Abruzzo però ha 30 membri, mentre il parlamento bicamerale del Maine ne ha 186 e quello del New Hampshire addirittura 424. I paragoni potrebbero continuare: la Lombardia (10.000.000 di abitanti circa) ha 78 consiglieri regionali, mentre la Georgia (un po’ più piccola, 9.700.000 abitanti ha un parlamento bicamerale di 236 membri. Pertanto il paragone tra Italia e Stati Uniti su questo punto non c’entra affatto ed è totalmente fuorviante.
Il tema quindi non è tanto la dimensione del Parlamento nel suo complesso quanto la funzione delle due Camere. Sulla modifica del nostro bicameralismo si è scritto molto e le due riforme di sistema approvate sono state in entrambi i casi bocciate dal corpo elettorale (2006 e 2016) forse perché troppo drastiche o confuse. La riforma in dirittura d’arrivo non tocca questi temi, che pure potrebbero essere oggetto di un “riformismo mite” che senza smontare l’architettura complessiva del sistema inserisca elementi di razionalità ed efficienza al processo legislativo: le “riforme che non luccicano” per citare il compianto Giovanni Sartori. Per ragioni più di marketing politico che di razionalità sistemica si è scelta la via dei tagli lineari alla rappresentanza senza porsi domande sull’impatto nel sistema anche perché il tutto agirebbe a legge elettorale invariata, dato che il “Rosatellum Ter” approvato in sordina nel maggio 2019 ha “cristallizzato” il rapporto maggioritario/proporzionale, creando nei fatti collegi uninominali enormi (600.000 elettori circa di media per il Senato) che certo non svolgeranno una funzione di dialogo e raccordo tra istituzioni e comunità politica propria del sistema uninominale di collegio.
Non so se sia ancora possibile porre rimedio ma una proposta semplice ci sarebbe. Invece di ridurre i membri del Parlamento a 400 e 200 li si riduca a 475 e 238 (comunque parecchi di meno), utilizzando così i collegi Mattarellum che sono già disegnati, decidendo poi per un sistema maggioritario, proporzionale o misto. Ma che sempre con la dimensione del collegio al centro.
Marco Cucchini | Poli@rchia (C)